Negli ultimi anni si è assistito alla proliferazione degli impianti fotovoltaici installati a terra. Nel periodo 2007-2010 l’elevata incentivazione ha innescato, infatti, due fenomeni tra loro dipendenti:
- l’installazione di impianti a terra di potenza medioalta, per acquisire economie di scala proporzionali alla potenza installata;
- l’occupazione di una crescente superficie agricola sottratta alla coltivazione.
A tal proposito, il Report statistico pubblicato dal GSE ad aprile 2011 mostra che circa il 40% della potenza fotovoltaica installata in Italia fino al 2010 proviene da impianti fotovoltaici installati a terra (1,47 GW su un totale di 3,46 GW), causando un’occupazione di suolo pari a circa 3.317 ettari.
Molti imprenditori agricoli e proprietari terrieri hanno sfruttato l’opportunità del fotovoltaico a terra, ma – anziché investire direttamente – hanno preferito incassare le laute rendite offerte da investitori estranei al settore primario. Le motivazioni per cui gli agricoltori hanno preferito cedere a terzi le superfici agricole, anziché investire direttamente, sono diverse ed anche comprensibili: elevato investimento iniziale, necessità di know-how e di competenze specifiche, esigenza di continuo aggiornamento delle procedure, inadeguatezza ad affrontare investimenti nel settore delle energie rinnovabili.
Gli imprenditori agricoli hanno quindi assistito passivamente all’occupazione di superficie agricola da parte di investitori esterni.
Nel 2010, finalmente, il decisore pubblico è intervenuto a limitare la proliferazione del fotovoltaico a terra – dapprima con la pubblicazione delle Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili e, poi, apportando un drastico taglio agli incentivi per i parchi fotovoltaici con il terzo conto energia – cercando, al contempo, di promuovere la realizzazione di impianti fotovoltaici sugli edifici (residenziali, commerciali, pubblici e privati).
Il 5 marzo 2011, con il Dlgs 28/2011, sono stati stabiliti dei limiti cogenti per gli impianti fotovoltaici installati su terreni agricoli – ribaditi, poi, nel Dm 5/5/2011 (vedi box 1 a pag. 8).
Inoltre, lo stesso Dm 5/5/2011, ha introdotto la distinzione fra piccoli e grandi impianti fotovoltaici, istituendo per quest’ultima categoria un apposito registro dei grandi impianti (vedi box 2 a pag. 11).
In definitiva, allo stato attuale, i grandi impianti fotovoltaici a terra sono ‘ostacolati’ da provvedimenti restrittivi apportati dal decisore pubblico per contenere l’eccessivo sfruttamento dei terreni agricoli, spesso causato da capitali ed investitori extraagricoli. Nonostante la riduzione dell’incentivazione e i nuovi vincoli, il fotovoltaico a terra rappresenta ancora un’opportunità di reddito, soprattutto per gli imprenditori agricoli. Vediamone quindi i conti economici, con la stessa metodologia utilizzata, in un precedente articolo, per gli impianti fotovoltaici installati sugli edifici aziendali (Terra e Vita n. 3132/ 2011 pag. 8).
GLI IMPIANTI E IL METODO DI ANALISI
L’analisi economica è basata sul confronto dei redditi netti medi annui generati da tre impianti fotovoltaici installati su terreno agricolo – le cui caratteristiche sono contenute in tab. 1 – entranti in esercizio in tre periodi diversi:
- secondo semestre 2012;
- secondo semestre 2013;
- secondo semestre 2014.
La variazione dei redditi netti medi annui dipenderà dall’entità della diminuzione delle tariffe incentivanti e dall’andamento dei costi degli impianti fotovoltaici, il cui trend attualmente è in netto calo.
Prevedere i ricavi è assai semplice, poiché è sufficiente fare riferimento alle tabelle sugli incentivi previste dal Dm 5/5/2011.
Prevedere i costi di investimento, invece, implica un certo margine di errore, causato dall’incertezza sull’andamento dei prezzi dei pannelli fotovoltaici, sebbene sia plausibile ritenere che nei prossimi anni il costo d’installazione degli impianti diminuirà in maniera graduale (vedi figura), grazie all’affermazione delle economie di scala nell’industria fotovoltaica.
COSTI D’INVESTIMENTO
La scelta della potenza dell’impianto analizzato è di 500 kW che, in funzione delle limitazioni poste dalDm5/5/2011 (box 1), impone che l’imprenditore agricolo disponga di una superficie agricola almeno di 10 ettari.
Il costo d’investimento per un impianto chiavi in mano di 500 kW, al netto dell’IVA e delle spese per la connessione alla rete, è di circa 1.250.000 euro nel 2012 (tab. 2); tale costo diminuisce nel corso degli anni rispetto a quello previsto per il 2012 (-10% nel 2013 e 1-5% nel 2014) poiché, come premesso, si ritiene verosimile un trend decrescente dei prezzi degli impianti, come previsto dall’Epia (vedi figura). L’investimento è stato determinato confrontando le previsioni Epia con i dati forniti da alcuni produttori e installatori di moduli fotovoltaici italiani. Il finanziamento dell’investimento è ipotizzato tramite un mutuo quindicennale al tasso del 6%, tenendo conto che l’importo dell’investimento è normalmente superiore alle normali disponibilità finanziarie di un imprenditore agricolo.
