Il disciplinare di produzione del Fagiolo di Cuneo Igp cambia per mantenersi al passo con i tempi: le modifiche - che includono, fra gli altri punti, l’uso di concimi ternari prima e dopo la semina, i parametri di ferro e proteine e le soglie di umidità della granella - sono divenute operative dopo il parere favorevole incassato, lo scorso 6 novembre, dal Masaf.
Mauro Ternavasio, tecnico di Coldiretti Cuneo, illustra le ragioni della proposta, avallata in prima battuta dalla Regione. «Nel 2001, quando venne steso il documento si impiegavano separatamente nitrato ammonico, perfostato minerale e solfato di potassio, distribuiti a più riprese». Il passaggio ai composti ternari, che contengono tutte e tre le molecole in un solo formulato, «creava problemi agli agricoltori con la somministrazione dell’azoto, che il disciplinare ammetteva soltanto dopo la semina. Di fatto i produttori non potevano utilizzare i nuovi formulati ed erano costretti ad attenersi a pratiche colturali vecchie di oltre vent’anni: un paradosso che le modifiche hanno eliminato».
Prodotto a marchio Igp dal 2009, il fagiolo di Cuneo è una coltura di nicchia che ha saputo difendere i propri spazi di mercato, nonostante un calo costante delle superfici coltivate. «La maggior parte dei cinquemila ettari seminati a legumi nel Cuneese è occupata da fagioli nani destinati all’industria, una coltura interamente meccanizzata. Il prodotto a Indicazione geografica protetta, invece, è rampicante e richiede l’apporto di manodopera per alcune operazioni: oggi sopravvive su 500 ettari distribuiti fra il Fossanese e i comuni della pianura pedemontana di Castelletto Stura, Centallo, Cuneo, Caraglio e Boves. Mezzo secolo fa la proporzione era ribaltata», prosegue Ternavasio.
Dieci varietà a denominazione
La denominazione include dieci varietà di fagioli: sette – l’ecotipo Vedetta, le varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Solista, Millenium e Barbarossa – destinate alla raccolta cerosa, e quindi al consumo fresco; le tre restanti -l’ecotipo Bianco di Bagnasco e le varietà Billò e Corona – servono alla produzione di granella essiccata. Il disciplinare fissa, per i baccelli, lunghezze fra i 12 e i 28 centimetri, a seconda della cultivar, calibri fra i 9 e i 14 millimetri per il seme essiccato. La tolleranza per il prodotto fuori calibro è fissata all’1.5 per cento sulle partite conferite, l’umidità non deve superare il 16.
«Per il prodotto secco si utilizza quasi esclusivamente semente della varietà Billò, tutelata dal Consorzio, che ne cura la moltiplicazione. La selezione, avviata quasi un secolo fa, venne ultimata, negli anni Ottanta, dal Creso». Se si considera la produzione complessiva a marchio, pari a 500 quintali, la frazione secca prevale nettamente: «Il fagiolo fresco Igp non ha mai preso piede per ragioni commerciali», precisa Ternavasio. Dopo quasi un decennio, quello fra il 2010 e il 2018, segnato dal calo delle rese, negli ultimi anni la produzione è tornata in linea con gli standard precedenti: «Fra i 25 e i 30 quintali per ettaro, nel caso della granella, fino a 120 per i baccelli freschi».
L’esigenza di manodopera, che si concentra in alcuni periodi del ciclo produttivo, è una delle ragioni che ha determinato la contrazione delle superfici: «ll cantiere di semina richiede tre persone, uno al trattore e due alla macchina agevolatrice che pianta e lega le canne usate come tutori – di solito bambù o giunco - e mette a dimora i semi», precisa il tecnico di Coldiretti.
Il ciclo colturale
Le file distano 110 centimetri: le canne raggruppate e legate a quaterne, formano una specie di capanna. «Lo spazio interfila viene lavorato con attrezzature portate o motocoltivatori per prevenire l’insorgenza delle infestanti, l’uso di diserbanti è limitato». La raccolta è un altro momento critico: «Nel caso del prodotto da consumare fresco, i baccelli vengono raccolti manualmente in circa 3-4 stacchi e confezionati in cassette direttamente in campo. Per la granella secca, invece, si devono tagliare le piante, che vengono lasciate a essiccare per 15 giorni sui tutori - da sfilare a mano, e recuperare - prima della trebbiatura».
