Un produttore di ortaggi italiano vende la sua merce a una catena di supermercati in maggio e incassa il dovuto in dicembre, ben sette mesi dopo. Un rivenditore al dettaglio in Belgio fa una promozione per la stagione del barbecue, con lo sconto del 30% sulle costolette di agnello. Lo sconto attira i clienti, e aumenta la vendita anche di altri prodotti da grigliare. Peccato che il fornitore non fosse stato informato delle campagna e che alla data del pagamento finisca per ricevere il 30% in meno di quanto pattuito per le costolette vendute in quel periodo.
Un esportatore di frutta in Spagna riceve un ordine per 40 t di prodotto da inviare a una centrale d’acquisto che opera per diverse catene di supermercati in Germania. Il fornitore prepara la merce secondo i requisiti di confezionamento richiesti e la invia lo stesso giorno. Il giorno dopo, mentre la frutta è sulla strada, l’acquirente gli comunica che non servono più 40 tonnellate, ma 20. Il produttore potrebbe insistere per consegnare e farsi pagare tutto il prodotto, consapevole del rischio che probabilmente non sarà più chiamato dal distributore né per il resto della stagione, né forse mai. Oppure sarà costretto a vendere le 20 t, da un giorno all’altro diventate un’eccedenza, a un prezzo inferiore a un mercato all’ingrosso o con requisiti di packaging diversi, cioè con costi aggiuntivi.
Una più equa distribuzione del valore aggiunto
Ecco solo alcune delle pratiche commerciali sleali nella catena alimentare più diffuse in Europa, che grazie alla nuova direttiva potranno essere identificate e vietate. Da anni attendevamo questo momento affinché dalla terra alla tavola la filiera diventasse più efficiente e trasparente, e finalmente l’Unione europea ha risposto in modo concreto, con una direttiva che ha lo scopo di contribuire a una distribuzione più equa del valore aggiunto delle produzioni agroalimentari lungo tutta la catena.
Oltre che nell’interesse degli anelli ‘deboli’ della catena, in particolare gli agricoltori, questo intervento è anche nell’interesse del consumatore perché le pratiche sleali concorrono a deprimere la qualità dei prodotti e sono uno degli inneschi potenziali di fenomeni odiosi come caporalato e sfruttamento della manodopera.
La normativa italiana non basta, l'armonizzazione europea dà più garanzie
In Italia è già in vigore dal 2012 una normativa che disciplina la contrattazione e le pratiche sleali (Decreto legge 24 gennaio 2012, n.1 articolo 62), ma mentre in altri paesi Ue come la Spagna si registrano ogni anno decine di denunce e conseguenti indagini decisioni e sanzioni, le iniziative in Italia negli ultimi 6 anni si possono contare sulle dita di una mano.
Il carattere innovativo della direttiva, oltre all’armonizzazione a livello europeo e la conseguente possibilità per i nostri produttori di essere protetti anche quando esportano in qualsiasi paese dell’Unione, sta nell’aver individuato pratiche commerciali che devono essere proibite indipendentemente da qualsiasi altro parametro.
Il voto della Plenaria del Parlamento europeo nel marzo prossimo validerà definitivamente i significativi miglioramenti che abbiamo inserito nella proposta del Commissario Phil Hogan.
Un risultato possibile nonostante gli ostacoli presentati da coloro che negli ultimi 10 anni si sono sempre opposti all’introduzione di regole per relazioni commerciali più eque e trasparenti, e che ancora una volta hanno tentato di far rinviare l’approvazione del mandato necessario a negoziare con le altre istituzioni europee. Negoziazioni che si sono concluse il 19 dicembre scorso quando, a soli otto mesi dalla presentazione del provvedimento, Parlamento europeo, Commissione e Consiglio hanno trovato un accordo sul testo della direttiva.
Paolo De Castro
Primo Vicepresidente Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo
Editoriale a Terra e Vita 5