Stop al fuorviante equivoco del pane precotto sfornato di continuo in alcuni punti vendita della grande distribuzione. D’ora in poi il pane fresco dovrà essere rigorosamente distinto da quello conservato e dovrà essere esposto in scomparti diversi ed appositamente riservati. Dal prossimo 19 dicembre entrerà infatti in vigore il decreto n. 131/2018 emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole e quello della Salute, che disciplina la denominazione di «panificio», di «pane fresco» e dell’adozione della dicitura «pane conservato».
Dodici anni di attesa
Una norma attesa a lungo (è la disciplina di attuazione della legge del 4 agosto 2006), che fa esprimere soddisfazione ai piccoli forni e panetterie, nella speranza che «finalmente si torni a dare valore al sacrificio di migliaia di artigiani che lavorano ogni notte e ogni weekend per garantire il pane fresco sulle nostre tavole». Il nuovo quadro normativo viene però considerato necessario, ma non sufficiente. Gli operatori attendono infatti la fine del percorso parlamentare del disegno legge sul comparto dell'arte bianca. Una normativa, in discussione in queste settimane a livello parlamentare, che è chiesta dalle organizzazioni per valorizzare l'artigianalità del prodotto e la materia prima made in Italy anche attraverso una normativa sanzionatoria e l'introduzione di un'etichettatura del pane.
L’arte bianca chiede più tutele
(e un preciso quadro sanzionatorio)
«Alla luce della pubblicazione del decreto ministeriale - commenta Davide Trombini, presidente di Assopanificatori- la legge sulla panificazione è ancora più urgente».
«Il testo del dm – ribadisce - è infatti molto schematico e restrittivo e non risponde alle esigenze della categoria che, con ancor maggior vigore, dovrà lottare per vedere approvato il testo di legge che ingloberebbe e supererebbe le definizioni riportate che risentono della lunga trattativa. Si tratta comunque di un primo importante risultato».
Sulla stessa linea Gabriele Rotini di Cna agroalimentare (Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola media impresa), che afferma di condividere la ratio della legge, ma che sostiene la necessità di un quadro normativo coerente ed uniforme che superi la frammentazione territoriale, frutto di disposizioni regionali disomogenee che hanno stabilito criteri differenti sulla denominazione di pane fresco».
Precise definizioni
Nella definizione inclusa nel Decreto interministeriale il “pane fresco” acquista un preciso valore merceologico ben distinto da altri tipologie di pane che devono quindi indicare in etichetta le differenze che li contraddistinguono:
- «Fresco» è solo il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, nonché privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante.
- È ritenuto continuo il processo di produzione per il quale non intercorra un intervallo di tempo superiore alle 72 ore dall'inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto.
- «Conservato e a durabilita’ prolungata». Il pane sottoposto a trattamenti che ne aumentino la durabilità sia posto in vendita con una dicitura aggiuntiva che ne evidenzi lo stato on il metodo di conservazione utilizzato, nonché le eventuali modalità di conservazione e di consumo e che al momento della vendita sia esposto in scomparti appositamente riservati ben distinto dal pane fresco.
L’impatto sull’agricoltura
Il provvedimento ha un duplice impatto anche sull’agricoltura. Innanzitutto perchè dal 2010, con l’emanazione del Dm 212, anche gli agricoltori possono produrre e vendere pane fresco, la cui produzione è considerata a tutti gli effetti attività connessa a quella agricola.
E poi perchè la precisa definizione di pane fresco sposta l’attenzione dell’opinione pubblica sul metodo di produzione e sulla necessità di poter disporre di materie prime di qualità.