Il ciclo di vita è di circa 90 giorni. «La semina inizia a fine aprile e prosegue, per il prodotto fresco, fino alla prima decade di luglio, quando prende avvio la raccolta cerosa dei baccelli», che può proseguire fino a fine settembre. La trebbiatura del prodotto secco, invece, è più tardiva: incomincia alla metà di agosto e si conclude agli inizi di ottobre. L’apporto idrico è fondamentale per lo sviluppo della coltura: «Il fabbisogno è leggermente inferiore a quello del mais per via della minore durata del ciclo produttivo».
Difesa fitosanitaria
Le problematiche fitosanitarie della coltura annoverano patogeni fungini, affrontati con trattamenti a base di prodotti rameici consentiti in regime biologico - «la ruggine bruna che si manifesta, d’autunno, con una puntinatura marrone sulle foglie e ne riduce la capacità fotosintetica» - lepidotteri - «La piralide buca il baccello e, oltre a intaccare i semi, apre la strada all’acqua, responsabile di scurimenti degli altri fagioli» - e, infine, la Halyomorpha Halys, affrontata con trattamenti insetticidi.
Simone Curetti ha lasciato il posto fisso per seguire la vocazione della terra: a San Biagio di Mondovì coltiva, assieme alla moglie, coadiuvato dai genitori, 14 ettari di terreni a orticole e piccoli frutti, i campi di Billò destinati alla trebbiatura ne occupano 4. «Iniziamo a seminare verso il 10 giugno, finita la campagna delle fragole. Le operazioni richiedono 15 giorni di lavoro con tre persone».
Le infestanti sono uno dei maggiori problemi della coltura: il diserbante, usato in pre-semina, è associato alle sarchiature. «La prima, quando i fagioli sono alti 10 centimetri, smuove il terreno e favorisce il radicamento delle piante. Per il secondo passaggio ci serviamo di un’assolcatrice: la terra viene lavorata anche sotto i tutori». I primi 15 giorni sono decisivi per le sorti dell’annata: «La cancrena pedale, un’infezione fungina favorita dall’umidità, può insorgere dopo il germogliamento, bloccando lo sviluppo delle piante con perdite di produzione. Da alcuni anni, complici le primavere umide, interveniamo a scopo preventivo con un fungicida».
Le ondate di calore estive, viceversa, inficiano l’allegagione, al via a inizio agosto. «Temperature oltre i 30 gradi non favoriscono l’impollinazione, che ha bisogno di una buona escursione termica giornaliera». I dati produttivi sembrano confermare la dinamica: «Abbiamo raccolto 10 quintali per giornata piemontese contro i 12-13 del 2024, a parità di interventi e condizioni di vigore delle piante», precisa Curetti. La mancanza di precipitazioni estive ha messo a dura prova l’efficacia del sistema irriguo a scorrimento: «Abbiamo irrigato 6 volte con turni ogni 9 giorni, siamo partiti quando le piante erano ancora piccole. Nei terreni drenanti, causa l’assenza di precipitazioni, le diete irrigue non supportavano il fabbisogno idrico dei fagioli».
Durante la campagna 2025 gli agricoltori hanno fatto i conti anche con la cimice asiatica: «Negli ultimi anni siamo stati costretti a eseguire trattamenti. L’insetto punge i baccelli e causa danni visibili soprattutto al prodotto fresco; nel caso del secco i semi deformati o marci vengono scartati dalle macchine».
Produzione in calo
Aldo Marchisio guida il Consorzio di tutela da più di vent’anni: nel 2001 ha avviato l’iter per l’Igp. La sua azienda, undici ettari in frazione San Benigno, comune di Cuneo, è stata convertita di recente alla produzione di cereali. «Ho coltivato fagioli dal 1974 al 2024, poi ho dovuto smettere per via dell’età». Non è una situazione isolata, nella pianura attorno al capoluogo della Granda: «La coltura ha conosciuto un boom fra il 2000 e il 2010, oggi i giovani che si fermano in azienda preferiscono investire sull’allevamento di bovini».
