Le norme introdotte dal governo, sotto l’egida del progetto di riforma del cd “Jobs Act”, hanno portato importanti novità nel diritto del lavoro italiano.
Ancorchè non completo si può senz’altro affermare che questa rivisitazione normativa sia ad un buon punto di sviluppo.
Il 4 settembre il Consiglio dei Ministri ha approvato definitivamente gli ultimi quattro schemi di decreti attuativi che dopo un successivo passaggio in Parlamento, potranno essere emanati in via definitiva dal Governo.
È quindi giunto il momento di puntualizzare e rendere comprensibili gli elementi più qualificanti del nuovo impianto legislativo, e di ricapitolare, per sommi capi, le novità sino ad ora introdotte.
In vigore dal 7 marzo scorso
Iniziamo quindi un percorso esplicativo che si articolerà in diversi contributi, sui contenuti dei decreti pubblicati, partendo da quello del 6 marzo 2015, contenente le “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
I confini di questo piano normativo sono stati delineati dalla L. n. 183/2014 (“Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”), tramite cui il Parlamento ha delegato il Governo ad attuarlo mediante l’adozione di vari decreti legislativi (vedi tab).
Le nuove regole si applicano a tutte le assunzioni successive all’entrata in vigore del “Decreto licenziamenti” - cioè dal 7 marzo 2015 in poi. Inoltre, questa disciplina si applica anche ai datori di lavoro che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto. La nuova disciplina è stata denominata “contratto a tutele crescenti”: nonostante il nome fuorviante, il Decreto licenziamenti non introduce alcuna nuova forma contrattuale propriamente intesa, limitandosi semplicemente a dettare una nuova disciplina circa le conseguenze di un licenziamento illegittimo. Per applicare questa normativa, quindi, sarà sufficiente stipulare un contratto di lavoro (dopo il 7 marzo 2015), senza utilizzo di formule o modelli contrattuali specifici.
Da notare che, qualora lo si desideri, sarà sempre possibile assoggettare un rapporto di lavoro alla vecchia disciplina dell’Art. 18, come trattamento di miglior favore (in questo caso, sarà tuttavia necessario esplicitare tale intenzione nel contratto di lavoro). Per tutti i licenziamenti esclusi dall’ambito di applicazione del decreto (cioè per i rapporti di lavoro sorti prima del 7/3/2015), continueranno quindi a trovare applicazione le tutele previste dall’art. 18, L. n. 300/70, così come modificato dalla c.d. Riforma Fornero.
Le tipologie di licenziamento
1) Licenziamento orale, discriminatorio, nullo (ad es. intimato durante la gravidanza, il comporto - malattia, per ragioni di fede, razza, orientamento sessuale, politico o sindacale ecc.):
(i) reintegrazione e pagamento delle mensilità perdute sino alla reintegra con un minimo di 5 mensilità, oltre al pagamento dei relativi contributi sociali (dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione dall’azienda);
(ii) in alternativa, il lavoratore può optare, entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro a ripresentarsi in azienda ed in sostituzione alla reintegrazione, per il pagamento di 15 mensilità. Questa tutela è applicabile anche ai dirigenti.
Eliminata la conciliazione
2) Licenziamento economico (giustificato motivo oggettivo). In tutti i casi di licenziamento ingiustificato si applica (esclusi i dirigenti).......
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