L’appuntamento con l’assemblea nazionale è per il 15 novembre. Ma Dino Scanavino, imprenditore vitivinicolo piemontese, da oltre 2 anni al vertice della Cia-Confederazione italiana agricoltori, la sua visione dello sviluppo della Professionale che presiede e del settore agricolo l’ha ben chiara.
Un’associazione che si presenta all’appuntamento romano con numeri di assoluto rilievo: «900mila iscritti nel Libro soci, ma – evidenzia Scanavino – soprattutto, oltre 200mila fascicoli Pac attivi».
Una forza sociale di peso, direbbero i bravi commentatori. Inserita però in un settore che, contrariamente a quanto emerge dai bei numeri che escono con continuità dalle statistiche ufficiali agricole, sta faticando.
E l’acchito del presidente Cia lo rimarca: «Il dato che delinea un settore agricolo in salute non pesa adeguatamente la realtà. Molte imprese hanno visto comprimersi o azzerarsi le marginalità e stanno attraversando momenti davvero complessi. La crisi dei prezzi ha colpito produzioni di massa strategiche – cereali, carne, latte, quest’ultimo solo ora in leggera ripresa – delle quali l’agricoltura italiana non può fare a meno e che vanno rilanciate. Certo l’incremento dei giovani nel settore va visto positivamente, ma a queste nuove leve vanno poi date garanzie di continuità, che in questo caso chiamerei speranza di un futuro in agricoltura».
Esiste un’oggettiva crisi di redditività. Ergo, come si possono recuperare margini?
«La Pac non basta più. Il prezzo minimo garantito, in un’economia di mercato, è una pia illusione. Occorre una redistribuzione del valore delle merci: l’agricoltore riceve ancora troppo poco».
E, a chi obietta che la soluzione appare qualcosa di già sentito ma di certo non attuato, Scanavino rilancia: «Siamo favorevoli ai contratti di filiera in tutti i settori in cui è possibile realizzarli. Accordi veri fra industria di trasformazione e agricoltori, che siano in grado di valorizzare realmente le produzioni e di fornire un minimo di garanzia alle imprese agricole. Senza contributi pubblici, da indirizzare altrove. L’industria di trasformazione e anche la distribuzione hanno fatto senz’altro errori, ma non vanno demonizzate. Occorre dialogo e, per quanto riguarda l’agricoltore, serve produrre ciò che viene richiesto. Su questo siamo stati deboli e dobbiamo migliorare. Il tempo dell’improvvisazione è finito».
E il ruolo delle Professionali? Piccole o grandi aziende da difendere?
«Sui contratti di filiera le associazioni possono essere garanti e promotrici. Senza volere assumere ruoli oppressivi e vincolanti. Ciò che non ci interessa è il potere, ma il servizio da fornire all’agricoltore, perno di qualsiasi associazione di categoria del settore.
E non è più il tempo della dicotomia piccole-grandi aziende, imprese del Nord o del Sud, dell’ideologizzazione politica. L’agricoltura si è evoluta più delle sue rappresentanze. Occorre dare risposte a tutti e provare a risolvere i casi più difficili.
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