Una scelta dettata non tanto da considerazioni sui margini di guadagno - «una giornata piemontese (mezzo ettaro) garantisce rese attorno ai quattromila euro per il secco, più elevate rispetto al mais e al grano» - quanto piuttosto dall’esigenza di manodopera. «Seminare o raccogliere un ettaro di fagioli impegna per una giornata lavorativa 4 o 5 persone». Lo stesso vale anche per il prodotto da granella: «Si devono sfilare i tutori manualmente, di solito la mattina, per consentire l’essiccazione dei baccelli e la trebbiatura entro il pomeriggio», spiega Marchisio.
Il calo di produzione ha avuto ripercussioni anche sulla commercializzazione: «Fino ad alcuni decenni fa esistevano quattro mercati per la contrattazione delle partite: Caraglio, Castelletto Stura, Centallo e Boves. Oggi soltanto quest’ultimo è ancora aperto, per la vendita del fagiolo fresco». Il secco, invece, viene conferito ai grossisti per le lavorazioni: cernitori ottici e macchine densimetriche scartano i semi marci o rotti. «Il prodotto a marchio Igp oggi è lavorato da un solo commerciante che rivende ai confezionatori», conclude il presidente del Consorzio.
A Caraglio, comune all’imbocco della valle Grana, Claudio Aime ha destinato 12 dei 40 ettari complessivi della sua azienda al fagiolo Cuneo Igp. «Otto ettari di rosso da cogliere fresco e 4 di secco», precisa l’agricoltore che affianca ai legumi la produzione di mele, ciliegie e orticole.
Il 2025 è stato segnato da una flessione delle quotazioni: «Al mercato di Boves il prezzo medio del prodotto fresco si è attestato a 2 euro e 40 centesimi il chilo contro i 2,80 del 2024, un’annata eccezionale per la coltura». Dal Cuneese le partite raggiungono Veneto, Emilia e Lazio ma anche «Francia, Germania e Svizzera. Il nostro rampicante è apprezzato per la buccia più sottile rispetto ad altre varietà». Il ribasso dei prezzi ha interessato anche il secco: «Ho venduto a 420 euro il quintale, più di 100 in meno rispetto all’anno precedente», prosegue Aime.
Il ciclo della coltura viene armonizzato con le esigenze dei frutteti: «Semino il rosso da raccolta cerosa a scaglioni, fra inizio maggio e i primi giorni di luglio, per alternare la raccolta – ultimata in tre stacchi – con quella delle mele. Il secco, invece, viene piantato fra metà maggio e metà giugno, per consentirne l’essiccazione e la trebbiatura entro fine settembre». L’escursione termica garantita dall’altimetria dei campi – tutti oltre i 450 metri – favorisce le qualità del prodotto: «I baccelli assumono un colorito più intenso rispetto all’areale di pianura di Centallo, un tempo zona di punta per la coltura, che oggi si sta spostando verso quote più elevate, forse per i mutamenti del clima».
L’irrigazione è uno dei cardini della strategia di coltivazione: «Due ore al giorno, fra fine giugno e settembre, nei campi con impianti a manichetta, turni ogni 15 giorni negli altri». Completano il quadro degli interventi sarchiature e concimazioni, l’ultima «azotata, quando le piante hanno raggiunto i 15 centimetri». Nella stagione appena trascorsa, le infezioni fungine hanno creato problemi, «soprattutto la ruggine bruna, forse per il clima umido. Purtroppo i prodotti efficaci, fra quelli disponibili, sono sempre meno», conclude Aime.
La raccolta è un’operazione delicata, preparata con grandi cure: «Tagliamo le piante con un falcetto e le lasciamo per 15-20 giorni a essiccare sui tutori, che vengono sfilati solo poco prima della trebbiatura per evitare che l’umidità del terreno crei problemi di separazione dei semi dal baccello». Le canne vengono recuperate per essere riutilizzate, visto che si tratta di una delle voci di spesa più impattanti: «Oltre tremila euro per ettaro, ai quali si aggiungono i costi della semente, circa 630 euro per unità di superficie».










