Ci risiamo: pagamenti Pac finiti a società non agricole e osservazioni tecniche che si scontrano con scelte politiche.
La relazione della corte dei Conti europea sull'esecuzione del bilancio 2009, pubblicata la scorsa settimana, rilancia un problema emerso fin dai primi anni di applicazione del disaccoppiamento, vale a dire la non sempre felice destinazione finale degli aiuti agricoli europei che, sganciati definitivamente dalla produzione, molte volte finiscono per perdere qualsiasi legame anche con l'attività agricola stessa.
Una questione molto sentita - a ragione - dal mondo agricolo e che si appresta a tornare d'attualità nell'ambito del negoziato per la nuova riforma che dovrà riscrivere le regole della Pac post 2013.
Già nel documento comune presentato nelle scorse settimane dalle associazioni agricole italiane (Confagricoltura, Cia e Copagri) si rilanciava la richiesta di destinare gli aiuti Ue solo ai «veri» agricoltori. Sul punto era d'accordo anche la Coldiretti, fermo restando che le modalità per individuare le imprese agricole professionali sono ancora da definire.
Anche la bozza della comunicazione sulla riforma Pac che la Commissione europea si appresta a presentare il prossimo 18 novembre contiene, proprio in risposta ai rilievi della Corte dei conti Ue, un esplicito riferimento alla necessità di individuare gli «agricoltori attivi » al fine di meglio indirizzare la spesa agricola europea.
Ora nella relazione della magistratura contabile europea si legge, a titolo di esempio: «Un pagamento (Rpus) è stato eseguito a favore di un beneficiario in assenza di elementi comprovanti l'effettivo svolgimento di un'attività agricola: il beneficiario, una società a responsabilità limitata di proprietà di un'amministrazione locale, ha presentato una domanda di aiuto Rpus per oltre 530 ettari di terreni destinati a prato e pascolo.
Non è stato possibile dimostrare che la società potesse beneficiare dell'aiuto in ragione dell'attività agricola svolta - ad esempio produzione o coltivazione di prodotti agricoli, allevamento o possesso di animali a fini agricoli o il mantenimento della superficie in buone condizioni agronomiche (Bca) - e, in ragione di ciò, il pagamento dell'aiuto (30.000 euro) non era giustificato.
La Corte ritiene che questo caso costituisca un ulteriore esempio del problema già evidenziato dalla Corte nella relazione annuale sull'esercizio 2008». Quello citato è solo uno dei molti esempi.
Certo non siamo ai paradossi rilevati tre anni fa, quando la Corte dei conti nella sua ricognizione arrivò a denunciare l'erogazione di aiuti Pac a favore di scarpate ferroviarie, circoli di equitazione e campi da golf. Ma il problema è sempre lo stesso. L'assenza di un legame forte tra i premi Ue e l'attività agricola.
Una conseguenza diretta del disaccoppiamento dei premi varato con la riforma del 2003 e, da allora, rafforzate ed esteso progressivamente a tutti i settori.
Le risposte della Commissione europea ai rilievi della Corte confermano la natura politica, e non solo tecnica, del problema: «I pagamenti Rpus sono destinati alle persone fisiche o giuridiche che svolgono un'attività agricola o mantengono le terre in buone condizioni agronomiche (Bca) - osserva la Commissione nella risposta alla Corte dei conti -.
Non è dunque richiesta alcuna attività agricola specifica, è sufficiente che l'agricoltore rispetti le buone condizioni agronomiche (Bca).
Il caso menzionato non riguarda la regolarità nel quadro delle norme Ue pertinenti, ma piuttosto la scelta politica effettuata dal legislatore Ue, nel corso della valutazione dello stato di salute della Pac, di lasciare allo Stato membro la facoltà di decidere se concedere pagamenti diretti alle persone fisiche o giuridiche la cui principale attività economica non consiste nell'esercitare un'attività agricola o le cui attività agricole sono irrilevanti».
Il riferimento della Commissione è all'articolo 28 del regolamento «orizzontale» dell'ultima riforma Pac (73/2009) sui «requisiti minimi per il percepimento degli aiuti diretti» che lascia ai singoli Stati membri la possibilità di stabilire «adeguati criteri oggettivi e non discriminatori per garantire che non siano concessi pagamenti diretti a una persona fisica o giuridica: le cui attività agricole costituiscano solo una parte irrilevante delle sue attività economiche globali; o la cui attività principale o il cui obiettivo sociale non sia l'esercizio di un'attività agricola».
Come si ricorderà, dopo un'ampio dibattito a livello nazionale si decise di non applicare quest'opzione. Troppo complicato individuare un criterio (iscrizione all'Inps, partita Iva o altro) in grado di accontentare tutti e assicurare una più efficiente allocazione degli aiuti Ue.
Ma ora è la stessa Commissione, nella sua risposta alla Corte, a confermare come il tema sia destinato a tornare d'attualità con la nuova riforma della Pac: «Un'ulteriore riflessione su questo punto - sottolinea l'esecutivo comunitario - viene condotta nel quadro della riforma della politica agricola comune dopo il 2013».
Sull'esempio specifico riportato dalla Corte dei conti, la Commissione conclude infine che «dal fascicolo di pagamento risulta che nel settembre 2008 le autorità nazionali in causa hanno effettuato un'ispezione in loco della superficie dichiarata, incluse alcune delle parcelle ispezionate dalla Corte, e hanno determinato il pagamento sulla base della superficie risultata in buone condizioni agronomiche. Un'ispezione in loco effettuata dalla Commissione nel maggio 2010 ha confermato che la superficie oggetto del pagamento continua a essere in buone condizioni agronomiche ».
Proprio questa è la scelta da fare: è sufficiente, per giustificare l'erogazione dei pagamenti diretti, il mantenimento dei terreni agricoli in «buone condizioni agronomiche e ambientali », o nei nuovi criteri sarà necessario aggiungere (o forse sarebbe meglio dire reinserire) un legame con la produzione agricola?
Per deciderlo c'è un intero negoziato che, formalmente, non è ancora cominciato ed è comunque destinato a durare a lungo.
Alessio Romeo