L’estensione dell’obbligo di indicare l’origine del prodotto agroalimentari rimane una delle priorità del settore agricolo e ha trovato nuovo spazio nel decreto semplificazione ove è stato introdotto, dalle Commissioni Lavori pubblici e Affari costituzionali del Senato, un emendamento che lo prevede.
L’emendamento approvato prevede però tempi piuttosto lunghi per la sua applicazione in quanto rimanda a successivi decreti ministeriali l’individuazione dei prodotti per i quali applicare l’obbligo di indicare l’origine e quindi alla notifica a Bruxelles degli eventuali provvedimenti esecutivi. Solo dopo la completa attuazione della lunga procedura si potrà esultare per l’introduzione dell’obbligo di indicare in etichetta su tutti i prodotti agroalimentari, l’origine del prodotto o del componente principale.
L’emendamento approvato prevede anche che la norma generale di cui al Decreto semplificazione entra in vigore solo tre mesi dopo la sua notifica alla Commissione e, quindi solo dopo inizia la procedura per individuare i settori e i prodotti per i quali è obbligatoria l’indicazione dell’origine.
I PRODOTTI INTERESSATI
La nuova disposizione dovrebbe però riguardare solo alcuni prodotti da considerarsi “residuali” rispetto a quelli che già prevedono in maniera specifica l’indicazione dell’origine per fornire al consumatore finale un’indicazione trasparente sulla qualità del prodotto stesso.
A livello comunitario la normativa al riguardo è stata introdotta già da molti anni e trova puntuale applicazione in Italia con norme di recepimento, per la carne di pollo e i suoi derivati, la carne bovina, la frutta e la verdura fresche, le uova, il miele, l'olio extravergine di oliva e il pesce.
A livello nazionale, l’obbligo di indicazione dell’origine è stato introdotto, seppure con qualche forzatura giuridica e per un periodo di tempo limitato alla successiva approvazione comunitaria, per pelati e concentrati di pomodoro, latte e derivati, riso, grano duro della pasta e pollo.
I fautori dell’estensione dell’obbligo di indicazione dell’origine puntano ora a prodotti come i salumi, la carne di coniglio, la carne trasformata, le marmellate e i succhi di frutta, i legumi in scatola, la frutta e la verdura essiccata, il pane, le insalate in busta e i sottoli.
LA SODDISFAZIONE DELLA COLDIRETTI
La Coldiretti, che ha sempre, in passato, sostenuto la necessità di obbligo dell’indicazione d’origine per una migliore tutela del “made in Italy”, ha accolto con entusiasmo l’approvazione dell’emendamento al decreto semplificazione.
“Il via libera all'obbligo di indicare in etichetta l'origine di tutti gli alimenti per valorizzare la produzione nazionale, consentire scelte di acquisto consapevoli ai cittadini e combattere il falso Made in Italy è una grande vittoria per agricoltori e consumatori”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
“L’etichettatura di origine obbligatoria degli alimenti, spiega Coldiretti, è stata introdotta per la prima volta in tutti i Paesi dell’Unione Europea nel 2001 dopo l’emergenza mucca pazza nella carne bovina per garantire la trasparenza con la rintracciabilità e ripristinare un clima di fiducia. Da allora molti progressi sono stati fatti, ma resta l’atteggiamento incerto e contradditorio dell’Unione Europea che obbliga a indicare l’origine in etichetta per le uova ma non per gli ovoprodotti, per la carne fresca ma non per i salumi, per la frutta fresca ma non per i succhi e le marmellate, per il miele ma non per lo zucchero”.
Negativo il commento di Federalimentare
"Le norme che possono migliorare le informazioni per i consumatori sui prodotti alimentari sono fondamentali ma, in materia di etichettatura devono essere discusse e condivise a livello europeo e non solo italiano", afferma il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio.
"La difesa della trasparenza dei prodotti e dell'informazione dei consumatori è sacrosanta a maggior ragione quando riguarda la difesa del nostro Made in Italy - precisa il presidente - ma la questione dell'etichettatura è materia armonizzata a livello europeo; questo proprio per evitare di introdurre obblighi valevoli per le sole imprese nazionali che, in questo modo, sarebbero le uniche a sostenere l'aggravio dei relativi costi, trovandosi così in svantaggio competitivo rispetto alle altre imprese dell'Ue che non si vedrebbero applicare tale normativa".