Per contare ed essere ascoltati non serve far la voce grossa, occorre avere un’unica voce. Questo il messaggio che l’Alleanza delle cooperative agroalimentari lancia a un mondo agricolo «eccessivamente parcellizzato, diviso, incapace di dare corpo a una visione organica di sviluppo»
L’occasione è la seconda assemblea unitaria del settore agroalimentare dell’universo coop, colosso formato da Fedagri-Confcooperative, Legacoop Agroalimentare e Agci Agrital, che conta 34,2 miliardi di euro di fatturato, il 14% del valore della produzione italiana di settore.
L’assemblea, che ha ufficializzato la nomina di Maurizio Gardini (Fedagri) a presidente dell’Alleanza agroalimentare, è stata occasione per fare il punto sul percorso di unificazione.
«Se fino a qualche anno fa – ha esordito Gardini – la cooperazione era per molti un modello obsoleto, oggi la crisi ha messo in luce la sua diversità come elemento di valore capace di costituire una valida alternativa al modello economico tradizionale». La distintività, per Gardini, si misura nei fatti: «le cooperative trasformano e commercializzano materie prime agricole che per l’86% provengono dai soci. Gli approvvigionamenti avvengono in un ambito quasi esclusivamente italiano e possiamo dire con orgoglio che chi mangia cooperativo mangia italiano».
Ci sono poi la valorizzazione del territorio, con «la scelta di non delocalizzare in un momento di crisi», l’alta remunerazione della materia prima conferita (+15-20% per le uve, +18% per i formaggi dop, +1,5-2% per i bovini) e il lavoro, con la «tutela dell’occupazione e il rispetto delle norme contrattuali e di sicurezza».
In questo contesto, l’Alleanza agroalimentare delle cooperative si pone come «un grande processo di innovazione politico e organizzativo. Una grande novità, concepita per favorire un miglior posizionamento della cooperazione agricola nell’economia.
Con lo stesso spirito vorremmo intensificare le relazioni con tutte le componenti della rappresentanza sindacale, convinti che con il dialogo si possa contribuire alla crescita del settore».
Il processo, ha puntualizzato il presidente di Legacoop, Giuliano Poletti, non può limitarsi ai vertici: «ora tocca alle cooperative unirsi e rafforzarsi. Perchè dobbiamo trasformarci, innovare, non possiamo pensare di resistere in attesa che la crisi passi». Ed ha ricordato che gran parte dei marchi più noti dell’agroalimentare italiano sono di proprietà di cooperative, un patrimonio rilevante sia in termini di volumi e di fatturati, sia dal punto di vista culturale, identitario, paesaggistico.
L’Allenza chiede maggior impegno alla politica. In particolare su due fronti: aggregazione e internazionalizzazione. «Il Paese – ha detto Gardini – ha bisogno di una filiera più competitiva, più organizzata. La cooperativa è storicamente il modello che meglio ha risposto alle esigenze dei produttori agricoli perchè va oltre la logica della mera aggregazione per concentrare l’offerta». Da qui la richiesta di incentivi, anche fiscali, per superare la frammentazione e garantire maggiore potere all’interno della filiera.
C’è poi il capitolo internazionalizzazione: «il mercato italiano non è più sufficiente ad assorbire le potenzialità delle nostre imprese. L’unica strada è l’export, un’agricoltura a km 1000, 10.000, certo non zero» ha detto il presidente di Confcooperative, Luigi Marino.
Un’esternazione che non è piaciuta al ministro Catania, secondo il quale «l’internazionalizzazione dei nostri prodotti dev’essere intesa in una visione d’insieme e non in un’ottica di contrapposizione rispetto al km0». Ma Marino non ci sta: «ci sono tante agricolture che ovviamente vanno valorizzate. Ma il punto è chiarire su quale agricoltura si gioca il futuro del Paese: noi crediamo sia quella moderna, che innova, che si rivolge al mondo. Per questo chiediamo una reale ‘Strategia Paese’ per l’internazionalizzazione, a partire dalla cabina di regia insediatasi con il decreto per la crescita».