Con due recenti provvedimenti nel nostro ordinamento sono stati introdotti nuovi istituti giuridici posti a tutela dei dipendenti e forieri di nuovi obblighi per le aziende. In particolare ci si riferisce alle segnalazioni di illeciti (cosiddetto whistleblowing) e alle molestie sessuali.
Segnalazione di illeciti
Con L. n. 179 del 30 novembre 2017 sono state introdotte nuove norme per i casi di dipendenti che segnalino la commissione di illeciti di cui siano venuti a conoscenza sul posto di lavoro.
In precedenza su temi analoghi si rinvenivano per il settore privato le norme seguenti:
• Art. 20, comma 2, lett. e), Dlgs. n. 81/2008 Sicurezza sul lavoro: “I lavoratori devono in particolare: […] segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) ed d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave ed incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
• Art. 6, comma 2, lett. d), Dlgs. n. 231/2001, il quale prevede “obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli”.
In sostanza, norme a valenza infortunistica o per aziende strutturate e organizzate.
Con la norma in commento si determina un quadro più generale; la legge modifica infatti le norme di cui al Dlgs. n. 231/2001; in particolare, in ordine ai modelli di organizzazione e di gestione adottati per prevenire o contrastare i possibili reati.
Le aziende devono (se si intende evitare la responsabilità aziendale) adottare uno o più canali che consentano ai responsabili (rappresentanti, amministratori, direzioni, gestori e controllori) di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente/impresa, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità, del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione; nonché almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante. La norma prevede, poi, il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione.
Nel sistema disciplinare adottato aziendalmente, si devono introdurre sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.
A tutela del dipendente la norma prevede che l’adozione di misure discriminatorie, nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni, può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo.
Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’art. 2103 c.c., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. La legge cambia anche le regole in tema di riservatezza.
Nell’ipotesi di segnalazione o denuncia, il perseguimento dell’interesse all’integrità delle amministrazioni, anche private, nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisce giusta causa di notizie coperte dall’obbligo di segreto, di cui agli artt. 326 (pubblici ufficiali e simili), 622 (professionisti) e 623 (segreto industriale e simili) del codice penale e all’art. 2105 (obblighi del lavoratore di fedeltà) del codice civile.
La norma prevede, poi, che quando notizie e documenti che sono comunicati all’organo deputato a riceverli siano oggetto di segreto aziendale, professionale o d’ufficio, costituisce violazione del relativo obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell’eliminazione dell’illecito e, in particolare, la rivelazione al di fuori del canale di comunicazione predisposto a tal fine.
Molestie sessuali
La legge di Bilancio 2018 (L. n. 205/2017) prevede all’art. 1, c. 219, modifiche significative del Codice per le pari opportunità (Dlgs. n. 198/2006) e alla disciplina delle tutele previste in caso di molestie sessuali.
In primis è stabilito un obbligo generalizzato nei confronti dei datori di lavoro volta ad “assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro ed i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza” (nuovo c.3-ter dell’art. 26 del Codice per le pari opportunità). Tale previsione integra e amplia quanto in generale previsto per l’imprenditore e cioè quello di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, di cui all’art. 2087 c.c.
La norma ancora prevede che il dipendente che agisca in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in ambito lavorativo non possa “esser sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa”; conseguentemente sono nulli il licenziamento ritorsivo o discriminatorio, il mutamento di mansioni, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante.
La legge prevede peraltro che le previste tutele non siano dovute quando sia accertata, anche solamente con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia.