
Con rese medie reali di 20-25 q/ha, pur in una eterogeneità che spazia dai 10-15 q/ha del Sud foggiano e dell’Alta Murgia barese ai 40-50 q/ha del Nord del Tavoliere e della Fossa Bradanica (che segna il confine tra Puglia e Basilicata). E con costi reali di produzione che superano i 1.000 €/ha e spesso arrivano ai 1.200 €/ha, non sembra vedersi un futuro economico credibile per la coltura del grano duro, in Puglia.
A maggior ragione se si considera che i prezzi al produttore, per il grano duro fino, attualmente sono pari a 297-302 €/t (borsa merci di Foggia), a 295-300 €/t (borsa merci di Bari) e a 280-285 €/t (secondo quanto dirigenti di cooperative foggiane sostengono che venga realmente pagato); e quindi assolutamente non remunerativi.
È questo lo scenario che consegna l’annata appena conclusa di produzione del grano duro in questa regione, al primo posto tra le regioni italiane per superficie investita (344.700 ettari) e produzione ottenuta (688.000 tonnellate). Un quadro così sconfortante e privo di prospettive, peraltro uguale a quello degli ultimi anni, da rendere gli agricoltori sempre più propensi ad abbandonare la coltura e lasciare i terreni vuoti. O a destinarli a ospitare pannelli fotovoltaici e pale eoliche.
Campagna siccitosa

Nel Foggiano è stata proprio una brutta campagna, afferma Marcello Martino, agricoltore (37 ha tra Foggia e Manfredonia) e agronomo responsabile della conduzione di diverse aziende agricole rappresentative daune. Non disastrosa come quella del 2024, quando numerosi produttori non hanno neanche mietitrebbiato, ma certamente modesta.
«È stata un’annata siccitosa caratterizzata da situazioni produttive molto eterogenee, perché anche poche piogge in più hanno fatto la differenza in positivo. In molte zone sono stati ottenuti risultati diversi anche in campi situati a breve distanza gli uni dagli altri, pur se coltivati con le stesse varietà e la medesima tecnica colturale. Dove è piovuto anche soltanto un po’ di più c’è stata una discreta produzione, mentre dove ha piovuto pochissimo e la siccità è stata più forte le rese si sono rivelate molto basse. In ogni caso la mancanza d’acqua nei mesi di gennaio e febbraio ha limitato fortemente l’accestimento e anche le ridottissime piogge primaverili hanno inciso negativamente sulle produzioni unitarie. Inoltre verso la fine di marzo si sono verificate gelate che hanno danneggiato le spighe in formazione».
Nella parte centromeridionale del Foggiano, più o meno da San Severo in giù, le rese medie sono state di 20-25 q/ha, con punte però di 30-35 q/ha dove è piovuto un po’ di più e nei momenti giusti, ma anche di 10-15 q/ha dove è piovuto molto poco.
«Ciò dimostra che le piogge primaverili di fine marzo - inizio aprile, dove sono cadute, hanno influito positivamente sulle rese finali. Invece nella parte settentrionale del Tavoliere, indicativamente da San Severo in su, dove piove sempre di più anche per l’influenza benefica del Gargano, le rese medie sono state generalmente di 40-50 q/ha, con punte di 60-70 q/ha nelle zone più prossime al Molise. Anche in alcune zone del Subappennino dauno, dove è piovuto di più, le rese sono state buone, intorno ai 40-45 q/ha, ma non sono mancate anche là rese di 20-25 q/ha e anche meno».

Nell’Alto Tavoliere, da San Severo ad Apricena fino al Molise, l’annata è decorsa piovosa nei tempi e nei modi giusti, fatta eccezione per una pioggia che ad aprile ha riversato in poche ore dai 100 ai 140 mm di acqua, conferma Donato Luciani, presidente della Cooperativa agricola fra coltivatori di Apricena (Fg), mentre la fascia orientale, da Rignano fino alla Pedegarganica, ha beneficiato di poche piogge e ha subito danni da una gelata che ha compromesso le rese.
«Il favorevole andamento meteorologico – dice Luciani – ci ha consentito di effettuare concimazione azotata in copertura, diserbo e trattamento fitosanitario nei tempi dovuti. Pertanto le rese sono state alte: 40-45 q/ha, con punte di 60-65 e persino 70 q/ha. Invece a est di Foggia 10-15 q/ha per i ringrani e 25-30 q/ha su maggese».

