«Siamo nell’ora più buia ma non smettiamo di coltivare»

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Annamaria Barrile è la prima donna direttrice generale di Confagricoltura. Appello agli imprenditori agricoli: la scarsa marginalità non deve scoraggiare. Ma per supportarli servono programmi e politiche serie

L’agricoltura di oggi e quella del futuro, tra criticità e cambi di prospettive. L’analisi della neo direttrice generale di Confagricoltura Annamaria Barrile, 47 anni, siciliana, un trascorso professionale in diverse multinazionali, sposata e madre di due bambini. Barrile, prima donna Dg della storia ultra centenaria confederale, punta sul concetto di squadra e progettualità.

Direttrice, la sua nomina è coincisa con un periodo storico critico per il settore, e non solo, pandemia, guerra, aumento dei prezzi delle materie, siccità, reddito degli agricoltori diminuito. Come dare futuro alle aziende agricole?

Ci troviamo in un momento in cui si sommano molti fattori che rischiano di disincentivare, per necessità, l’attitudine dell’agricoltore a fare il suo mestiere, cioè coltivare. Proprio nel momento in cui invece l’aumento della produzione agricola è negli obiettivi primari nazionali e sovranazionali per compensare gli effetti della guerra e in generale della speculazione sui prezzi delle materie prime. Alcune aziende potrebbero paradossalmente trovare più conveniente concedere il diritto di superficie a chi sta facendo scouting di terreni per gli impianti fotovoltaici, piuttosto che impegnarsi in un aumento di produzione che è molto difficoltoso alla luce di una scarsa marginalità. Dobbiamo scongiurare che questo avvenga. Per dare futuro alle aziende ognuno deve fare la sua parte.

Crede che la politica stia facendo la sua parte?

La politica purtroppo non fa mai abbastanza. Un governo di larghe intese e un premier di spessore è un segnale importante di intelligenza politica. Però sia a livello nazionale che europeo, scontiamo l’assenza storica di programmazione. Come sistema Europa siamo stati carenti nel fare politica economica, industriale, agricola e oggi energetica. La Pac è diventata nel tempo sempre più un sostegno agli agricoltori e sempre meno una politica capace di guardare ai mutamenti del mercato. E oggi ci troviamo a fare i conti con questa poca lungimiranza.

Come considera nel suo insieme il Pnrr?

Un ottimo strumento perché l’agricoltura diventi fattore chiave nella transizione ecologica ed energetica a cui il Pnrr complessivamente punta. La mia preoccupazione è: quanto saremo capaci di attuarlo? I progetti all’interno del Piano necessitano di investimenti privati e sicuramente in un momento di grande incertezza c’è scarsa propensione all’investimento. Alcune misure, come la transizione 4.0, richiedono molti sforzi in termini di investimento e di ritorno. Inoltre sono preoccupata per la bassa capacità progettuale delle amministrazioni che, unitamente all’alta litigiosità politica che sconteremo da qui alle elezioni, non aiuterà nell’attuare tempestivamente ed efficacemente i progetti.

Venendo al suo incarico, mi dica tre priorità su cui baserà la sua azione all’interno di Confagricoltura.

La mia azione si muoverà su tre livelli: quello della squadra di Palazzo Della Valle a livello nazionale, quello del territorio, quindi delle federazioni regionali e delle unioni provinciali, e degli interlocutori istituzionali. Per quanto riguarda Palazzo Della Valle il mio impegno è rivolto nel costruire insieme ai miei colleghi una metodologia di lavoro diversa al fine di sostenere al meglio le nostre imprese. Dobbiamo lavorare da squadra e per obiettivi come normalmente si fa in un’azienda. Dobbiamo parlare la stessa lingua dei nostri associati e dare loro le giuste risposte. Questo è indispensabile proprio per poter mettere a punto il tema della progettualità. Il Pnnr, come spiegavo, ce lo impone. Per quanto riguarda il territorio l’obiettivo è accorciare la distanza. Il punto di comunicazione interna tra unione provinciale e federazione regionale e nazionale deve essere virtuoso.

E a livello di confronto istituzionale?

Dobbiamo far leva sulla nostra autorevolezza per potenziare la capacità di proposta sistematica e tempestiva.

Veniamo all’attualità. Partiamo dalla siccità e il rischio di un miliardo di euro di danni al settore. Come si può vincere la sfida non più procrastinabile dell’acqua come risorsa da preservare?

Servono azioni tempestive di intervento e azioni a medio-lungo termine. Nel breve periodo bisogna insistere affinché il governo adotti delle misure di emergenza. Certamente servono indennizzi adeguati, ma anche misure rapide per incrementare la disponibilità della risorsa idrica. In Italia ci sono realtà differenziate a livello regionale. In Umbria per esempio ci sono molti invasi pieni di acqua, però manca una rete distributiva. Quindi l’acqua rimane lì. Ci sono altre regioni che non hanno neanche gli invasi. Allora si può pensare di riattivare rapidamente i laghetti di collina o di montagna. Le soluzioni per l’immediato è bene che vengano concertate a livello regionale. E bisogna valutare situazione per situazione. Ci sono emergenze da sempre ed emergenze di oggi. Inoltre dobbiamo mettere in campo soluzioni diverse a seconda della realtà infrastrutturale di ogni Regione. Non abbiamo più tempo. Nel medio periodo dobbiamo puntare su una crescita innovativa e tecnologica. Più la produzione agricola è digitalizzata meno risorse naturali vengono impiegate. Un’ulteriore chiave di svolta è rappresentata dalla biogenetica. L’innovazione tecnologica e la genetica ci consentono di accelerare quel naturale processo di adattamento delle piante al contesto climatico evidentemente mutato.

L’altro tema è la food security, come si sta muovendo l’Europa?

La sicurezza alimentare avrebbe dovuto essere la direttrice lungo la quale cui si sarebbe dovuta muovere la politica agricola comune, così non è stato e questi sono i risultati. Ci sono senz’altro delle cose che possiamo fare per aggiustare un po’ il tiro, come per esempio chiedere che la rotazione delle colture sia sospesa. Sperando che questo basti perché si coltivi, per le ragioni che di cui sopra. Dobbiamo evitare che alcune decisioni e alcuni vincoli della nuova Pac inibiscano quella che invece deve essere la naturale evoluzione di questa situazione, cioè l’intensificazione della produzione. Se ci mettessimo d’impegno su questo tema, invece di pensare a mettere le etichette sul cibo, ci troveremo un pezzo avanti. Ma non ho l’impressione che la food security sia veramente nell’agenda della Commissione europea.

Chiedere agli agricoltori di produrre di più con meno input, è realmente sostenibile?

Non è utopistico, però richiede ragionevolezza. Non si può semplicemente dire di usare meno agrofarmaci. Userò meno agrofarmaci quando avrò a disposizione tecnologie che mi consentiranno di mantenere invariato il livello di produzione. È possibile nella misura in cui si mettono gli agricoltori nelle condizioni di farlo.

Alla luce di quanto affrontato, come sarà l’agricoltura del futuro?

Forse perché ho lavorato per dieci anni nel settore ad alta tecnologia dell’aerospazio difesa, sogno che l’agricoltura sia fatta di satelliti, droni, sistemi che consentiranno all’agricoltore di produrre di più con meno input sia naturali che chimici. E sogno che sia supportata non da soldi a pioggia, ma da politiche agricole pensate per il mercato.

«Siamo nell’ora più buia ma non smettiamo di coltivare» - Ultima modifica: 2022-07-14T08:44:34+02:00 da Laura Saggio

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