Secondo i dati del Cso (Centro servizi ortofrutticoli di Ferrara), la composizione dell’offerta a livello europeo, se escludiamo le percoche, è in crescita.
Fino al 2010 mediamente la produzione si aggirava su poco meno di 2,8 milioni di tonnellate, dopodiché è salita su oltre 2,9 milioni di tonnellate, con un potenziale però in grado di superare i 3 milioni di tonnellate, come avvenuto nel recente 2017. L’andamento è frutto di un netto ridimensionamento dei volumi italiani a favore della Spagna.
Le produzioni spagnole sono velocemente e progressivamente passate da una media di 5-600 mila tonnellate del periodo 2000-2007 a un potenziale che oggi supera 1,4 milioni di tonnellate come avvenuto nel 2017.
L’Italia contemporaneamente è scesa da un potenziale in grado di superare 1,6 milioni di tonnellate alle attuali 1,2-1,3 milioni di tonnellate.
In tendenziale calo anche la produzione francese di pesche e nettarine, oggi su poco oltre 200.000 tonnellate, mentre la Grecia, più orientata alla produzione di percoche, vede negli anni un’offerta di pesche e nettarine in grado di superare oggi le 300.000 tonnellate.
In questi anni si è assistito anche a un cambiamento importante in termini di distribuzione territoriale della peschicoltura europea. Se in Italia le superfici tendono a una certa stabilità al Sud e vedono un calo importante nelle regioni del nord, in Spagna la situazione è opposta: le produzioni delle aree più tardive, come la Catalogna e l’Aragona, hanno nel tempo assunto un peso via via sempre più crescente e oggi rappresentano quasi il 70% dell’offerta europea, con ovvie conseguenze sul calendario di raccolta che oggi vede le maggiori entrate da fine giugno in avanti a differenza di quanto succedeva in passato quando la produzione era concentrata sul periodo precoce.
In dieci anni sparito un quarto degli ettari
Come ribadito precedentemente il potenziale italiano è diminuito rispetto al passato, a causa di un ritmo di abbattimento importante soprattutto al Nord Italia.
Nel complesso della specie le attuali superfici sembrano aver perso una quota significativa di impianti in piena produzione.
Rispetto a dieci anni fa si registra infatti una flessione del 27%; in riduzione del 30% le pesche da consumo fresco, -35% per le percoche e -24% per le nettarine.
Queste riduzioni, nonostante l’innovazione varietale abbia condotto a una maggiore concentrazione su varietà ad elevate rese per ettaro, ha condotto nel tempo alla diminuzione del potenziale di cui si è fatto cenno nel precedente capitolo.
È evidente quindi come, rispetto a dieci anni fa, il peso delle regioni del Nord sia diminuito a favore della coltivazione nelle aree meridionali, la cui rappresentatività degli impianti è passata, nel complesso della specie, da poco meno del 50% del 2008 a oltre il 60% nel 2018.
Le regioni settentrionali invece vedono invece una rappresentatività degli impianti scendere da circa il 40% del 2008 a poco oltre il 30% del 2018, mentre le regioni centrali dal 10% si posizionano negli ultimi anni sul 7%.