La prossima Politica agricola comune, che entrerà in vigore nel 2023, avrebbe forse potuto essere ancora più ambiziosa. Ma l’accordo politico raggiunto il 25 giugno scorso, al termine del Trilogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue, dopo tre anni di negoziato, ci induce a ribadire che si tratta di un buon compromesso tra i 27 Paesi dell’Unione. Anche perché la riforma porta in dote importanti novità, a tutela dei nostri agricoltori, delle filiere produttive e dei cittadini-consumatori europei, come mai era successo in quasi 60 anni di ‘onorata carriera’ della Pac. Con tre pilastri di una politica che per i prossimi anni destinerà ancora quasi il 32% del budget comunitario, con una dotazione di circa 387 miliardi di euro. Per l’Italia, nei sette anni di programmazione, in aggiunta agli oltre 40 miliardi di fondi Ue saranno disponibili 11 miliardi di cofinanziamento nazionale derivanti dal Pnrr, per un montante complessivo di quasi 51,5 miliardi a prezzi correnti.
Certo, le aziende agricole con una superficie di oltre 10 ettari dovranno rispettare criteri di condizionalità con nuove buone pratiche agro-ambientali, come la rotazione colturale e l’obbligo di aree non produttive.
Editoriale di Terra e Vita 23/2021
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Ma ricordiamo che il sostegno al reddito resterà l’elemento prioritario della Pac, con il 75% degli aiuti riservato ancora alle misure del primo pilastro, e in particolare ai pagamenti diretti. Che per il nostro Paese si traduce in 3,63 miliardi l’anno da destinare alle aziende agricole in funzione della loro dimensione in ettari. E attraverso gli eco-schemi saranno premiati – fino al 25% dei pagamenti diretti – quegli agricoltori che metteranno in campo pratiche innovative e più sostenibili, garantendo i già elevati livelli di biodiversità delle nostre aree rurali.
Per la prima volta dalla sua istituzione, sancita nel 1962, oltre a una maggiore attenzione a un’agricoltura eco-sostenibile, in linea con il Green Deal e le strategie Farm to Fork e Biodiversity, la futura Pac prevede l’inserimento della dimensione sociale; elemento che vincolerà l’erogazione dei premi al rispetto delle norme europee in materia di diritti dei lavoratori. E qui saranno gli Stati membri a inserire all’interno dei Piani strategici nazionali un meccanismo di condizionalità, su base volontaria dal 2023 e in via obbligatoria dal 2025. Come dire, la Pac non finanzierà più gli agricoltori che non rispettino i diritti dei propri dipendenti, mettendo la parola fine alla concorrenza sleale verso la stragrande maggioranza degli imprenditori che invece si prende cura dei lavoratori. Tutto questo, ricordiamo, senza indebolire gli obiettivi economici della Pac, visto che il 15% degli aiuti diretti sarà riservato al sostegno accoppiato alle produzioni più rappresentative del nostro agroalimentare, dal pomodoro all’olivicoltura. Così come saranno rafforzate le misure di gestione dei rischi ambientali o di mercato contro le perdite di produzione o di reddito.
Editoriale di Terra e Vita 23/2021
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Tra gli aspetti positivi della riforma, vale anche ricordare quelli contenuti del regolamento sull’Organizzazione comune dei mercati, con le misure ad esempio sull’etichettatura del vino per una maggiore trasparenza delle informazioni ai consumatori, e l’estensione a tutti i prodotti Dop e Igp di fare programmazione produttiva e rispondere in modo più efficace alla volatilità dei mercati senza violare le norme sulla concorrenza.
Ultimo, ma non per importanza, con questa riforma abbiamo evitato il rischio di una ri-nazionalizzazione della Pac, salvaguardandone la dimensione comune e rimettendo al centro il ruolo delle regioni che saranno determinanti per la messa a punto dei Piani strategici nazionali.
Paolo De Castro
Capogruppo S&D Commissione agricoltura del Parlamento europeo