Il contesto macroeconomico è quello che è. Dopo una ripresa di tre anni che aveva ridato tono agli investimenti, il 2018 è finito peggio del previsto e quest’anno si profila in ulteriore rallentamento. Da qui i segnali non incoraggianti per il settore ortofrutticolo messi in luce ieri alla 70esima assemblea di Fruitimprese, l’Associazione nazionale degli esportatori e importatori di ortofrutta.
Il quadro delineato dall’economista Francesco Daveri, direttore programma MBA Bocconi Milano, evidenzia però che il 2019 per l’export potrebbe segnare una ripartenza. Questo potrebbe ridare nuove chance di competitività, compatibilmente con i crediti bancari e la voglia delle imprese italiane di continuare (riprendere) a investire.
In ortofrutta, però, c’è poco da stare allegri. Il presidente Marco Salvi lo ha ribadito in più passaggi del suo intervento: «L'export ortofrutticolo italiano nel 2018 ha fatto segnare una preoccupante battuta d’arresto, con un calo di circa 450mila tonnellate e oltre 300 milioni di fatturato, fermo a 4, 6 miliardi. Il dato più preoccupante riguarda il comparto della frutta fresca che da solo ha perso il 16,2% in quantità (circa 425mila tonnellate) e l’11% in valore». E i prodotti più colpiti sono stati quelli ritenuti strategici, a partire dalle mele, i kiwi e l’uva da tavola.
Anche la Brexit alimenta ulteriori preoccupazioni: «Il Regno Unito è il quarto mercato di destinazione della nostra ortofrutta – ha detto Salvi – e dal 2016 al 2018 le esportazioni sono calate del 12% a valore, passando da 282 a 250 milioni». Per non parlare del mercato russo che, dopo cinque anni di embargo, non è ancora stato compensato da nessuna valida alternativa, così «prodotti ortofrutticoli per un valore di 2,3 miliardi di euro destinati alla Russia restano sul territorio europeo, con inevitabile conseguenze negative sui prezzi». Intanto, la Spagna esporta frutta e verdura per 13 miliardi, di cui uno “rifilato” al nostro Paese (che risponde con solo 180 milioni di euro).
Sul fronte internazionale Salvi si è soffermato sul mercato cinese. «L’apertura del mercato del gigante asiatico è uno dei nostri principali obiettivi - ha continuato il presidente di Fruitimprese -. Ma l’export ortofrutticolo è fermo al palo se si escludono le circa ottomila tonnellate di kiwi che esportiamo ogni anno. Il valore totale dell’export verso la Cina è di 24 milioni a fronte di un import di circa 114 milioni». Il vero problema restano i dossier fitosanitari, oltretutto per prodotti importanti quali pere, mele e uva da tavola.
E poco consola la ripresa dei consumi sul mercato interno, che indicano un 2% in più nel 2018 (dati Ismea elaborati dal Cso Italy).
Al convegno ha partecipato anche il primo vicepresidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, che ha annunciato in diretta la sua ricandidatura nelle liste del Pd alle prossime Europee. Ricordando che mercoledì 17 ci sarà la firma della direttiva “Pratiche sleali” da parte del Consiglio Ue, De Castro ha detto che con il ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, si impegnerà affinché l’Italia sia il primo paese membro a recepire la direttiva a livello nazionale.
Davide Vernocchi, coordinatore del settore ortofrutticolo di Alleanza delle cooperative (Aci), Mattia Onofri della direzione di Euler Hermes, la società del Gruppo Allianz specializzata nell’assicurazione del credito alle esportazioni, Luca Battaglio della Battaglio Spa e Luigi Mazzoni della Mazzoni Spa hanno poi animato la tavola rotonda che ha ricordato tante altre criticità per chi fa import/export, dalla reciprocità alla logistica.
A fine lavori ha raggiunto gli operatori la sottosegretaria con delega all'ortofrutta, Alessandra Pesce, che si è impegnata a riconvocare il Tavolo di settore entro maggio e a partecipare al prossimo Macfrut di Rimini.