Da molti mesi lo sport nazionale sembra essere diventato quello di inveire contro l’Europa, i burocrati di Bruxelles, i nemici di Strasburgo.
Editoriale del numero 23 di Terra e Vita
Abbonati e accedi all’edicola digitale
Colpevoli di giocare contro l’Italia, di non assecondare le politiche sovraniste, di ostacolare le strategie di crescita del nuovo corso del cambiamento. Senza adombrare uscite stile Regno Unito – a proposito, non è che il percorso della Brexit stia andando benissimo – i decisori nostrani, sull’onda del ‘prima l’Italia’, più che il dialogo, paiono cercare lo scontro.
A campagna elettorale finita e preso atto che, pur con diversi e sostanziali risultati usciti dalle urne, in Italia e Francia in particolare, l’impianto europeista è ampiamente maggioritario, ha ancora senso il muro contro muro?
Il macigno del debito pubblico
Al di là degli slogan, l’Italia di metà 2019 ha un debito pubblico di 2mila e 300 miliardi di euro. Considerando una popolazione di poco più di 60 milioni di abitanti, significa che ogni italiano, compresi neonati e centenari, ha un debito di circa 39mila euro.
Estremizzando, in un’irreale ipotesi di azzeramento del debito, una famiglia di quattro persone dovrebbe ‘offrire’ allo Stato poco meno di 160mila euro. Un bel botto.
Fortunatamente si tratta di un esercizio di stile, di un qualcosa che – si spera – non accadrà. Ma è utile per far comprendere la nota non solidità delle finanze italiche.
Con questo fardello ci presentiamo ai partner europei. Tendenzialmente con meno problemi.
Spostiamoci in campo agricolo.
Una programmazione da 50 miliardi
La principale politica dell’Europa, in termini di impegno, programmazione e, soprattutto, finanziari, è la Pac. Molti miliardi di euro, oltre 50, destinati agli agricoltori del Vecchio Continente. Al sostegno delle produzioni, alle organizzazioni comuni di mercato, allo sviluppo rurale. Soldi, aiuti, finanziamenti.
Un recente articolo di Angelo Frascarelli su questa rivista (Tv 21/2019), a commento di una dettagliata analisi della Rete di informazione contabile agricola (Rica), ha messo in evidenza che la Pac incide per il 27% dei redditi netti aziendali. Oltre un quarto del reddito agricolo arriva da Bruxelles.
E se è vero che questo dato scende all’1% nelle aziende ortofloricole, vale la pena sottolineare che nelle imprese a seminativi si supera il 50%.
Per molte di queste aziende la Pac non è un supporto ma l’ossigeno. Un qualcosa di necessario, essenziale.
Nei prossimi mesi si dovrà definire il nuovo quadro finanziario pluriennale della prossima Pac, che dovrebbe partire in ritardo, indicativamente non prima del 2022.
Ma la partita si gioca ora.
Se lo scontro non giova
L’Italia andrà con la politica dello scontro o si renderà conto che forse una buona mediazione e la voglia di ascoltare potrebbe essere il minore dei mali?
Anche per gli agricoltori italiani.
Uno dei più lucidi pensatori che l’Italia abbia mai avuto, Norberto Bobbio, sosteneva: «La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice».
Volando da Roma a Bruxelles più d’uno dovrebbe ricordarselo.