I dannosi effetti della crisi climatica sulle rese, l’aumento rapido ed eccessivo dei costi di produzione e la schizofrenia dei prezzi rendono molto difficile tenere sotto controllo la sostenibilità economica del frumento duro. Soprattutto al Sud.
Gli attuali costi di produzione e i prezzi di vendita stanno facendo vivere al comparto del grano duro un cambiamento epocale nell’approccio da parte dei produttori agricoli. Storicamente il triticum durum è stato sempre considerato una coltura poco costosa e capace di garantire un reddito netto modesto, ma certo. Adesso non è più così, i produttori rischiano seriamente di avere bilanci negativi, con costi di produzione che superano i ricavi. Perciò, mentre in precedenza non si dava troppo peso ai costi da sopportare, adesso è necessario fare bene i conti prima di decidere o meno di seminare grano duro, ben sapendo, nell’attuale difficile contingenza economica segnata da continui rincari dei mezzi tecnici agricoli, che i costi di oggi potrebbero anche essere diversi da quelli dei prossimi mesi. È quanto consiglia Marcello Martino, produttore di grano duro a Foggia e Manfredonia e agronomo responsabile della conduzione di diverse aziende cerealicole, per una superficie totale di alcune migliaia di ettari nel Foggiano.
Articolo pubblicato sulla rubrica Primo piano di Terra e Vita
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Certezze svanite
«In Capitanata, così come in altre zone vocate d’Italia, la coltura del grano duro è sempre stata praticata diffusamente anche in virtù del fatto che i relativi costi di produzione non erano molto elevati – spiega Martino –. Grazie ad anticipazioni colturali contenute, a rese medie piuttosto stabili e a prezzi di vendita non soggetti a grosse oscillazioni, pur non facendo arricchire i produttori, assicurava il reddito minimo indispensabile che permetteva la sopravvivenza dell’azienda agricola. Adesso non è più così, bisogna fare bene i conti in partenza, stilare un bilancio preventivo e valutare se conviene investire ancora nel grano duro. I dannosi effetti della crisi climatica sulle rese, penalizzate negli ultimi anni da piogge eccessive in fase di semina e dalla siccità e dalle elevate temperature primaverili, l’aumento rapido ed eccessivo dei costi di produzione e la schizofrenia dei prezzi, ormai lontani dalla precedente stabilità e caratterizzati da rialzi e crolli consistenti e repentini, rendono molto difficile tenere sotto controllo la sostenibilità economica della coltura».
Stilare un conto economico della coltivazione del grano duro basandosi sui costi attuali è piuttosto difficile a causa della relativa instabilità. Ma diventa ancora più arduo se si cerca di proiettarli nel tempo, con riferimento ai prossimi mesi. «Tutti i costi di produzione sono soggetti a variazioni e aumenti continui – avverte l’agronomo –. Rivolgersi ai contoterzisti, sempre più indispensabili per eseguire le lavorazioni meccaniche nelle aziende di maggiori dimensioni, è diventato proibitivo per molti agricoltori. Le aziende agromeccaniche devono fronteggiare l’aumento dei costi di carburanti, lubrificanti, manutenzione e pezzi di ricambio, per cui sono costretti a chiedere continui aumenti delle tariffe ai clienti, che tuttavia non sono più in grado di sostenere questa enorme crescita continua dei costi. In realtà non soltanto agli agricoltori, ma anche ai contoterzisti sempre più spesso converrebbe non lavorare e tenere le macchine ferme».
Troppe incognite
«Il costo delle sementi di grano duro è il più difficile da prevedere – sostiene Martino –. Il prezzo delle sementi è cresciuto in maniera direttamente proporzionale all’aumento del prezzo del grano duro riconosciuto al produttore: nell’annata agraria 2020-2021 era pari a 52-56 €/q, Iva compresa, a fronte di un prezzo del grano ottenuto nell’annata precedente (2019/2020) pari a circa 30 €/q, invece nell’annata 2021-2022 è schizzato a 78-82 €/q, Iva compresa, rispetto a un prezzo del grano ottenuto nell’annata 2020/2021 arrivato fino a 55-57 €/q. Quest’anno una buona parte del grano duro è stato venduto subito, a 55-60 €/q, per cui le aziende sementiere potrebbero vendere le sementi a 80-85 €/q (Iva compresa), anche se tanto altro grano duro è stato venduto successivamente a 50-55 €/q e altro ancora viene ancora venduto a 45-50 €/q: che effetto avrà il forte scarto negativo sulle sementi di grano duro?».
I rincari energetici stanno pesando molto soprattutto sui fertilizzanti. «I prezzi dei concimi fosfatici utilizzati in presemina sono quasi raddoppiati: il perfosfato minerale 19% nell’autunno 2021 costava 24-25 €/q, adesso 45 €/q. Il rischio è che non si faccia più una buona concimazione di fondo: i produttori in genere distribuiscono i concimi fosfatici prima dell’aratura o della scarificatura del terreno o comunque prima della semina, come per il fosfato biammonico, ma quest’anno molti di essi stanno decidendo di non utilizzarli proprio. I prezzi dei concimi azotati sono aumentati di oltre il 100%: quello dell’urea agricola è triplicato, passando dai 30-35 €/q del 2021 ai 90-110 €/q del 2022! Un prezzo enorme, che costringerà molti a rinunciarvi o a ridurne le dosi. Decisioni comprensibili, anche se il risparmio sui concimi comporterebbe la rinuncia a una parte della quantità e della qualità delle produzioni dell’anno prossimo, per chi seminerà».
