Con rese medie di 20-25 q/ha o persino inferiori, perché fortemente condizionate dal pessimo andamento climatico , quest’anno nel Foggiano, anche se le prime quotazioni della Borsa merci del capoluogo dauno sono state di circa 58 €/q + Iva per il grano duro fino, il bilancio economico della coltura del grano duro è andato spesso in pareggio o è risultato negativo, tranne i casi più fortunati, visto che i costi di produzione sono fortemente aumentati rispetto al 2021.
Aumento dei costi per tutte le aziende
È quanto sostiene Marcello Martino, agronomo responsabile della conduzione di numerose aziende cerealicole rappresentative del Foggiano e produttore egli stesso di grano duro in agro di Manfredonia e Foggia, sulla scorta dei costi reali sostenuti dagli agricoltori foggiani, rilevati dalle fatture di acquisto di fertilizzanti, sementi, agrofarmaci e altri mezzi tecnici necessari per la coltivazione del grano duro. «Stilare un bilancio economico valido per tutte le aziende durogranicole foggiane è impossibile, tenuto conto delle notevoli differenze tra quelle che si rivolgono ai contoterzisti per le diverse operazioni colturali e quelle che dispongono di un proprio parco macchine e attrezzature agricole. Tutte le aziende, in ogni caso, hanno subìto forti incrementi dei costi di produzione, con particolare riferimento a quelle, sempre più numerose, che si servono di contoterzisti, i quali hanno dovuto aumentare le proprie tariffe. Soltanto le aziende di maggiori dimensioni sono riuscite a realizzare una migliore economia di scala, pur essendo soggette, comunque, a un aumento generalizzato dei costi».
Confronto tra le annate 2020-2021 e 2021-2022
Dal confronto fra le ultime due annate durogranicole emerge con evidenza netta che il costo delle lavorazioni agricole (aratura, erpicatura, mietitrebbiatura, ecc.) eseguite da contoterzisti è aumentato mediamente del 20-30%. Ma anche chi dispone di proprie macchine e attrezzature ha dovuto sopportare l’aumento impressionante del costo del gasolio agricolo, dei costi di manutenzione, dei costi dei pezzi di ricambio e di tutto il resto.
«I mezzi tecnici agricoli hanno subìto incrementi notevoli, spesso altissimi – sottolinea Martino –. Il costo delle sementi è cresciuto in maniera direttamente proporzionale all’aumento del prezzo del grano duro riconosciuto al produttore: nell’annata agraria 2020-2021 era pari a 52-56 €/q, Iva compresa, a fronte di un prezzo del grano ottenuto nell’annata precedente (2019/2020) pari a circa 30 €/q, invece nell’annata 2021-2022 è schizzato a 78-82 €/q, Iva compresa, rispetto a un prezzo del grano ottenuto nell’annata precedente (2020/2021) che è arrivato fino a 55-57 €/q. Il costo dei fertilizzanti, e in particolare quello dei concimi azotati, è aumentato di oltre il 100%: esemplare è il caso dell’urea agricola, il cui costo è triplicato, passando dai 30-35 €/q del 2021 ai 90-110 €/q del 2022! Il costo dei fitofarmaci è aumentato un po’ meno dal 2021 al 2022, in media del 10-15%, essendo stato sempre piuttosto elevato! Rialzi minori hanno registrato altre voci di costo, come l’assicurazione contro l’incendio delle granaglie, i contributi di bonifica, la consulenza tecnica, ma si tratta pur sempre di aumenti che pesano sul bilancio economico della coltura».
Ricavi uguali ai costi o addirittura inferiori
Di fatto, nel Foggiano, mentre nel 2021 il costo medio per ettaro del grano duro era stato di 600-700 €/ha, nel 2022 è quasi raddoppiato, raggiungendo 1.000-1.200 €/ha. «Con una resa media di 20-25 q/ha, ma in parecchi areali notevolmente più bassa, persino di 10-15 q/ha, e con i prezzi attuali, in forte discesa, attualmente pari a circa 50 €/q, i ricavi pareggiano i costi o diventano addirittura inferiori».
Anche chi ha prodotto in filiera ha sofferto l’aumento dei costi
Anche coloro che producono grano duro aderendo a un contratto di filiera, conclude Martino, hanno scontato il forte aumento dei costi di produzione. «Anzi, forse più di altri, perché spesso costretti, per rispettare il disciplinare di produzione, a eseguire anche una doppia concimazione azotata e un doppio trattamento anticrittogamico. E ciò a fronte di rese basse e spesso di qualità non eccellente, a causa di un peso specifico inferiore a 77-78 kg/hl e con un contenuto in proteine realmente utilizzabili per la pastificazione inferiore al 14% o al 14,5%, che rappresentano i valori minimi da cui partono quasi tutti gli accordi di filiera per riconoscere la premialità sul prezzo».