Uva da tavola, nessun arcobaleno dietro le attuali nuvole nere

Per Giacomo Suglia, presidente dell’Apeo, l’annata 2019 è stata deludente. Malgrado le rese basse e l’ottima qualità i prezzi sono stati inferiori a quelli del 2018. E le prospettive non sono rosee

In Puglia gli ultimi grappoli di uva da tavola sono stati tagliati a fine dicembre. Ma non tutti, molti di quelli lasciati sui ceppi per ritardarne la raccolta e valorizzarli come prodotto fuori stagione sono stati mestamente consegnati alla distillazione. La caduta del mercato dicembrino, solitamente vivace, è stata lo specchio di un’annata deprimente e non all’altezza delle aspettative.

Giacomo Suglia, presidente dell’Apeo.

È quanto afferma Giacomo Suglia, amministratore unico della Ermes snc di Noicattaro (Ba), tracciando il bilancio della campagna appena conclusa per il comparto dell’uva da tavola in Puglia, che garantisce il 65-70% dell’offerta nazionale, e quindi, più in generale, in Italia. E lo fa con la consapevolezza che gli deriva non solo dall’esperienza di un’azienda specializzata nella produzione (30 ha) e commercializzazione di uva da tavola con semi e apirena, ma anche dagli incarichi di presidente dell’Associazione dei produttori esportatori ortofrutticoli pugliesi (Apeo), le cui aziende assommano il 75-80% dell’offerta regionale, e di vicepresidente nazionale di Fruitimprese, cui l’Apeo è associata.

 

Difficoltà a trovare spazio sui mercati

Per Suglia i produttori pugliesi di uva da tavola sopportano costi di manodopera ed energetici più alti dei produttori di paesi concorrenti.

«Una primavera bizzarra, fredda e piovosa, soprattutto a maggio, durante il periodo della fioritura, ha creato problemi di allegagione che i produttori hanno fronteggiato con professionalità e tecnica riuscendo a evitare ripercussioni sulla qualità, veramente buona, senza tuttavia scongiurare cali delle rese, risultati notevoli e pari al 40-50% per le varietà precoci e al 25% per quelle medie e tardive. Eppure, malgrado l’offerta ridotta e l’ottima qualità, il prodotto italiano ha avuto difficoltà a trovare il meritato spazio sul mercato nazionale e su quelli esteri, anche perché ha sofferto la concorrenza sleale di paesi europei, come Spagna, Francia e Grecia, ed extraeuropei, come quelli del Nord Africa e la Turchia, che non hanno i nostri costi e obblighi legislativi. Mi riferisco in particolare ai costi della manodopera per salari e contributi previdenziali e ai costi energetici poiché il trasporto dell’uva avviene solo su gomma e in Italia il gasolio per autotrazione costa 25-30 centesimi più che in Spagna e Grecia. Inoltre abbiamo più obblighi per i contratti di lavoro e subiamo più controlli, altrove inesistenti o molto più elastici».

 

Offerta inferiore al 2018, ma prezzi più bassi!

I prezzi al produttore per l’uva Italia sono stati nel 2018 0,65-0,75 €/kg, invece nel 2019 0,55-0,65 €/kg.

Malgrado l’offerta sia stata inferiore a quella del 2018, i prezzi sono stati più bassi, commenta amaramente Suglia. «Nel 2018 le rese sono state abbastanza alte, ma i prezzi hanno tenuto. Invece nel 2019, a fronte di rese sostanzialmente basse, i prezzi, che stimavamo in crescita, sono stati deludenti. Ad esempio i prezzi al produttore per l’uva Italia sono stati nel 2018 0,65-0,75 €/kg, invece nel 2019 0,55-0,65 €/kg! Insomma l’annata non è stata remunerativa, ci abbiamo rimesso o, al più, non abbiamo registrato bilanci positivi».

 

Uve apirene, strada difficile e costosa da percorrere

Le uve apirene richiedono maggiori costi di manodopera, di imballaggio e di trasporto.

I produttori di uva da tavola pugliesi non stanno con le mani in mano, sostiene Suglia, cercano nuove strade, ma sono difficili da percorrere. «Sappiamo confrontarci con il mercato. Pur avendo una lunga storia di uve con semi, ora abbiamo imparato a produrre ottime uve apirene, in coerenza con l’orientamento della domanda europea. Cresce la nostra offerta di uve apirene, fra alcuni anni queste ne costituiranno il 50%. Ma le uve apirene pongono altri problemi: necessitano del pagamento di royalty e, per almeno l’80-90%, del confezionamento in cestini da 0,5 kg, perciò richiedono maggiori costi di manodopera, di imballaggio e di trasporto, costi che, pur a fronte di prezzi al produttore più favorevoli, appesantiscono il bilancio».

 

Mancano mercati come Russia e Cina

Ai produttori pugliesi mancano mercati importanti come la Russia e la Cina.

E poi, rimarca Suglia, ai produttori pugliesi mancano alcuni mercati. «Ci manca in primo luogo il mercato russo, a causa dell’embargo che perdura ormai da anni, perché la Russia alimentava un forte domanda di uva da tavola così come di altri prodotti ortofrutticoli. Ci mancano anche i mercati asiatici, chiusi da una eccesiva burocrazia, come la Cina che presenta in tutti i campi un elevato tasso di inquinamento ma impone ai prodotti italiani, come l’uva da tavola, protocolli fitosanitari decisamente troppo restrittivi».

 

Investire ex novo in uva da tavola? Meglio aspettare tempi migliori

Per Suglia l’intero settore agricolo è in difficoltà e il comparto dell’uva da tavola in particolare sofferenza, anche in prospettiva.

A chi volesse oggi investire ex novo nel comparto dell’uva da tavola, conclude Suglia, «io direi di aspettare momenti migliori, perché vedo l’intero settore agricolo in difficoltà e il comparto dell’uva da tavola in particolare sofferenza, anche in prospettiva. In Italia non esiste un reale progetto complessivo di sviluppo dell’agricoltura, mentre la Spagna ha un’agricoltura che vale cinque volte la nostra e la Grecia per uscire dalla crisi sta puntando proprio sull’agricoltura. Inoltre oggi esistono grossi problemi a livello mondiale che compromettono la stabilità e la vivacità dei mercati. La globalizzazione che aveva suscitato tante speranze commerciali la vedo minata da conflitti e litigi sia all’interno di singoli paesi sia fra un paese e l’altro».

Uva da tavola, nessun arcobaleno dietro le attuali nuvole nere - Ultima modifica: 2020-01-11T22:35:26+01:00 da Giuseppe Francesco Sportelli

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