Export agroalimentare, valore quasi raddoppiato in dieci anni

distretti agroalimentari
Nel 2022 superati i 60 miliardi di euro contro i 33,5 del 2013, ma a guadagnare è stata soprattutto l'industria alimentare non gli agricoltori

L'industria alimentare guadagna, gli agricoltori perdono. È questo il dato più significativo per gli imprenditori agricoli che emerge dall’analisi di Ismea presentata nell’evento on line "Le sfide globali del made in Italy agroalimentare”. Nel 2021 il saldo del settore primario è stato negativo per 8,5 miliardi di euro mentre quello dell'industria alimentare ha fatto registrare un +12,4 miliardi. Un dato, quest'ultimo, frutto soprattutto della crescita delle vendite oltre confine.

Negli ultimi dieci anni il valore delle esportazioni di cibi e bevande è quasi raddoppiato (+81%), passando dai 33,5 miliardi del 2013 a 60,7 miliardi del 2022. In pratica, le spedizioni di prodotti agroalimentari sono aumentate in valore al ritmo di quasi il 7% all’anno, a fronte di un incremento più contenuto delle esportazioni complessive (+5,4%).  

Il settore non solo si è rivelato più dinamico, ma anche più resiliente quando, nel 2020, con lo scoppio della pandemia, le relative restrizioni sanitarie e l’interruzione delle catene di fornitura globali, è riuscito comunque a mettere a segno una crescita (+3,2%), in controtendenza rispetto al resto dell’economia (-9,1% la contrazione dei flussi in uscita complessivi). Ma gli agricoltori che coltivano gran parte delle materie prime necessarie a produrre vino, pasta, formaggi e salumi stagionati, olio extravergine d'oliva e passate di pomodoro, non hanno beneficiato di questo boom dell'export.

I comparti di punta del made in Italy agroalimentare

Dei 24 comparti merceologici che compongono i flussi di scambio complessivi, appena sei di essi (bevande, derivati dei cereali, latte e derivati, preparazioni di ortaggi e frutta, frutta, e altre preparazioni alimentari) catturano più di due terzi del valore complessivo e pesano singolarmente più del 5% sulle esportazioni totali. 

A crescere di più nel periodo 2017-21 sono stati: altre preparazioni alimentari, che comprendono salse, sughi, minestre e gelati (+9,1% medio annuo); derivati dei cereali (+7,8%); latte e derivati (+8,2%). Inferiore alla media è stata invece la crescita di frutta (+1,2%), ortaggi (+4,1%) derivati ortofrutticoli (+4,9%) e carni (+2,5%). 

A un livello più disaggregato, nel Rapporto si analizza un gruppo di venti prodotti distintivi del made in Italy, che con quasi 28 miliardi di euro, rappresenta il 53% del valore totale dell’export agroalimentare nel 2021. I primi cinque in termini di valore sono vini in bottiglia, paste alimentari secche, tabacco lavorato, formaggi stagionati e prodotti della panetteria e pasticceria (specificamente rappresentati soprattutto dai dolci da ricorrenza e dalle pizze). Nel quinquennio si distinguono per i maggiori tassi di crescita, oltre al tabacco lavorato (+30%) - la cui forte crescita si deve a un accordo commerciale del 2016 tra il governo italiano e una multinazionale giapponese - cialde e cialdine (+16%) e paste alimentari farcite (+11%); ma anche formaggi grattugiati, formaggi freschi e latticini e prodotti della pasticceria e panetteria, con aumenti superiori al 9%.

La pandemia non ha frenato l'export

I dati dell’ultimo biennio forniscono indicazioni interessanti e in parte inattese. Nel 2020, nonostante la chiusura quasi completa dei canali Horeca in tutto il mondo, le esportazioni di alcuni prodotti agroalimentari nazionali sono cresciute moltissimo rispetto all’anno precedente: le variazioni della pasta, del riso, delle passate di pomodoro e delle polpe, ma anche dell’olio e dei formaggi freschi, dimostrano che il consumo all’estero del cibo made in Italy non è solo legato alle occasioni speciali e ai pasti fuori casa, ma ormai fa parte delle abitudini quotidiane in molte aree del mondo.

