Con una sentenza emanata il 6 marzo scorso, la Corte di Giustizia dell’Ue ha ritenuto illegittima la normativa legislativa emanata dal Governo ungherese con la quale vengono annullati i contratti di usufrutto stipulati da cittadini stranieri per terreni ubicati in Ungheria.
Il Governo ungherese, per limitare ulteriormente la possibilità agli stranieri di gestire terre agricole in Ungheria, ha infatti emanato una legge che vieta la stipula di contratti di usufrutto da parte di persone che non hanno vincoli di stretta parentela con i proprietari dei terreni agricoli.
La Corte, in particolare, ha sottolineato che, già in passato, e per molti anni, i cittadini stranieri che intendevano acquistare un diritto di proprietà su terreni agricoli in Ungheria sono stati sottoposti a restrizioni o sono stati addirittura esclusi dalla possibilità di acquistare tali diritti, cosicché, per tutti questi anni, la sola possibilità per i cittadini di altri Stati membri di investire in terreni agricoli in Ungheria è consistita nell’acquistare un diritto di usufrutto. La percentuale di titolari di diritti di usufrutto è quindi più elevata tra tali cittadini che tra i cittadini ungheresi.
La nuova norma per limitare l’accesso alle terre ungheresi da parte dei cittadini di altri Stati membri è stata quindi, quella di restringere al massimo l’applicazione del diritto di usufrutto limitandolo solo ai parenti stretti.
La sentenza dei giudici comunitari ha dichiarato, invece, completamente inammissibile la norma ungherese in quanto si tratta una restrizione indirettamente discriminatoria e ingiustificata al principio della libera circolazione dei capitali.
Il ricorso alla Corte di Giustizia è arrivato dai giudici austriaci ai quali si era rivolta una società locale che per effetto della nuova disposizione ungherese si era vista privare dei diritti di usufrutto regolarmente acquistati.
La Corte, nella sua sentenza, constata, anzitutto, che la legislazione controversa costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, e ciò indipendentemente dal fatto che essa preveda o meno una compensazione in favore delle persone che sono state spogliate dei loro diritti di usufrutto. Infatti, la normativa in questione priva le persone provenienti da Stati membri diversi dall’Ungheria della possibilità di continuare a godere dei loro diritti di usufrutto e di trasmetterli ad altre persone.
Per quanto riguarda la questione se la restrizione messa in atto dalla legge ungherese, sia giustificata dalla circostanza che l’Ungheria intende riservare i terreni coltivabili alle persone che li lavorano e ad impedire l’acquisto di tali terreni per fini speculativi, la Corte rileva che la restrizione controversa non presenta alcun rapporto con tali obiettivi e non è quindi adeguata a perseguirli. Infatti, il vincolo di parentela richiesto non garantisce che l’usufruttuario sfrutti esso stesso i terreni interessati e che non abbia acquistato il diritto di usufrutto per fini speculativi. Allo stesso modo, una persona sprovvista di tale vincolo di parentela può sfruttare essa stessa il terreno senza avere l’intenzione di acquistarlo per motivi speculativi. Infine, la Corte considera che la restrizione controversa non è proporzionata agli obiettivi predetti, in quanto per il loro raggiungimento avrebbero potuto essere adottate misure meno radicali.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato, quindi, che la legislazione nazionale controversa non è compatibile con il principio della libera circolazione dei capitali.
La Sentenza infine ricorda che la Commissione ha anche presentato lo scorso anno 2017 un ricorso contro l’Ungheria chiedendo l’annullamento della legge contenente la norma controversa per i seguenti motivi:
- L’abolizione ex lege dei diritti di usufrutto costituisce una limitazione della libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea.
- La normativa ungherese viola altresì la libera circolazione dei capitali dal momento che ha l’effetto di impedire o limitare l’investimento in immobili ubicati in Ungheria da parte di coloro che non dispongono della cittadinanza ungherese.
- La normativa ungherese non corrisponde a quanto richiesto dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento né garantisce un indennizzo adeguato a coloro che siano stati pregiudicati dall’abolizione e dalla limitazione dei diritti di usufrutto.
- Infine la normativa ungherese controversa è in contrasto con il diritto di proprietà riconosciuto dall’articolo 17 della Carta. In determinati casi si verifica un’ingerenza nel diritto di proprietà anche qualora la violazione non si estenda alle tre facoltà della «proprietà» e cioè uso, possesso e capacità di disporre.