Dal 12 febbraio 2018, diventerà obbligatoria l’indicazione dell’origine nell’etichetta del riso. Infatti, il 16 agosto scorso è stato pubblicato il decreto interministeriale per introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine del riso. Il giorno successivo è stato pubblicato un analogo decreto sull’origine del grano per la pasta. Ad aprile scorso, una norma analoga era già entrata in vigore per tutti i tipi di latte e prodotti lattiero-caseari (tab. 1).
Lo scopo è di trovare sul mercato un riso made in Italy e di stimolare l’industria ad aumentare gli approvvigionamenti nazionali, all’insegna della massima trasparenza verso i consumatori.
L’obbligo di etichettatura del riso è una rilevante novità per il settore, un tentativo di risposta alla crisi dei prezzi che ha interessato l’ultimo periodo.
Le nuove etichette
Il decreto ministeriale prevede che sull’etichetta del riso devono essere indicate le seguenti diciture (tab. 2):
a) “Paese di coltivazione del riso”: nome del Paese nel quale è stato coltivato il risone;
b) “Paese di lavorazione”: nome del Paese nel quale è stata effettuata la lavorazione e/trasformazione del risone;
c) “Paese di confezionamento”: nome del Paese nel quale è stato confezionato il riso.
Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese; ad esempio “origine del riso 100% italiano”.
Nel caso in cui il riso sia coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture:
- “Ue”;
- “non Ue”;
- “Ue e non Ue”.
Ad esempio, un riso coltivato e lavorato in Tailandia, deve riportare la dicitura “Paese di coltivazione e di lavorazioni non Ue” e “Paese di confezionamento: Italia”.
L’indicazione sull’origine deve essere apposta in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo, in modo da essere facilmente riconoscibile, chiaramente leggibile ed indelebile.
Obbligo solo in Italia
Le disposizioni del decreto sull’obbligo di etichettatura si applicano solo in Italia; non si applicano ai prodotti fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un Paese terzo.
Entrata in vigore fra 180 giorni
Il decreto prevede una fase di 180 giorni per l’adeguamento delle aziende al nuovo sistema e lo smaltimento delle etichette e confezioni già prodotte. Quindi, dal 12 febbraio 2018, le imprese che commercializzano il riso devono soddisfare le nuove norme di etichettatura, pena l’applicazione di sanzioni.
Tuttavia, il riso può essere commercializzato con le vecchie norme di etichettatura fino all’esaurimento delle scorte.
Le critiche
Il provvedimento non è esente da critiche.
Il Governo nazionale e i sostenitori del decreto sottolineano il duplice obiettivo dell’obbligo dell’etichettatura di origine:
- garantire trasparenza attraverso l’indicazione dell’origine, considerando che la stragrande maggioranza degli italiani desidera conoscere l’origine delle materie prime;
- differenziare la produzione italiana rispetto a quella di importazione.
Alcuni componenti del settore agroalimentare ritengono che gli elevati standard di sicurezza alimentare siano già ampiamente garantiti dalle vigenti normative europee e nazionali (le quali assicurano che qualsiasi prodotto alimentare non deve comportare rischi per la salute, né deve essere inadatto al consumo umano).
Tuttavia l’introduzione dell’obbligo di etichettatura potrebbe essere un inutile aggravio, in quanto comporta costi aggiuntivi da sostenere per l’etichettatura dei propri prodotti. Inoltre, l’attuale normativa europea (Regolamento Ue n. 1169/2011) già consente alle imprese agroalimentari la facoltà di indicare volontariamente in etichetta il Paese di origine o il luogo di provenienza del riso, dando quindi la possibilità al consumatore di scegliere consapevolmente.
L’aumento della trasparenza delle informazioni al consumatore è sempre un fatto positivo. Ma – da sola – non basta per la competitività del riso in Italia, occorre una maggiore organizzazione ed efficienza della filiera del riso, che – su questo aspetto – può migliorare considerevolmente.
Notifica alla Commissione europea
Il testo del decreto doveva essere notificato alla Commissione europea, la quale a sua volta lo sottopone agli altri Stati membri per eventuali osservazioni.
In ogni caso, le norme non potranno venire applicate né al riso prodotto e lavorato in altri paesi Ue, né agli alimenti destinati all’esportazione (poiché le norme di etichettatura da rispettare sono quelle vigenti nel mercato di destinazione).
Con la pubblicazione del decreto l’Italia ha forzato i tempi senza attendere l’assenso di Bruxelles.
La Commissione Ue ha risposto con un comunicato ufficiale in pieno periodo di ferie: il portavoce della Commissione ha fatto sapere, con una comunicazione del 23 agosto scorso che le norme di attuazione Ue sull’etichettatura di origine degli alimenti in applicazione del reg. Ue 1169/2011 saranno adottate “prima della fine del 2017”.
La dichiarazione di Bruxelles è un chiaro segnale all’Italia che ha agito in maniera autonoma prima per l’indicazione dell’origine del latte e ora della pasta e del riso per lasciar intendere, ancora una volta, che tale normativa deve essere armonizzata a livello comunitario e non lasciata all’autonomia nazionale.
La Commissione sta raccogliendo informazioni e potrebbe anche aprire una formale procedura d’infrazione. L’Italia aveva notificato a Bruxelles i decreti sull’origine del riso e del grano per la pasta a maggio ma poi aveva deciso di accelerare in modo unilaterale.
Se la Commissione rispetterà quanto ha annunciato, c’è il rischio che i due decreti ministeriali riguardanti pasta e riso, vengano abrogati di diritto prima ancora di essere entrati in vigore.
Leggi l’articolo su Terra e Vita 27/2017 L’Edicola di Terra e Vita