Rese produttive nella media o di poco inferiori, buona la qualità.
È questo il primo verdetto che emerge dalla campagna di raccolta dei cereali autunno-vernini, ormai conclusa al Centro-sud e in fase avanzata al Centro-nord Italia. Una campagna, quella 2020-2021, che lasciava intravedere all’orizzonte effetti negativi sulle rese e sugli aspetti qualitativi a causa di un andamento stagionale non favorevole, caratterizzato da abbondanti piogge autunno-invernali, siccità prolungata a fine inverno-inizi primavera e con gelate persistenti ad aprile nell’areale nord del nostro Paese. Alla conta dei fatti però, dicono gli esperti, i dati illustrano una situazione migliore rispetto alle attese.
Al Nord qualità eccellente
Al Nord la campagna dell’orzo è conclusa, con produzioni in linea con quelle delle annate precedenti o di poco inferiori, in genere dalle 6 alle 7 t/ha, ma con buoni pesi specifici, che non di rado hanno raggiunto il valore di 70, con medie che facilmente hanno superato il valore di 65. Per quanto riguarda invece i frumenti, sebbene la raccolta non sia ancora terminata, i primi dati parlano chiaro: per il tenero si registrano rese produttive che si aggirano sulle 7-7,5 t/ha; per il duro si va dalle 6 alle 7 t/ha, con i valori più elevati nella pianura lombarda rispetto a quella emiliana. Ma è l’aspetto qualitativo che sorprende in modo positivo.
Per il frumento duro si evidenzia la pressoché assenza di infezioni fungine, con micotossine, fra cui il Don, non pervenute. Ottimi i livelli proteici, che si posizionano fra il 14 e il 14,5%.
Articolo pubblicato sulla rubrica Primo piano di Terra e Vita
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In definitiva, diversamente dalle attese che, in base a un decorso climatico non ottimale, facevano presagire a performance produttive e qualitative non eccelse, la realtà dei fatti sembra indicare una buona annata. Il motivo? «Ha influito positivamente l’andamento climatico di maggio – a parere del tecnico dell’Op Nazionale Italia Cereali Marco Gorni Silvestrini – piovoso ma non troppo e fresco nelle temperature, che ha permesso una buona fioritura e un’ottimale fase di riempimento delle cariossidi. Ciò ha permesso di compensare il brutto inizio di primavera siccitoso e freddo».
Insomma, con i prezzi di mercato che si preannunciano in sensibile crescita rispetto a un anno fa, i produttori di cereali quest’anno possono finalmente tornare a sorridere.
Conferme positive su rese e qualità arrivano anche da Lombardia ed Emilia. Lo conferma, per esempio, Cristian Grignani, contoterzista che lavora tra Pavia e Piacenza e che ci dice come l’orzo, raccolto nelle ultime due settimane di giugno, abbia toccato in qualche caso le 7,5 t/ha, con in più una buona qualità. Anche i primi tagli del grano, conclude Grignani, danno un esito positivo. A quantificarlo pensa Luigi Bubba, agricoltore di Piacenza. «Nella mia zona (La Val Trebbia ndr), siamo attorno ai 65 q/ha, un valore tutt’altro che disprezzabile».
Lo stesso vale per i territori al confine con la provincia di Parma, dove gli agricoltori stanno raccogliendo un prodotto abbondante e con buon peso specifico, mentre la paglia, soprattutto su terreni drenanti, è di bassa taglia a causa della scarsità di piogge.
Un altro problema sembra essere rappresentato dalla cimice. Non a Parma e Piacenza, ma certamente nel Ferrarese, dove secondo Andrea Rossini si registrano cali produttivi legati ad attacchi sulle spighe giovani.
Alla fine, e in attesa di dati più organici, la miglior sintesi è probabilmente quella che fa Antonio Ricci, agricoltore e contoterzista di Faenza: «Chi ha lavorato bene, facendo una buona concimazione già a fine gennaio e magari aggiungendo un antifungino precoce più un diserbo con prodotti validi, ha sicuramente dei risultati. Alcuni clienti hanno superato i 100 q/ha e anche noi sui nostri terreni siamo oltre quel valore. In alcuni appezzamenti siamo anzi attorno alle 11 t/ha, se non oltre. Chi invece ha risparmiato sul concime e magari ha ritardato il trattamento per vedere se fosse davvero necessario farlo, adesso fatica a superare i 60 quintali».
Al Centro, anche se nelle Marche e in Abruzzo quest’anno non si registrano le rese record della passata stagione produttiva, grano tenero e duro hanno prodotto nella media, attorno alle 4-4,5 t/ha. Anche qui buona la qualità.
Puglia e Basilicata, rese giù
In Puglia e Basilicata l’annata del grano duro si preannunciava promettente, poi le gelate di inizio primavera e la siccità di aprile e maggio, potenziata a poche settimane dalla raccolta da improvvise ondate di calore, hanno lasciato il segno sulle rese, diminuite quasi ovunque del 30-40% rispetto alle medie degli anni scorsi.
