Con la crisi ucraina siamo ormai entrati in un contesto di pre-guerra alimentare, i cui confini sono difficili da delineare, ma cominciano a prendere forma.
Limitandoci al comparto delle oleaginose, visto il ruolo dell’Ucraina come produttore leader a livello mondiale, chiariamo subito chi sono gli altri personaggi principali.
Lo scacchiere mondiale delle oleaginose
Il prodotto finito più utilizzato nel mondo è l’olio di palma (35%), seguito da soia (27%), colza (14%), girasole (8%) ed altri (16%), con l’oliva all’1%. A livello di Paesi esportatori: per la soia sono le Americhe, per la colza il Canada, per il girasole l’Ucraina e la Russia e per il “palma” l’Indonesia.
Con queste premesse e con l’indiscutibilità che, da sempre, il comparto oleaginose sia una delle pietre miliari dell’alimentazione umana, zootecnica e più recentemente del complesso universo bio-energetico, senza ombra di dubbio il conflitto russo-ucraino sommato al blocco indonesiano all’esportazione del “palma” deciso a fine aprile, rischiano di far saltare il banco, portando instabilità geopolitica e ulteriore crisi nei Paesi più vulnerabili economicamente.
Editoriale di Terra e Vita 16/2022
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L'impatto del climate change
Dopo la carestia del raccolto di colza 2021 in Canada e la (temporanea?) tregua pandemica con graduale ripresa della domanda, i primi vagiti di un auspicato ritorno alla normalità, grazie a propizi raccolti nell’Emisfero Sud, sono stati di nuovo stravolti da incognite climatiche, belliche e geopolitiche.
Il clima siccitoso in molte aree vocate alle produzioni di oleaginose – Europa inclusa – la guerra in Ucraina con impossibilità di semina-raccolta, le politiche protezionistiche di alcuni Paesi spaventati da possibili insufficienze alimentari e l’ormai costante speculazione sia dei Fondi che di alcuni Paesi produttori, sono alcune delle fiches da gioco del tavolo agro-alimentare.
Le leve del commercio in sempre meno mani
Tavolo sempre più ristretto a pochi, con la gran parte del mondo produttivo e del consumo ormai relegato al ruolo di osservatore passivo.
L’Indonesia, primo produttore (50%) di “palma”, già punta sugli aumenti dei prezzi e sul calo degli stock di oleaginose in genere, l’Ucraina, se riuscirà a seminare (il 30% delle superfici è in aree belliche) e grazie alle scorte in essere, potrebbe uscire indenne dall’all in operato dagli altri giocatori del girasole e degli olii vegetali, ma l’attenzione è sui player della soia condizionati da un mercato, Asia in primis, sotto scacco dalle varianti “omicron” e che fatica ad assorbire l’incremento produttivo delle farine (sottoprodotto dell’estrazione dell’olio).
Editoriale di Terra e Vita 16/2022
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Il rischio di una profonda crisi alimentare
Analizzando i trend di soia, olio di soia e farine, è evidente che lo spazio di ulteriore crescita e sostituibilità delle altre oleaginose si sta riducendo a causa della minore “marginalità” di spremitura.
Se i prezzi odierni, confrontati con quelli di settembre, indicano incrementi del 30% per la soia in granella e le sue farine e del più 52% per l’olio di soia, i prezzi mondiali, da inizio marzo ad oggi, mostrano una situazione differente, con il valore della soia pressoché invariato (seppur volatile), le farine in regresso del 11% e l’olio di soia (a dispetto delle ultime “bombe” indonesiane) che si apprezza del 12%.
Guardando avanti, il comparto oleaginose evolverà verso un nuovo equilibrio grazie anche a un globale razionamento dei consumi e la revoca del divieto all’export indonesiano, ma quello che resterà, allargando l’orizzonte a tutto il food & feed, è il rischio di una profonda crisi alimentare come effetto dell’esplosione dei prezzi.
Verso i raccolti
Prezzi che faticheranno a rientrare finché faremo i conti con dazi, restrizioni all’export, incertezza (siccità) sui raccolti 2022 in Canada ed Europa, e con la debolezza di una supply-demand mondiale di oleaginose che viaggerà a scorte minime almeno fino all’arrivo dei nuovi raccolti 2023.