Moria dell’actinidia, le lontane cause e le impegnative soluzioni

La moria dell’actinidia è un problema che sta assumendo una dimensione nazionale e il suo impatto, in termini di riduzione della produttività degli impianti, preoccupa tutti gli operatori della filiera. Su questo complesso tema operano i gruppi di lavoro “Irrigazione” e “Actinidia” della Società di ortoflorofrutticoltura italiana (Soi) che, sensibilizzati dalle richieste pervenute dal comparto, hanno condiviso la necessità di organizzare insieme il webinar “Ciclo dell’acqua e moria delle piante di actinidia” come occasione di dibattito/confronto. I relatori hanno individuato le cause che vengono da lontano, in primo luogo la perdita di sostanza organica dei terreni, e proposto alcune soluzioni, necessariamente impegnative.

 

L’eccesso di acqua danneggia l’apparato radicale

Cristos Xiloyannis, già docente dell’Università della Basilicata

La moria delle piante di actinidia è causata da un eccesso di acqua che danneggia l’apparato radicale, ha introdotto Cristos Xiloyannis, già docente dell’Università della Basilicata.

«La moria è diffusa soprattutto nelle aree dove i terreni non drenano bene e si ha una piovosità invernale elevata. I terreni mal strutturati, cioè poveri o addirittura privi di sostanza organica, sono predisposti a tale fenomeno.

Se un suolo non drena bene, l’effetto cumulato delle piogge che cadono, a volte in grandi quantità, durante la stagione invernale, e di una errata gestione irrigua, forma ristagni idrici e terreni asfittici. L’acqua invade i macropori a scapito dell’ossigeno.

L’apparato radicale dell’actinidia in condizioni di eccesso idrico collassa, imbrunisce, perde la funzione naturale di assorbire acqua e sali minerali

L’apparato radicale dell’actinidia in condizioni pedologiche e idriche ottimali è ricco di radichette bianche, molto denso, con alta capacità di produzione e ricambio del capillizio radicale. Invece in condizioni di eccesso idrico collassa, imbrunisce, perde la funzione naturale di assorbire acqua e sali minerali».

Quando l’agricoltore si accorge dello stato di iniziale moria delle piante, per salvarle, prima che la base del tronco, il colletto, venga danneggiato da funghi del terreno, deve buttare tutti i frutti e compiere una potatura drastica, ha suggerito Xiloyannis.

«Poi deve cominciare a ripristinare la sostanza organica, fondamentale per unire gli aggregati che determinano la buona struttura del terreno. Sapendo, però, che questo è un processo molto lungo, che non si può risolvere in due-tre anni con l’apporto di qualche quintale per ettaro di letame o compost.

Altri interventi utili sono l’inerbimento, la baulatura del filare, la rottura, nell’interfila, dopo la raccolta, del suolo compatto con un ripper per favorire il movimento laterale dell’acqua in eccesso, lo scavo di una trincea a 0,8-1 m dal filare per facilitare il drenaggio e lo sviluppo dell’apparato radicale».

 

La strategia irrigua per contenere l’eccesso idrico

Bartolomeo Dichio, docente dell’Università della Basilicata

Un’adeguata strategia irrigua può tuttavia contribuire a contenere l’eccesso idrico che determina la moria delle piante, come pure a evitare la carenza idrica, e quindi a impedire, in un caso e nell’altro, perdite di produzione non indifferenti, ha affermato Bartolomeo Dichio, docente dell’Università della Basilicata.

«Se per tre-quatto anni si gestisce l’irrigazione favorendo la formazione di ristagni idrici, ai quali poi si associa una abbondante piovosità invernale, l’actinidieto soffrirà per l’eccesso di acqua.

L’actinidia ha bisogno di acqua, ma teme i ristagni idrici. Perciò bisogna rendere l’acqua disponibile evitando la formazione nel terreno di condizioni asfittiche, distribuendo l’acqua man mano che la pianta ne ha bisogno».

Un’adeguata strategia irrigua può contribuire a contenere l’eccesso idrico che determina la moria delle piante

Partendo da tali presupposti, negli areali suscettibili a moria, cioè caratterizzati da piogge invernali abbondanti e da terreni pesanti e destrutturati, diventa fondamentale il ricorso all’irrigazione di precisione.

«In tali areali la strategia irrigua deve essere basata sull’apporto di volumi irrigui frazionati che interessano solo gli strati superficiali, quelli esplorati dall’apparato radicale dell’actinidia, sul monitoraggio del contenuto idrico del suolo con sonde e sullo svuotamento degli strati profondi. Inoltre su impianti con sintomi di moria occorre considerare una riduzione dei Kc quando le foglie riducono la conduttanza stomatica».

 

I microorganismi associati al deperimento dell’actinidia

Paolo Ermacora, docente dell’Università di Udine

Al deperimento fino alla moria dell’actinidia, ha poi informato Paolo Ermacora, docente dell’Università di Udine, vengono associati, in diverse parti del mondo e anche in Italia, numerosi patogeni ritrovati sugli apparati radicali. «Appartengono ai generi Pythium, Phitopythium, Phytophthora, Ilyonectria, Fusarium, Cylindrocladium, Cylindrocarpon, Desarmillaria.

Non esiste un solo patogeno che causa la moria, ma sicuramente una carica microbiologica, di volta in volta diversa, può contribuire all’insorgenza di tale fenomeno. La presenza di tali patogeni dimostra l’estrema complessità della moria dell’actinidia».

 

Moria dell’actinidia, le lontane cause e le impegnative soluzioni - Ultima modifica: 2020-07-09T19:14:03+02:00 da Giuseppe Francesco Sportelli

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