Più legate alle sorti dell’Horeca e alle occasioni conviviali, e quindi penalizzate nel 2020, sono state le esportazioni di vini in bottiglia, spumanti, formaggi stagionati, acque minerali, caffè e in misura minore i prodotti della panetteria e pasticceria, ma tutte nel 2021 hanno recuperato la perdita dell’anno precedente. Anche nel 2022, pasta, formaggi freschi e grattugiati, pomodori pelati, polpe e passate, riso, caffè, acque minerali e spumanti sono tra i prodotti che registrano i maggiori aumenti delle esportazioni, con variazioni in valore comprese tra il +19,4% degli spumanti e il +38,4% della pasta, e variazioni positive anche delle quantità esportate. 

Oltre ad aver visto crescere il suo peso sulle esportazioni nazionali complessive, l’export di cibi e bevande made in Italy guadagna terreno anche negli scambi globali del settore. Come si evince dall’analisi di Ismea il market share dell’Italia è cresciuto da dieci anni a questa parte portandosi al 3,25% nel 2021, dopo il livello minimo di 2,8% nel 2012. Un aumento solo apparentemente modesto, trattandosi del peso di un singolo paese sugli scambi alimentari di tutto il mondo e che cela dietro pochi punti decimali di crescita un progresso di tutto rilievo, frutto di aumenti consistenti dei flussi delle nostre esportazioni in valore assoluto.

Restringendo il periodo di osservazione all’ultimo quinquennio, è aumentato il grado di penetrazione dei prodotti italiani nei primi 20 mercati di riferimento a livello globale, sebbene ci sia stato un calo sul mercato cinese, che è il principale importatore mondiale. Più nel dettaglio il made in Italy agroalimentare può contare su una penetrazione più elevata (oltre l’8% nel 2021) nei mercati dei tradizionali partner europei, e a seguire nel Regno Unito, in Polonia e in Spagna. Uno share superiore alla media (3,25%) si registra nel 2021 anche in Giappone, Belgio, Russia e Stati Uniti, a fronte di un livello di penetrazione ancora molto basso nei paesi asiatici, soprattutto Cina, Indonesia, Vietnam e India, dove non arriviamo allo 0,5%, così come in Messico.

La penetrazione dei prodotti più rappresentativi del made in Italy

Se invece spostiamo il focus sui 20 prodotti più rappresentativi del paniere del made in Italy, le quote di mercato dell’Italia sono in tutti i casi elevate, talvolta molto elevate: si va da prodotti come pelati e polpe di pomodoro e pasta, per i quali l’Italia è leader mondiale assoluto, soddisfacendo rispettivamente l’85% e il 46% della domanda mondiale, a prodotti per i quali il nostro Paese è tra i leader mondiali, con quote tra il 20% e il 40% come paste alimentari farcite, tabacco lavorato, passate e concentrati di pomodoro, vini spumanti, acque minerali, olio d’oliva extravergine e vini in bottiglia.

E ancora categorie con market share medio alti (tra l’11 e il 16%) come formaggi freschi e latticini, caffè torrefatto, preparazioni e conserve suine, cialde e cialdine, mele e cioccolata, e prodotti con quote più basse, ma comunque superiori alla media, come i vini in confezioni superiori ai due litri, i formaggi stagionati, l’uva da tavola, i prodotti della panetteria e pasticceria (in particolare si tratta di dolci da ricorrenza, pizze, cornetti ecc.), il riso lavorato.

Nel periodo 2019-2021 il miglioramento della quota di mercato italiana si deve principalmente, secondo l’analisi di Ismea, alla capacità del sistema agroalimentare italiano di sfruttare meglio i propri vantaggi competitivi, in termini di prezzi e attrattività dei prodotti esportati. 

Export agroalimentare, valore quasi raddoppiato in dieci anni - Ultima modifica: 2023-04-27T16:01:10+02:00 da Redazione Terra e Vita

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