«Mettiamo ordine nel riso»

    La presidente di Ente Risi Natalia Bobba si rivolge alle sementiere

    riso
    Natalia Bobba
    La presidente dell'Ente Risi, Natalia Bobba, si rivolge alle sementiere. Troppe varietà e tempi eccessivamente rapidi per la selezione creano confusione. Urgente un tavolo di coordinamento tra gli attori della filiera

    È abitudine far coincidere la nascita della moderna risicoltura italiana con il 1925, anno del primo incrocio varietale di riso nel nostro Paese (ne parliamo diffusamente, sempre su questo numero). Sei anni più tardi, il settore risicolo, pur avendo davanti l’inesplorata prateria della selezione varietale, versava in crisi profonda. Del resto, la Grande depressione del Ventinove non era così lontana.

    «Fu in questa situazione difficile che il Governo decise di creare un ente che potesse coordinare e tutelare sia i produttori, sia i trasformatori. Nacque così quello che ancor oggi è l’Ente Nazionale Risi», ci spiega Natalia Bobba, da poco meno di due anni alla guida di un istituto che, per molti versi, è un unicum. Non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo. «Non esiste un ente come il nostro in Europa, tanto è vero che quando si organizza qualche evento o manifestazione relativa al riso, in tutto il mondo, Ente Risi è sempre tra gli invitati», sottolinea la presidente con comprensibile orgoglio.

    Una sede amministrativa e di rappresentanza a Milano, un centro ricerche a Castel d’Agogna, un team che seleziona nuove varietà e conserva quelle storiche, filiali in tutte le zone risicole d’Italia, Sardegna compresa, e compiti di tutela, indirizzo e controllo. Ente Risi, nell’era digitale, potrebbe apparire superato, ma non secondo la sua presidente.

    «In realtà, ci vogliono un po’ tutti. I ricercatori stranieri che vengono in visita ai nostri centri, gli organi di controllo che si avvalgono dei nostri laboratori, in grado di estrarre il Dna dai campioni di riso, e i produttori che sanno di poter avere, dai nostri tecnici, assistenza gratuita per tutto il ciclo colturale, dalla semina alla raccolta».

    Voi ragionate in termini di filiera, ma nel riso ognuno va per la sua strada. Col risultato che le quotazioni di mercato vanno su e giù come di più non si potrebbe.

    «Purtroppo è vero. La difficoltà nel fare una pianificazione di filiera è uno dei principali problemi del settore. Favorire il dialogo tra produttori e trasformatori è uno dei nostri compiti ma, mi creda, è molto difficile. Ci abbiamo provato anche durante l’ultima crisi (estate 2025, ndr) ma da parte dell’industria non ci sono state concessioni e gli agricoltori, in assenza di proposte particolarmente interessanti, hanno preferito tenersi le mani libere. Purtroppo finiscono per seminare le varietà più produttive e meglio pagate nell’ultima campagna, ma in questo modo si crea un eccesso di offerta che fa crollare i prezzi del mercato successivo. I contratti di filiera sono pochi e limitati a determinate nicchie, il resto è esposto alle fluttuazioni del mercato. E non tanto di un mercato nazionale, bensì globale, che è molto più volatile e dominato dai forti produttori asiatici. perché, a livello globale, la risicoltura italiana vale lo 0,4% del totale».

    Parliamo allora di mercati. Da sempre i risicoltori sono contrari all’importazione a dazi ridotti o addirittura azzerati.

    «È esatto, e per capirne le ragioni basta guardare alla vicende di Cambogia e Myanmar».

    Vicenda complessa e ben nota nel settore. I due paesi, sfruttando le aperture della Ue, hanno alzato le loro importazioni fino a livelli record, spingendo la Commissione a introdurre, sei anni fa, un sistema di dazi per tutelare la produzione comunitaria. Sistema però bocciato dalla Corte di Giustizia europea su ricorso della Cambogia Rice Federation.

