Pinete artificiali, i tempi della rinaturalizzazione

rinaturalizzazione
l cantieri di esbosco realizzati nell’ambito del progetto Morinabio finanziato dal Psr Abruzzo

L’opera di ricostituzione boschiva di superfici spoglie da vegetazione arborea ha avuto inizio, fin dai primi anni del 1900, nell’Appennino centro-settentrionale ed è stata compiuta mediante rimboschimenti con conifere. Il pino nero (inizialmente Pinus nigricans Horst., successivamente anche Pinus laricio Poiret impiegato soprattutto su suoli silicatici) fu la specie generalmente preferita sia per la facilità di allevamento in vivaio, sia per le caratteristiche spiccatamente pioniere. Oltre agli scopi essenzialmente protettivi quali conservazione del suolo, riforestazione dei terreni agricoli o pascolivi abbandonati, rimboschimento delle aree improduttive, preparazione del suolo alle specie autoctone forestali, i rimboschimenti hanno permesso di recuperare estese superfici in gravi condizioni di dissesto garantendo un netto miglioramento delle funzioni idrogeologiche su ampie aree dell’Appennino.

Il forte impegno finanziario sostenuto per la realizzazione di questi interventi è stato indirizzato principalmente a sostenere la piantagione e raramente le prime cure colturali (risarcimenti e ripuliture) necessarie a favorire l’attecchimento delle piantine, mentre scarsa o nulla rilevanza è stata data all’esecuzione dei successivi interventi colturali (i necessari diradamenti).

Per questi sistemi artificiali si pone, oggi, la prospettiva di organizzarne ed accelerarne la rinaturalizzazione, intendendo con questa espressione un’azione colturale tesa alla valorizzazione dei processi naturali di autorganizzazione del sistema bosco, prescindendo da qualsiasi modello predefinito. Questi rimboschimenti realizzati con finalità protettive dei soprassuoli in precario equilibrio fisico e biologico, a causa dell’età avanzata e di trattamenti inadeguati risultano oggi di difficile gestione. In tale contesto è necessario individuare sistemi selvicolturali idonei, nuovi processi, tecniche di esbosco e lavorazione, tramite metodologie sostenibili che favoriscano la rinaturalizzazione dei rimboschimenti con latifoglie autoctone, l’aumento della biodiversità e la redditività ed efficienza delle filiere forestali di montagna, supportandone l’innovazione e la crescita occupazionale.

Rimboschimento come opportunità

L’Abruzzo è una di quelle regioni in cui queste situazioni sono molto frequenti, proprio per far fronte a queste problematiche è stato finanziato nell’ambito del Psr Abruzzo 2007-2013, Mis. 124, il progetto Morinabio “Innovazione di processo in filiere forestali tese alla produzione di biomasse vergini da destinare a fini energetici attraverso il ricorso a modelli colturali compatibili con la rinaturalizzazione di rimboschimenti in Abruzzo”: i rimboschimenti quindi, non più come problema da gestire, ma come opportunità per accrescere l’efficienza funzionale del sistema forestale a difesa del territorio e per sviluppare economie ecocompatibili.

Il progetto Morinabio, in continuità con studi e ricerche precedenti, si è proposto quindi di contribuire a dare una risposta, anche se parziale, ai problemi derivanti dalla gestione delle conifere, attraverso lo sviluppo di nuovi processi selvicolturali, tecniche di esbosco e lavorazione, fino alla produzione di cippato di legno per usi energetici e relativo sistema di tracciabilità, in ambito di filiera forestale. Ciò ha consentito la messa a punto di metodiche sostenibili e manualistiche per la rinaturalizzazione dei rimboschimenti di conifere, l’aumento della biodiversità, della redditività e dell’efficienza delle filiere forestali di montagna, supportandone l’innovazione e la crescita occupazionale, contribuendo così alla nuova regolamentazione del settore.

 

L’area d’intervento

L’area di studio è rappresentata da un impianto di pino nero, coetaniforme, con età media di 60 anni, situato in località Passo delle Capannelle, nel Comune di Pizzoli (Aq), ad una quota di circa 1.300 metri s.l.m., con pendenza media del 50%. Il trattamento selvicolturale previsto è stato quello per denominazione tecnica definito taglio di smantellamento, che si configura come un taglio raso a strisce su superfici limitate, con lo scopo di favorire l’insediamento della nuova generazione di alberi. In fase di progettazione dell’intervento, il popolamento è stato suddiviso in due blocchi da 12 strisce ciascuno per un totale di 24 strisce, lunghe 100 metri e larghe 15 m, prevedendo di intervenire su una superficie di circa 2 ettari alternando una striscia tagliata ad una non tagliata. I due blocchi sperimentali individuati sono attestati lungo la viabilità forestale primaria. Il sistema di utilizzazione è stato quello della pianta intera con direzione di esbosco da monte verso valle. L’organizzazione del cantiere ha previsto l’abbattimento semimeccanico con motosega, mentre il concentramento e l’esbosco è stato effettuato con tre metodologie differenti a confronto: con trattore e verricello, con cavalli da tiro (TPR) e con gru a cavo a stazione motrice mobile. Le piante una volta giunte bordo strada forestale venivano trasportate all’imposto (distante in media circa 400 m) con trattore per strascico diretto, quindi scaricate e cippate sul posto.

 

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Pinete artificiali, i tempi della rinaturalizzazione - Ultima modifica: 2016-01-29T12:32:42+01:00 da Sandra Osti

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