Qualità ok, ma non ovunque
Se le rese medie sono state eterogenee, la qualità si è rivelata molto buona, anche se non ovunque, nota Martino. «Peso specifico medio di 81-82 con punte di 86-87, proteine mediamente oltre il 14% e fino al 17-18%, con punte oltre il 20%, glutine e indice di giallo molto elevati. A rese mediamente basse è corrisposta una quantità eccellente, tanto è vero che i commercianti privati non hanno esitato ad acquistare il grano duro di questa annata e persino a pagarlo anche 1-2 €/q in più rispetto alle mercuriali della borsa merci di Foggia. Ciò dimostra che noi agricoltori foggiani sappiamo produrre molto bene il grano duro con caratteristiche qualitative eccellenti, che consentono di ottenere le migliori semole, alla faccia di chi sostiene che il grano duro con elevate proteine si produce solo in Canada o altrove».
Luciani, invece, evidenzia che nell’Alto Tavoliere la granella ottenuta è stata caratterizzata da buon colore, assenza di bianconatura e peso specifico oltre 80, ma anche da un basso contenuto proteico che ha reso difficile onorare il contratto di filiera in cui la cooperativa è impegnata. «È vero che le alte rese giustificano una qualità proteica relativamente bassa. Ma questa è stata causata anche dalla pioggia copiosa di aprile che ha dilavato l’azoto dato in copertura».

Prezzi sotto i costi di produzione
Considerando rese medie di 20-25 q/ha, i prezzi attuali impediscono di recuperare anche solo i costi di produzione, osserva Martino. «Il nostro è un grano duro straordinario, che merita ben di più delle attuali misere quotazioni della borsa merci di Foggia! Ci penalizzano prezzi troppo bassi e costi che, adottando una tecnica colturale ordinaria, si attestano su 800-900 €/ha, ma possono salire fino a 1.100-1.200 €/ha nel caso di un’annata piovosa, con precipitazioni abbondanti soprattutto nel periodo primaverile (tab. 1). Infatti piogge regolari consentono di effettuare una seconda concimazione azotata in copertura e, a volte, persino una terza concimazione azotata, e determinano la necessità di effettuare anche un secondo intervento anticrittogamico, con un conseguente aumento dei costi, che però non vengono compensati da un corrispondente aumento di rese».
Soprattutto nelle aree con rese sui 15-20 q/ha la situazione è drammatica, concorda Luciani. «Con prezzi teorici di circa 300 €/t, ma reali, cioè pagati dai mugnai, di 280-285 €/t, la produzione lorda vendibile di molte aziende non raggiunge 600 €/ha, decretandone il fallimento di fatto, e per altre, pur superando i 1000 €/ha, basta forse appena a coprire i costi. Si sta profilando una situazione insostenibile, perché non abbiamo alternative al grano duro, a parte il cece che ha visto quest’anno un aumento delle superfici. Ma non possiamo tutti e sempre seminare ceci!».
Il basso livello dei prezzi del grano duro che si sta registrando nella presente annata e quello elevato dei costi di produzione, in presenza di rese medie modeste, sta determinando grossi problemi per i produttori, conclude Martino. «Siamo arrivati a un punto estremo, oltre il quale non si potrebbe fare altro che abbandonare la coltivazione del grano duro. Noi agricoltori non possiamo più andare avanti così, senza alcuna reale attenzione da parte delle istituzioni che potrebbero aiutare il comparto a evitare il tracollo».
Allo stato attuale, aggiunge, «non esistono più le condizioni per continuare a produrre grano duro senza rimetterci soldi. E sarebbe veramente incredibile se una delle colture storiche del Tavoliere delle Puglie, da sempre denominato il “granaio d’Italia”, venisse abbandonata. Sarebbe la fine per l’agricoltura in asciutto, tenendo conto che mancano vere e proprie alternative colturali in assenza di fonti idriche per l’irrigazione dei terreni. Non a caso gli agricoltori chiedono da tempo che l’Unione europea, con una Pac credibile, e lo Stato italiano, con apposite misure governative, li aiutino a mantenere in piedi un comparto fondamentale per l’agricoltura foggiana, pugliese e italiana».












