Veri contadini? di Beatrice Toni
Dove sono i veri contadini? Lo ha chiesto Petrini a proposito di Expo.
Non ci interessano in realtà né il guru dello slow food, né l’esposizione internazionale del cibo. L’interrogativo sì. Gli agricoltori (ci chiamiamo così) sono nella narrazione che se ne fa. E di chi la fa. Di chi costruisce progetti di filiera e li racconta come fornitori dal volto pulito; di chi li dipinge come virtuosi utilizzatori di mezzi tecnici e rilegittima la temuta tecnologia; di chi li trasforma in custodi dell’ambiente per avallare le proprie politiche; di chi li recluta come testimonial di genuinità ed eticità del cibo che distribuisce. Fino al limite dello stereotipo. Fino a una storia unica e univoca.
Se quella storia la raccontassimo noi avremmo fatalmente meno emozioni da vendere. Racconteremmo che il paradiso terrestre, cieli tersi e venti rabbiosi, è spesso minacciato dal clima e dalle nutrie (molto prosaico, no?), dai prezzi erosi anno dopo anno (redditi giù sul grano e sul mais, sull’ortofrutta…), dal delirio normativo e burocratico nazionale ed europeo, dallo stato di costante attesa e incertezza circa il futuro. Anche questo è il sapore dell’agricoltura. Senza peraltro essere stereotipo.
La narrazione può iniziare con le frecce dei nativi americani o con l’arrivo dei britannici ed essere del tutto diversa. Ma se cambio la percezione, cambio la reazione. Ad esempio la storia della fame nel mondo può cominciare da chi produce il cibo oppure da chi controlla le filiere fino alla distribuzione.
Ricominciamo a narrare la storia per innescare il cambiamento?
Magari! di Andrea Segrè*
La narrazione, lo storytelling (scritto proprio così, tutto attaccato), il racconto esperienziale, i sapori e le emozioni di una volta fino a scomodare l’ignaro Virgilio e le sue Bucoliche. Guru e santoni vari che parlano, riparlano, straparlano…Ma a chi e per chi? Orecchi aperti, durante Expo ne sentiremo e vedremo tante.
Gli effetti sull’opinione pubblica e anche sulla politica o meglio sui decisori politici sono piuttosto evidenti. Sono degli opinion makers che influenzano i cosiddetti decision makers. Ma il vantaggio non è collettivo. No, si tratta di una vera e propria autopromozione: niente a che vedere con quello che dovrebbe essere il marketing territoriale per valorizzare il territorio e i suoi prodotti, dunque i produttori-agricoltori-imprenditori.
«Contadino – ma lo abbiamo già scritto più volte – sarà lei!» (magari), gli dovremmo dire. Del resto, la filosofia del cibo lento, della filiera corta, del chilometrozero, vanno prese in quanto tali: pensieri belli.
Ma nella realtà rappresentano solo onde corte che increspano il mare in superficie, senza però modificare le grandi correnti. Se veramente vogliamo “nutrire il pianeta” l’unica strada è ridare il valore al cibo e a chi lo produce.
Ma quale cibo? Un cibo medio, né troppo “basso” né troppo “alto”. Proprio quello che i nostri agricoltori sanno produrre. Se Expo non ci aiuta a ripartire da qui, servirà davvero a poco.
(*) Presidente Centro AgroAlimentare Bologna