Per Gerardo Campanella, presidente della cooperativa cerealicola Corsud di Deliceto (Fg) e produttore di grano duro in filiera su 40 ha compresi fra Deliceto, Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri, «le rese sono purtroppo molto basse. Ci aspettavamo 35-40 q/ha, ma a causa delle gelate e della stretta di maggio abbiamo raccolto 23-27 q/ha. Peso specifico, colore e proteine sono buoni, ma con rese così scadenti non avremo bilanci in pareggio, pur avendo prodotto in filiera».
Nel Foggiano le rese sono in generale modeste rispetto alle medie consuete, conferma Rino Mercuri, 50 ha a grano duro a Foggia in filiera. «Le gelate del 26 marzo e del 6 aprile hanno ridotto le rese potenziali, la stretta ha fatto il resto. La media produttiva è di 25-30 q/ha, anche per chi ha coltivato in filiera e seguito scrupolosamente disciplinari rigorosi. Aggiungo però che in alcune aree le rese sono state persino inferiori, mentre in altre sono andate in controtendenza: io, ad esempio, tra Foggia sud e Incoronata, area non colpita dalle gelate, ho ottenuto 50 q/ha, con peso specifico fra 80 e 85 e proteine intorno al 13,5-14%, buone ma non eccellenti, per cui rientrerò solo in parte nel minimo previsto dal contratto di filiera. La Borsa merci di Foggia a fine giugno ha quotato il grano duro fino 30-30,50 €/q: non è un brutto prezzo, ma le rese basse stanno limando i ricavi aziendali».
«Sull’Alta Murgia è andata peggio del Foggiano – afferma Domenico Carone, produttore di Altamura (Ba) –. Le gelate prima e la siccità poi hanno ridotto le rese del 45-50%, fino a picchi del 60%. In tanti campi non si è raccolto più di 12-13 q/ha. Anche da noi la qualità è molto buona, il grano duro ha un bellissimo colore ed è ricco di proteine, ma con queste rese che cosa guadagneremo? La delusione rimane».
Anche nel Materano gli esiti della mietitrebbiatura del grano duro si sono rivelati insoddisfacenti, dichiara Nunzio Di Mauro, presidente della Società cooperativa agricola “Le Matine” di Matera, 3.000 ha coltivati sull’altopiano murgiano fra Puglia e Basilicata. «Nei campi dei soci gelate e siccità hanno lasciato il segno. Pur nella variabilità legata al microclima locale, alla fertilità dei terreni e alla tecnica colturale adottata, le rese medie sono calate del 35% rispetto al 2020: solo 25-30 q/ha, con punte minime di 15 q/ha. La qualità è nella media. I prezzi discreti, 28-29 €/q. Ma con rese così basse quest’anno c’è poco da stare allegri».
Sicilia: più quantità, meno qualità
Operazioni di raccolta in fase molto avanzata anche in Sicilia, con le province di Enna, Palermo, Agrigento e Caltanissetta più indietro rispetto al Catanese. Dai primi riscontri il parere degli esperti e degli operatori del settore sembra già univoco: le rese medie di quest’anno dovrebbero mettere a segno mediamente un +10% rispetto alla campagna 2020. E In alcuni casi si potrebbe andare anche oltre.
Nell’entroterra siciliano – nel triangolo compreso tra Enna, Caltanissetta e Agrigento, ma anche nella parte interna del Palermitano – le rese del grano duro si stanno attestando intorno ai 40 q/ha, passando per minimi (come nell’areale catanese interno) di 25 q/ha ma anche per massimi di 70 q/ha come quello fatto segnare a Villalba nel Nisseno. Le buone rese di quest’anno, secondo gli agricoltori, sono da attribuire alle piogge primaverili, arrivate al momento giusto.
Solo le zone a quota più bassa e quelle del Ragusano sono state penalizzate: lì, in alcuni casi, le rese hanno fatto registrare un 30% in meno. Un dato che risalta ancor di più, visto gli ottimi risultati conseguiti altrove.
«Per fortuna, però – osserva il presidente della rete d’imprese “Graniblei” Paolo Terranova – sul fronte delle rese nella provincia iblea hanno tenuto i grani antichi, che alla fine stanno dando risultati in controtendenza rispetto ai grani moderni».
Tirando le somme, dal punto di vista della quantità quest’anno rispetto al 2020 è tutta un’altra storia. Peccato però che non si ripeterà l’exploit della qualità, soprattutto con riferimento al contenuto proteico. L’anno scorso, infatti, al Consorzio di ricerca Gian Pietro Ballatore osservarono come quasi un terzo della granella sottoposta al monitoraggio presentasse contenuto proteico uguale o superiore al 13%. Gran parte della produzione 2021 potrà vantare un tenore di umidità intorno al 7%, ma in quanto a tenore proteico raramente supererà il 12%.