    «Per situazioni di questo tipo occorre una clausola di salvaguardia automatica, che scatti al superamento di determinati quantitativi. Un provvedimento che diventa urgente in vista di una possibile approvazione degli accordi Mercosur, attraverso i quali entrerebbero in Europa diecimila tonnellate di riso all’anno, con un limite a 60mila».

     

    La posizione sostenuta da Natalia Bobba è quella dell’Italia e di altri Paesi dell’area mediterranea, mentre il Nord Europa è più aperto alle importazioni asiatiche.

    «La nostra posizione è di netta contrarietà al Mercosur, in quanto il riso in ingresso è prodotto utilizzando mezzi tecnici vietati in Europa. Si tratta quindi di una palese violazione del principio di reciprocità, che crea condizioni di disparità a svantaggio per i risicoltori europei e in particolare per i risi italiani, la cui qualità è ben nota».

    I risi da mercato interno sono in effetti una caratteristica tutta italiana, ma da qualche anno nel settore c’è confusione. I tradizionali Carnaroli, Arborio, Vialone nano, Baldo, ecc., sono stati sostituiti da nuove varietà. Tante e con caratteristiche non sempre ben chiare.

    «La proliferazione di varietà è effettivamente un problema. L’ho detto e ripetuto anche in interventi pubblici, invitando le ditte sementiere a non avere fretta nel porre sul mercato nuovi prodotti. Si assiste a una corsa, a volte smodata, per registrare risi che, in qualche caso, dopo pochi anni dimostrano di non avere caratteristiche adatte alla coltivazione e sono ritirati dal mercato».

    Perché accade?

    «La tecnica moderna ha fortemente ridotto i tempi della selezione. Un tempo per creare e registrare una varietà occorrevano dodici anni, tra incroci, selezione, prove di coltivazione eccetera. Per dimezzare i tempi, le ditte facevano un secondo raccolto nell’emisfero australe. Poi è arrivato il fitotrone (un ambiente controllato che rende possibile la coltivazione in ogni stagione, ndr) e oggi in quattro, massimo cinque anni si arriva a registrare una nuova varietà. Con il rischio, però, di non averne considerati tutti gli aspetti e di trovarsi con brutte sorprese una volta iniziata la coltivazione estensiva».

    Una soluzione per ridurre i tempi e contemporaneamente evitare brutte sorprese potrebbero essere le Tea che però sono fortemente osteggiate da più parti.

    «Già, purtroppo. Noi di Ente Risi siamo favorevoli alla sperimentazione sulle Tea e l’abbiamo sostenuta anche economicamente. Conosco bene Vittoria Brambilla e ne apprezzo il rigore e la professionalità. Le Tea non sono Ogm e chiunque perda cinque minuti per conoscerle se ne rende conto. Purtroppo chi le attacca si accontenta di vomitare insulti rifiutando ogni confronto».

    Nemmeno a livello europeo vi stendono tappeti rossi, del resto.

    «Purtroppo no. Ma l’Europa deve dirci cosa vuol fare: è fortemente restia sulle Tea e contemporaneamente riduce costantemente i principi attivi utilizzabili per la difesa. Il Green Deal pone paletti senza fornire alcuno strumento per poterli rispettare».

    Al di là dei rischi agronomici, non trova che le varietà sul mercato siano troppe?

    «Sì, e ogni anno se ne registrano una cinquantina di nuove. Sarebbero necessarie una scrematura e una razionalizzazione, se non altro perché alcune di queste varietà, dopo un primo anno con superfici record, sono scartate dall’industria per vari motivi. Al momento ne risultano iscritte 327, di cui circa la metà sono coltivate stabilmente. Nel Basmati ce ne sono soltanto dodici, eppure controllano il mercato mondiale».

    «Mettiamo ordine nel riso» - Ultima modifica: 2025-10-03T14:36:42+02:00 da Roberta Ponci

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