Anche se di portata limitata, le misure adottate dall’Ue per mitigare gli effetti della nuova Pac dopo la crisi sul mercato delle commodity agricole generata dall’aggressione della Russia all’Ucraina, facevano sperare che le istituzioni europee avessero compreso i gravissimi rischi strategici generati dalle politiche eco ideologiche che stanno trascinando l’agricoltura dell’Unione e l’intero Vecchio continente verso l’insufficienza alimentare e la dipendenza dalle forniture estere.
La Pac 2023-27 è stata concepita in un’epoca nella quale abbondanza e stabilità sembravano destinate a durare per sempre. Questo ha spinto la maggioranza dei Paesi europei (soprattutto quelli con agricolture marginali, cioè quelli del Nord), ad abbracciare in modo totalmente acritico posizioni ecologicamente estreme anche per il facile consenso ottenibile a fronte di un costo politico apparentemente irrisorio.
Il risultato è una Pac che vuole la riduzione della produzione agricola attraverso la demonizzazione delle coltivazioni intensive, caratterizzate da grande efficienza e produttività, quasi come se questi due aspetti virtuosi fossero un difetto. Penalizzando così soprattutto le aree agricole del Sud Europa.
Anteprima di Terra e Vita 34/2023
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La mia speranza si è rivelata vana, anche per l’incertezza normativa degli ultimi mesi, che, alla vigilia delle semine dei cereali a paglia ha costretto gli agricoltori a fare scelte obbligate che cambieranno radicalmente l’assetto produttivo di intere aree agricole come la Pianura Padana. Il divieto alla mono-successione di colture come il mais creerà enormi problemi ad aree ad alta densità zootecnica. Questi si tradurranno in una riduzione della produzione e forse anche della qualità dei prodotti derivati, in quanto diventeremo più dipendenti dalle importazioni di commodity da Paesi i cui impianti normativi non garantiscono i livelli di qualità e salubrità che invece noi abbiamo.
Prodotti come Grana Padano e i prosciutti (nelle loro varie declinazioni), che rappresentano una quota importantissima dell’export agroindustriale Italiano, saranno i più colpiti.
Incomprensibile poi l’opposizione così debole da parte delle istituzioni che governano l’agricoltura italiana verso provvedimenti che danneggeranno fortemente tutto il settore agroindustriale. Forse ne sottovalutano negli effetti. Partendo dal ministero delle Politiche Agricole che essendo diventato anche della sovranità alimentare, avrebbe dovuto reagire in modo decisamente più forte contro l’eco-burocrazia di Bruxelles: prima riuscendo a ottenere deroghe specifiche per aree le cui colture sono fondamentali per produrre Dop e Igp, poi mettendo in discussione tutto l’impianto della nuova Pac.
Anche i sindacati sembrano aver dimenticato che il settore va difeso, prima che cambiato, presidiando tutti i luoghi dove si formano le idee. Cosa che evidentemente le lobby eco-idealiste del signor Timmermans hanno saputo fare molto meglio e dalle quali forse bisognerebbe imparare.
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Infine, noi agricoltori dovremmo uscire dalle nostre aziende, avere una visione più ampia dei problemi e provare a scegliere meglio i nostri rappresentanti sindacali e politici per indirizzare le loro scelte nella giusta direzione.
Non sono ottimista, ma credo che il mondo agricolo almeno ci debba provare: solo se la spinta verrà dal basso ci potranno essere cambiamenti in politiche che, se non modificate, porteranno il settore primario del Sud Europa verso la totale irrilevanza.
di Giuseppe Elias
imprenditore agricolo e membro del Comitato tecnico-scientifico di Edagricole
Se questo modo di pensare fa parte di un comitato scientifico per l’agricoltura siamo a cavallo. Per una cosa però sono d’accordo, c’era da fare molto di più ma non per rimanere impantanati nel vecchio mondo non sostenibile ma perché non c’è di più falso che i prodotti spacciati come italiani o Made in Italy. Dove nel migliore dei casi c’è una scarsa percentuale di prodotti fatti qui, nella stragrande maggioranza sono fatti di materie prime importate. Invece che sparare sull’innovazione, la sostenibilità e la salute, combattete contro chi non vuole inserire info chiare nelle etichette, chi importa dall’estero prodotti che in Italia non si possono neanche coltivare e fanno concorrenza sleale. SVEGLIA!!
Purtroppo la mia decennale esperienza, iniziata in Confagricoltura, agli albori delle quote latte, proseguita in Copagri, poi in Terra Viva Cisl e oggi in AIC mi fa dire che la spinta dal basso (sacrosanta in ogni situazione in cui si delega attraverso il voto) andrebbe ragionata e valutata sulle persone che si propongono di rappresentare gli interessi di una categoria e poi controllata: non è sufficiente “votare” e poi lamentarsi se chi ci dovrebbe rappresentare fa i suoi affari e non quelli di chi lo ha eletto a rappresentarlo. Gli impegni in campagna sono sempre di più e il tempo da dedicare ai rappresentanti di categoria spesso non lo si vuole trovare facendo così il gioco di qualcuno più navigato in queste acque sempre più melmose…. Aggiungiamo che le varie OO.PP. non “gradiscono” neppure più il lavoro dei professionisti all’interno dei CAA di cosa vogliamo ancora parlare?