Si può combattere la fame senza superare la soglia di aumento di 1,5 °C della temperatura globale? A questa domanda la Fao ha provato a rispondere durante la Conferenza Onu sul Clima – Cop 28 di Dubai, presentando una roadmap per la trasformazione dei sistemi agroalimentari che da emettitori netti possono diventare assorbitori di carbonio. I sistemi agricoli e alimentari, nella loro diversità e pluralità, possono essere parte della transizione ecologica e soluzione alla crisi climatica e ambientale. La roadmap traccia un lavoro triennale e definisce soluzioni a partire da dieci grandi aree d’intervento. I dati di partenza rimangono fame e malnutrizione: purtroppo 600 milioni di persone dovranno affrontare una cronica carenza di cibo entro il 2030. Senza un deciso cambio di passo, non raggiungeremo l’obiettivo “fame zero” indicato dall’Agenda dell’Onu per quell’anno.
Anteprima di Terra e Vita 1/2024
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Conciliare la battaglia per l’eliminazione della fame con quella della sostenibilità ambientale è e sarà sempre più decisivo. Migliorare l’efficienza dei modelli produttivi allineandoli agli obiettivi di mitigazione, adattamento e resilienza climatica è possibile mettendo in campo, in ogni contesto, azioni e investimenti coerenti con questi scopi. Dunque 120 interventi su energia pulita, colture, pesca, lotta alle perdite e agli sprechi, difesa delle foreste e delle zone umide, sostegno a diete sane, allevamenti sostenibili, difesa di suolo e acqua, utilizzo efficiente di dati e informazioni e politiche di inclusione. L’obiettivo è di arrivare a ridurre le emissioni di metano dei sistemi agroalimentari del 25% entro il 2030 rispetto al 2020 e raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2035 trasformandoli in pozzi di carbonio entro il 2050. Adattare queste azioni ai diversi contesti, evitando di forzare su soluzioni univoche, sarà una chiave fondamentale di questo lavoro.
Ma si potrà fare solo se aumenteranno i finanziamenti per la transizione ecologica delle diverse agricolture del pianeta, dato che oggi nel mondo per il settore primario si dedica meno del 5% del totale complessivo della “finanza per il clima”. Vedremo in particolare nel 2024 se alle parole seguiranno fatti utili a incrementare concretamente questo tipo di lavoro necessario alla transizione che stiamo affrontando. Di certo, abbiamo bisogno di investimenti in innovazioni sostenibili utili a produrre meglio, consumando meno. E abbiamo bisogno di supportare in modo equo e giusto le esperienze agricole piccole e medie che subiscono spesso nei Paesi in via di sviluppo le conseguenze peggiori della crisi climatica: il loro accesso agli strumenti per l’adattamento sarà fondamentale per evitare conseguenze peggiori anche in termini sociali.
Già in questi anni, infatti, importanti movimenti migratori tra le zone rurali e le aree urbane nei Paesi più esposti al cambio climatico hanno determinato effetti molto difficili da gestire. In questo quadro, il Mediterraneo continua a essere un’area centrale dei grandi cambiamenti in atto, siano essi climatico-ambientali piuttosto che socio-economici e geopolitici. L’Italia al centro di questa zona può assolvere a un ruolo peculiare anche quando riflettiamo del futuro dei sistemi agricoli e alimentari di questa vasta area particolare anche in termini di biodiversità.
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Credo si possa coniugare in forma avanzata una strategia che valorizzi le peculiarità delle agricolture italiane, investendo sempre di più su qualità e originalità delle nostre produzioni aumentando anche le capacità organizzative sulle filiere strategiche del made in Italy, e, nel contempo, sviluppare una forte vocazione cooperativa e aperta verso le altre agricolture, in particolare euro-mediterranee. Una sfida da cogliere, puntando sulle nuove generazioni e valorizzando fino in fondo lo straordinario patrimonio agricolo, alimentare e ambientale del bel Paese.
di Maurizio Martina
Direttore generale aggiunto della Fao