Il costo dei fitofarmaci, aggiunge Martino, è aumentato, nell’ultimo anno, in maniera più contenuta, in media del 10-15%, ma è sempre stato piuttosto elevato. «Essendo però anche esso legato strettamente al costo dell’energia – precisa – è possibile che fino alla prossima primavera aumenti ulteriormente. Rialzi hanno registrato anche le altre voci di costo, come l’assicurazione contro l’incendio delle granaglie, i contributi di bonifica, la consulenza tecnica e così via, sicché pesano anche essi sul bilancio economico della coltura».
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Ma quanto mi costa
Dall’analisi dei costi emerge che il costo medio di produzione, già aumentato di circa il 70% nell’annata 2021-2022, aumenterà nella prossima, come minimo, di circa un altro 20%, in pratica raddoppiando nell’arco di due annate agrarie, portandosi a circa 1.200 €/ha (Iva esclusa).
«A questo punto è lecito chiedersi qual è il limite oltre il quale non conviene più seminare e coltivare grano duro. Un limite che deve considerare costi di produzione, rese e prezzi di vendita del grano duro. Con il prezzo attuale (fine settembre) di circa 48-49 €/q e la resa di 25 q/ha il produttore pareggia i costi e incassa solo il sostegno Ue, pari a circa 250 €/ha. Ma quest’anno in Capitanata le rese medie sono state di 20-25 q/ha, spesso persino inferiori. È chiaro che con il prezzo attuale di circa 48-49 €/q e una resa di 20 q/ha oppure con un prezzo di 45 q/ha e una resa anche di 25 q/ha non c’è più alcuna convenienza a coltivare grano duro – avverte Martino –. Peraltro il sempre più modesto sostegno Ue, con gli aiuti disaccoppiati che scenderanno mediamente da 300 a 250 €/ha per le aziende cerealicole, è legato al rispetto dei cosiddetti eco-schemi, uno dei quali prevede la rotazione con leguminose e foraggere, oltre alle colture da rinnovo, con il divieto di utilizzare diserbanti e prodotti fitosanitari. Ma la coltivazione delle leguminose sta diventando sempre più difficile, perché sono soggette ad attacchi diffusi di orobanche; inoltre il cece è soggetto agli attacchi della “rabbia”, il favino da granella e il pisello proteico sono falcidiati dal tonchio e dagli afidi e così via. Senza dimenticare le erbe infestanti, per le quali è indispensabile il diserbo chimico. La conseguenza del mancato uso dei diserbanti e dei fitofarmaci sarà una forte riduzione delle produzioni di leguminose e della loro azione fertilizzante – conclude l’agronomo –, con le ovvie ripercussioni negative anche sulle rese del grano duro».
ANCHE CHI COLTIVA IN FILIERA È SUL FILO DEL RASOIO
«Con i costi di produzione in continua crescita e in prezzi del grano duro fino scesi di 10 €/t in due mesi, dai 57-58 €/t di inizio agosto ai 48 €/t attuali, gli agricoltori non sono molto favorevoli a seminare grano duro. Sono provati dalle difficoltà di mercato e non si sentono in una condizione psicologica tranquilla. Poi sicuramente faranno le semine, poiché non hanno alternative, nella speranza che l’anno prossimo vada meglio. Ma adesso sono perplessi».
Donato Luciani, presidente della Cooperativa agricola tra coltivatori di Apricena (Fg), che ogni anno destina a grano duro 15.000 ha, dei quali circa 6.000 all’interno dell’accordo di filiera “Granoro Dedicato” con il Pastificio Attilio Mastromauro - Pasta Granoro di Corato (Ba), non nasconde le difficoltà nelle quali si dibattono i soci produttori di grano, sia in filiera sia fuori filiera, a poche settimane dall’esordio delle prossime semine.
«Nella scorsa annata chi ha prodotto grano duro in filiera è stato pagato sulla base delle quotazioni della Borsa merci di Foggia, con applicazione delle premialità previste dal 14% di proteine in su. Ma i prezzi di mercato presto sono caduti ed è diventato più difficile stare nei costi con le basse rese ottenute a causa della siccità primaverile ed estiva. Adesso, per la prossima annata durogranicola, non si può non partire dal considerare i costi. E, fra questi, quello del grano duro da seme: aumenterà di sicuro rispetto al 2021, perché quest’anno i sementifici lo hanno pagato di più alle aziende moltiplicatrici. Poi il costo dei concimi, in primo luogo del fosfato biammonico (18-46), il cui prezzo è schizzato a 120-130 €/q e così via. Gli aumenti sono consistenti, penso che gli agricoltori semineranno, ma un po’ meno: privilegeranno i terreni più produttivi e trascureranno i ringrani, anche se non ne sono proprio certo, visto che il pomodoro da industria non va bene e mancano valide alternative».
Chi produce in filiera, sottolinea Luciani, è tenuto a rispettare un disciplinare di produzione, un obbligo che può far lievitare i costi, soprattutto delle azotature, cioè le concimazioni con fertilizzanti azotati. «Gli agricoltori hanno imparato, però, sia a utilizzare concimi azotati a rilascio graduale sia a frazionare ogni concimazione in almeno tre o quattro interventi. Così somministrano la stessa quantità totale di concime o di poco superiore, ma dando ogni volta solo quanto la pianta riesce realmente ad assorbire ed evitando perdite per lisciviazione».