COSTI E RICAVI D’ESERCIZIO
Entrato in esercizio l’impianto, i costi da sostenere annualmente sono:
- la manutenzione ordinaria e l’assicurazione dell’impianto, stimata come 1% del costo d’investimento;
- le spese generali, stimate come 0,5% del costo d’investimento;
- il corrispettivo per il ritiro dedicato dell’energia elettrica pari allo 0,5% del ricavo proveniente dal ritiro dedicato dell’energia prodotta fino ad un massimo di 3.500 € (solo nel primo caso di studio);
- gli interessi passivi medi annui (oneri finanziari) generati da un mutuo di 15 anni d’importo tale da finanziare al costo di investimento, con tasso d’interesse al 6%;
- l’ammortamento ventennale dell’impianto.
Al contempo, i ricavi annualmente generati dall’impianto provengono da:
- l’incentivazione in conto energia e l’introito del ritiro dedicato nel primo caso di studio (2012);
- la tariffa omnicomprensiva negli altri due casi di studio (2013 e 2014).
Dopo aver quantificato i ricavi, i costi e il reddito netto, l’analisi economica prevede il calcolo dei principali parametri di valutazione degli investimenti:
- il Van (valore attuale netto) che misura i profitti netti attualizzati che l’investimento è in grado di fornire;
- il Tir (tasso interno di rendimento) che indica il saggio di sconto che annulla il Van;
- il Trc (tempo di recupero del capitale o payback period) che indica il periodo di tempo necessario per recuperare il capitale investito.
I RISULTATI ECONOMICI
Il primo caso oggetto di analisi è quello di un impianto che entra in esercizio nel secondo semestre del 2012, beneficiando di un’incentivazione in conto energia di 155 €/MWh (tab. 2).
Esso potrà inoltre usufruire dei ricavi derivanti dal ritiro dedicato (vendita “indiretta” dell’energia elettrica attraverso il GSE che funge da intermediario) calcolati, cautelativamente, facendo riferimento al valore del prezzo minimo garantito.
Il valore del reddito netto medio annuo è di 39.452 € (pari a 79 €/anno per kW installato): questi valori dimostrano la convenienza economica dell’investimento confermata dal valore ampiamente positivo del Van e del tasso di rendimento interno (tab. 2).
Il secondo caso riguarda la stessa tipologia di impianto che, però, entra in esercizio nel secondo semestre 2013, beneficiando di una tariffa omnicomprensiva di 217 €/MWh (tab. 2). Il passaggio dall’incentivazione feed-in premium all’incentivazione feed-in tariff comporta una notevole riduzione della profittabilità dell’investimento, il quale genera un reddito netto medio annuo pari a 26.450 €/anno (53 €/anno per kW installato). Il Van, pur diminuendo drasticamente, continua ad assumere un valore ampiamente positivo, a dimostrazione della convenienza economica dell’investimento. Il tempo di ritorno del capitale passa da nove a dieci anni, mentre il tasso di rendimento interno, pur diminuendo, rimane ancora largamente superiore ai rendimenti degli investimenti in agricoltura (tab. 2).
Il terzo ed ultimo caso analizzato riguarda l’impianto che entra in esercizio nel secondo semestre del 2014, avvalendosi di una tariffa omnicomprensiva di 164 €/MWh (tab. 2). Il reddito netto medio annuo assume un valore positivo, ma assai più basso rispetto agli al tri due casi: 414 €/anno, pari ad appena 0,8 €/anno per kW di potenza installata. Gli indici finanziari dimostrano che l’investimento non è conveniente al saggio di sconto prescelto (6%); il Van, infatti, assume un valore ampiamente negativo, mentre il tempo di recupero del capitale è ben superiore a dieci anni.
L’analisi economica condotta su tre impianti fotovoltaici ‘chiavi in mano’, installati a terra in tre periodi diversi, dimostra che questi investimenti sono ancora capaci di generare interessanti redditi netti medi annui, con l’eccezione dell’impianto che entra in esercizio nel secondo semestre 2014.
CONFRONTO TRA 500 KW E 1MW
I risultati economici di un impianto di 500 kW sono ben diversi da quelli di 1MW; questa considerazione vale sia per quelli entranti in funzione nel 2012 che nel biennio successivo. Il motivo è dovuto al fatto che i costi d’investimento sono inversamente proporzionali alla potenza installata.
La tab. 3 permette di notare come un impianto di 1 MW, installato nel secondo semestre 2014, genera un reddito annuo per kW installato ben più alto di quello di 500 kW, grazie alla massimizzazione dell’effetto positivo sopra descritto.
Ciò precisato, è intuitivo comprendere che risulterebbe più conveniente installare una potenza corrispondente a 1 MW (limite superiore di una delle sei classi di potenza individuate dalDm5/5/2011).
I risultati economici, illustrati in tab. 3, dimostrano che il reddito netto degli impianti da 1 MW rimane positivo, nonostante la drastica riduzione degli incentivi per gli impianti a terra e le limitazioni imposte dal Dm 5/5/2011. Pertanto, l’unico deterrente alla proliferazione degli impianti di 1 MW sui terreni agricoli, sarà l’obbligo di destinare all’installazione di un impianto a terra non più del 10% della superficie agricola nelle disponibilità del proponente. Infatti, un impianto di 1MWsu terreno agricolo (non abbandonato da più di 5 anni) occuperebbe circa 2 ettari e quindi bisognerebbe disporre di circa 20 ha di terreno agricolo.
*Univ. di Perugia