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Non preoccupa finora il livello dei prezzi che dagli iniziali 25-26 €/q sono addirittura cresciuti raggiungendo perfino i 28 €/q. Ciò che preoccupa, invece, sono le tendenze ribassiste nei confronti del grano duro biologico. «Il differenziale di prezzo negli ultimi otto mesi è in caduta libera – spiega il presidente del Consorzio Sicilcereali Vincenzo Grassia – lo scorso anno un quintale di grano duro biologico veniva pagato 10 e anche 15 euro in più rispetto al convenzionale. Poi la differenza è precipitata fino a 5 euro. Negli ultimi giorni ha toccato addirittura il fondo attestandosi sui 2 euro». Una tendenza che gli agricoltori, anche quelli più esperti, non sono riusciti a spiegarsi.
Massimo Battisti
Ottavio Repetti
Giuseppe Francesco Sportelli
Angela Sciortino
Quotazioni: tenero e orzo meno solidi del duro. Contratti di filiera vincenti
Che campagna sarà sul fronte dei prezzi? Restano ancora parecchie incertezze nei fondamentali e sull’atteggiamento dei fondi d’investimento, ma si possono già azzardare alcune considerazioni su come dovrebbe evolvere il mercato italiano dei grani e dell’orzo.
L’attuale fotografia globale vede, sulla carta, buone produzioni mondiali 2021 con raccolti che per tutte le commodity eccedono i valori dell’annata scorsa e, anche se di poco, i consumi previsti. Per la qualità le prospettive sono positive per le messi europee, mentre è ancora presto per l’origine Mar Nero e prematuro per il Nordamerica.
In Italia, le produzioni sembrano in linea con il 2020: poco meno di 3 milioni di tonnellate per il grano tenero, 4 milioni di t per il grano duro e circa un milione di t di orzo.
Osservando il rapporto produzione/consumi per l’Italia (fig. 1) traspare che, al netto degli scambi (import/export) con l’estero e di improbabili riflessi rialzisti dal mais, il contesto di mercato che si delinea mostra un deficit di campagna storico per gli orzi a -0,46 mln/t, e una situazione ancora complicata per il grano tenero (-4,8 mln/t), e per il duro (-2,1 mln/t).
L’Italia è strutturalmente deficitaria di cereali a paglia (produce circa il 55% del proprio fabbisogno), ma nei prossimi mesi potrà contare su una disponibilità e un contesto di mercato europeo migliori rispetto al 2020, con un surplus di tenero e orzo rispettivamente di 28 e 6 milioni di t e un deficit di duro in calo a 1,3 milioni di tonnellate (fig. 2).
Pertanto l’offerta comunitaria sull’Italia sarà adeguata, fatte salve intromissioni dell’ultimo minuto di altri Paesi importatori come il Nord Africa o l’asse cino-mediorientale nel caso si ripresentassero anche nel 2021/22 le tensioni di prezzo internazionali e le dispute politiche, con relativi dazi e restrizioni; situazione che ha caratterizzato il mercato cerealicolo mondiale negli ultimi 18 mesi.
Sul fronte dei consumi, l’auspicata uscita dalla pandemia e il consolidamento della preferenza dei consumatori sull’origine Italia sono ottimi segnali di tenuta dei prezzi interni, con l’interrogativo della continuità di approvvigionamento nel secondo semestre di campagna se, come accade oggi ed è accaduto nel passato, prezzi elevati dei rimpiazzi suggerissero maggior utilizzo dei cereali nostrani sul luglio-dicembre 2021.
C’è poi il delicato aspetto della facile reperibilità che, in particolare per il grano duro, non è così scontata alla luce di una disponibilità europea che è sì migliorata rispetto al 2020 ma resta deficitaria del volume mancante all’Italia. Quindi i nostri operatori, anche per la prossima campagna, dovranno approvvigionarsi sul mercato mondiale, dove già si preannuncia un quasi monopolio canadese per il duro e l’asse russo-ucraino come ago della bilancia per i teneri e l’orzo.
Molto probabilmente l’evoluzione dei prezzi di campagna scaturirà dalla combinazione di tutto quanto appena detto ma per una progressione senza picchi nell’arco dell’intera campagna domanda e offerta dovranno operare una corretta gestione temporale (nei 12 mesi) dei volumi di cereale nazionale. È vero che buona parte della produzione “100% italiano” è garantita dai contratti di coltivazione o a listino in pre-raccolta, ma lo è altrettanto il fatto che la maggior parte del consumo annuo di cereali a paglia richiede cereali generici “any origin”; il rischio è di vedere nuovamente la qualità nostrana prendere strade inconsuete, se il prezzo fosse inferiore ai rimpiazzi comunitari ed esteri, per poi mancare nell’ultimo trimestre di campagna.
Se tutto andrà bene il mercato di grani e orzo vedrà, anche sotto il condizionamento delle origini alternative, un progressivo rientro delle quotazioni dai recenti massimi, che si attende più consistente, ma senza particolari tensioni, per orzo e teneri, con il duro pressoché invariato e con qualche soddisfazione in più per chi ha aderito agli accordi di filiera.
Stefano Serra