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A questo punto non dovrebbe
essere difficile
piegare l’esecutivo
sulla linea del Consiglio e
del Parlamento europeo. La riforma
Pac fa tappa a Dublino,
per il Consiglio informale che
saluta di fatto la presidenza
irlandese (da luglio tocca alla
Lituania), dove si è discusso
di pagamenti accoppiati, convergenza
interna e capping.
La sostanza è: va smontata
l’obbligatorietà del Flat rate,
l’aiuto a ettaro uguale per tutti,
nel 2019.
Sul tema è arrivato preparato
anche il nuovo ministro delle
Politiche agricole, Nunzia
De Girolamo: «Sulla questione
della convergenza interna
sono convinta che la proposta
del Consiglio e la controproposta
del Parlamento europeo vadano
nella giusta direzione.
Per questo motivo chiediamo
alla Commissione di tenerne
conto. Credo che un appiattimento
eccessivo dei pagamenti
erogati ai nostri agricoltori,
con l’obiettivo di pervenire a
valori uniformi al 2019, penalizzerebbe
settori specializzati
e che hanno investito molto
in termini strutturali e occupazionali
». L’altra questione
aperta riguarda l’innalzamento
dal 12 al 15% del massimale
per gli aiuti accoppiati. Soluzione
che vanta una solida
maggioranza in Consiglio dei
ministri.
Mentre proseguono i lavori
tra le delegazioni del Parlamento
europeo e del Consiglio
per tentare di raggiungere
entro giugno l’accordo sulla
riforma della Pac, è scontro
aperto invece sulle questioni
di bilancio.
Il Parlamento ha dichiarato
che non darà il via libera al
quadro finanziario pluriennale
per il periodo 2014-2020,
approvato nel febbraio scorso
dai capi di Stato e di governo
della Ue, in assenza di uno
stanziamento aggiuntivo sul
bilancio di quest’anno di almeno
11,2 miliardi di euro.
Un’integrazione che, secondo
le indicazioni espresse dal
gruppo del Partito popolare
europeo, risulta indispensabile
per scongiurare una crisi
finanziaria già nel prossimo
mese di luglio.
Secca la replica del Consiglio:
siamo disponibili a stanziare
nuove risorse per un ammontare
limitato a 7,3 miliardi,
e questi fondi saranno effettivamente
resi disponibili
solo dopo aver siglato l’intesa
sul quadro finanziario sino
al 2020.
Una posizione che il Parlamento
ha subito bollato come
«inaccettabile».
Il fatto è che anche sul
bilancio pluriennale si registra
sinora una netta diversità
di vedute tra Parlamento e
Consiglio.
I parlamentari non intendono
rimettere in discussione le
cifre assolute (960 miliardi di
euro in crediti di impegno e
913 per i pagamenti) concordate
dai leader dei 27 Stati
membri, ma hanno chiesto
l’inserimento nell’accordo di
una clausola di revisione e la
possibilità di trasferire da un
anno all’altro le somme non
spese rispetto al preventivo.
Da parte del Consiglio sono
arrivate aperture sulla clausola
di revisione, da far scattare
non prima del 2017, per
tener conto dell’evoluzione
della situazione economica.
Spetterebbe alla Commissione
di valutare la necessità di
presentare proposte di variazione
sulle quali il Consiglio
deciderebbe in ogni caso all’unanimità.
Sulla questione del riporto
degli stanziamenti non spesi
da un anno all’altro, la posizione
del Consiglio non è favorevole.
C’è da considerare, al riguardo,
che allo stato degli
atti le somme non spese vengono
restituite ai bilanci nazionali
che sono di questi
tempi generalmente sotto
pressione.
Le trattative tra le Istituzioni
della Ue continueranno nelle
prossime settimane e
l’obiettivo della presidenza
di turno irlandese del Consiglio,
da molti ritenuto troppo
ambizioso, è quello di chiudere
l’accordo entro giugno.
Un fatto sembra comunque
scontato. È da escludere
qualsiasi ipotesi di riapertura
del budget 2014-2020 per
l’agricoltura. I fondi resteranno
bloccati a 278 miliardi di
euro da destinare al pagamento
degli aiuti diretti della
Pac, e a 85 miliardi per i
programmi di sviluppo rurale.
Rispetto alle proposte che
erano state avanzate dalla
Commissione, gli stanziamenti
per l’agricoltura hanno
subìto un taglio di 17 miliardi
di euro.