Il lavoro nobilita l’uomo. Un po’ meno l’imprenditore ortofrutticolo. Ma di questo il sistema si è dato una spiegazione? Venerdì scorso, a Fico Eataly World (Bologna), Italia Ortofrutta, l’unione che riunisce 132 Organizzazioni di produttori (Op) dell'intero territorio nazionale, ha acceso i riflettori su un tema tanto delicato quanto attuale. E, per farlo, ha presentato i dati dello studio commissionato a Nomisma “Ortofrutta in Italia: profilo di un settore labour intensive”.
«Il fattore lavoro è oggi una delle principali criticità con cui le imprese ortofrutticole si confrontano - ha spiegato il presidente di Italia Ortofrutta, Gennaro Velardo. - Un problema che presenta mille sfaccettature, non solo economiche. I costi impliciti ed espliciti crescono e sono già superiori rispetto a quelli che, in altri Paesi nostri competitor, le imprese ortofrutticole sostengono per il reclutamento dei lavoratori. Nelle aree a elevato livello di specializzazione ortofrutticola cresce la difficoltà di reperimento di manodopera, anche extracomunitaria, nei picchi di lavoro stagionale. Le difficoltà non sono soltanto legate a soddisfare la domanda in quantità, ma anche in qualità, con lavoratori qualificati e formati. Alle istituzioni chiediamo di prendere piena coscienza di questo problema che attanaglia le nostre imprese e di mettere in atto percorsi di concreta semplificazione degli iter burocratici, purtroppo sempre più gravosi in fase di gestione della manodopera e di quella stagionale in particolare, e di favorire i percorsi di reclutamento e di formazione. E, sempre alle istituzioni, chiediamo una norma che consenta di dare visibilità alla produzione! Oggi sui punti vendita non appare il nome dei produttori o il nome della Op. Siamo invisibili, come facciamo a valorizzare qualcosa che non si vede?».
Il settore ortofrutticolo (un valore della produzione 2018 superiore ai 13,5 miliardi, con una incidenza del 26% sul totale dell’agricoltura italiana) si caratterizza per una domanda di lavoro superiore rispetto alle altre produzioni agricole: il 43% dei rapporti di lavoro attivati in agricoltura nel 2017 faceva riferimento, infatti, alle colture ortofrutticole. E sempre quell’anno erano 1.097.007 gli occupati nel settore agricolo (con una variazione positiva del 4% nel periodo 2012/17) prevalentemente al Sud (57%), seguito dal Nord (31%) e dal Centro (12%). Il costo del lavoro in fase di lavorazione e condizionamento dell’ortofrutta, poi, ha inciso per il 59% sul valore aggiunto del settore, contro il 50% del vitivinicolo, anch’esso considerato labour-intensive.
«Le giornate di lavoro per ettaro necessarie in fase di coltivazione e raccolta variano da 81 per le mele, fino alle 516 per la fragola - ha detto Vincenzo Falconi, direttore di Italia Ortofrutta. - Se al costo del lavoro della fase agricola si somma quello per le operazioni di lavorazione e condizionamento in magazzino, emerge come circa il 40% del ricavo delle vendite di una Op del settore ortofrutticolo sia destinato a remunerare il solo fattore lavoro. In queste condizioni i prezzi di mercato non coprono i costi di produzione certi e in aumento, molti dei quali incomprimibili come il lavoro».
Non solo. «La mancanza di redditività del settore ostacola gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione che sono alla base della competitività futura. È necessario quindi impostare delle scelte strategiche che intervengano per restituire valore e competitività del settore. Dobbiamo trasmettere ai consumatori il plus del prodotto nazionale e far comprendere che il benchmark dell’ortofrutta italiana non può essere il costo di produzione di un paese extra-europeo perché ci sarà sempre un ‘sud del mondo’ che riesce a produrre a costi inferiori ai nostri».
Dallo studio emerge quindi come l’ortofrutta, pur essendo uno dei settori di maggiore rilievo dell’agricoltura italiana, sconti ancora un’eccessiva frammentazione produttiva che incide sulla competitività del comparto. «Rispetto alla lavorazione l’ortofrutta italiana esprime un’elevata domanda di lavoro con elevati carichi di punta stagionali e un’incomprimibilità al crescere delle dimensioni nella fase di lavorazione. Passando poi a considerare il confronto con gli altri Paesi emerge come l’Italia rivesta un ruolo di primo piano e tuttavia sconti un differenziale di competitività rispetto ad altri player europei ed extraeuropei, che sono avvantaggiati da un costo del lavoro in agricoltura inferiore rispetto a quello italiano», ha sottolineato Ersilia Di Tullio, senior project manager di Nomisma. Riguardo al differenziale del costo del lavoro tra Italia, Spagna e Marocco, è emerso come nel nostro Paese rispetto a 39 ore di lavoro settimanali il salario agricolo medio sia di 11,1 euro/ora. Nella Penisola iberica, invece, le ore di lavoro settimanali salgono a 44 con il salario agricolo medio a 6,8 euro/ora; in Marocco le ore di lavoro sono 48 per un salario agricolo medio di 1 euro per ora lavorata.
Nello stesso triennio il costo del personale ha registrato una crescita più forte del trend di crescita dei ricavi e del trend dello stesso valore aggiunto. Ciò pone serissime difficoltà, anche nei confronti della concorrenza internazionale: con la Spagna, primo competitor europeo e primo Paese esportatore di ortofrutta verso l’Italia, che paga un salario medio orario a chi lavora in campagna pari a circa la metà del salario pagato in Italia mentre lo stesso valore in Marocco è inferiore di dieci volte a quello italiano.
Alessandra Pesce, sottosegretario alle Politiche Agricole, ha precisato la posizione del suo ministero su quella vasta area grigia, border-line tra il caporalato criminale e le aziende agricole virtuose. Il Mipaaft metterà a punto un piano triennale per incentivare il maggior numero di aziende a recuperare un rapporto corretto con i lavoratori, anche attraverso una semplificazione delle procedure burocratiche. Il tavolo ministeriale sul caporalato si riunirà il prossimo 5 giugno. La Pesce ha anche sottolineato l’importanza della formazione della manodopera, premessa indispensabile per un settore più competitivo.
A seguire, la tavola rotonda alla quale hanno partecipato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, Gianluca Lelli, capoarea economia di Coldiretti, Cristiano Fini, presidente CIA Emilia Romagna, e Gianmarco Guernelli, responsabile acquisti ortofrutta di Conad. Nelle conclusioni, poi, Simona Caselli, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, ha ricordato le buone pratiche in atto nella sua regione a partire dalla crescita della Rete del lavoro agricolo di qualità.