Più di duecento agricoltori hanno partecipato, a metà dicembre a Faenza (Ra), al convegno sulla batteriosi del kiwi. E tutto sommato sono andati a casa con una certezza in più: con questa malattia, chiamata comunemente cancro batterico (Psa), si può convivere.
«È finito il tempo degli abbattimenti – spiega Maria Grazia Tommasini del Crpv di Cesena, che ha coordinato un gruppo di lavoro – quando non vi era altra soluzione che eliminare, bruciandole, le piante infette. Oggi, lavorando in prevenzione, si possono limitare i danni. Servono però particolari accorgimenti. La malattia, rispetto a cinque anni fa, è gestibile. Sono stati fatti molti studi e prove in campo. Oggi abbiamo le idee più chiare».
Premesso che la malattia, causata dal batterio Pseudomonas syringae, non è eradicabile, ai frutticoltori sono stati dati diversi consigli su come limitarne la diffusione.
Occhio alla potatura
Prima di tutto la potatura. È assolutamente sconsigliato effettuarla nella fase del ‘pianto’, a fine inverno.
In questa fase fenologica, spiega l’esperta Crpv, «il batterio è molto attivo. Con la potatura si vanno a creare delle ferite che rappresentano la via preferenziale di ingresso nei vasi della pianta. Quando il batterio entra, a quel punto c’è ben poco da fare. Se il batterio rimane fuori dalla pianta, ci si può convivere. Gli studi hanno dimostrato che una ferita da taglio rappresenta un punto di ingresso per circa un mese. Il patogeno sopravvive per settimane nei residui di potatura invernale, per cui conviene potare immediatamente dopo la raccolta dei frutti e procedere a una disinfezione generale dell’impianto, includendo anche il materiale di potatura a terra».
Ancor meglio sarebbe l’asportazione immediata delle ramaglie. Se in un impianto si ha il sospetto che alcune piante siano malate, occorre potare prima quelle sane e poi quelle sospette. I residui delle piante a rischio devono essere bruciati. Le forbici da potare vanno disinfettate spesso così da non diffondere l’eventuale presenza del batterio. In linea di massima è bene effettuare potature razionali che favoriscano un buon arieggiamento all’interno dell’impianto.
Quando possibile si dovrebbe potare già nel post raccolta dato che ci sono già le microferite causate dallo stacco dei frutti. Potando in questo periodo, e con trattamenti a base di rame durante o subito dopo, si ottiene una “copertura” e disinfezione più efficace abbassando (non eliminando) le probabilità di penetrazione del batterio.
Concimazione e irrigazione
Le ricerche effettuate hanno messo in evidenza che una gestione “allegra” della concimazione va a favorire lo sviluppo del batterio. Al centro dell’attenzione vi è la gestione dell’azoto. Squilibri azotati, nel senso di eccesso, vanno ad indebolire le difese della pianta favorendo il cancro.
Lo sviluppo del Psa è legato anche a particolari condizioni climatiche e ambientali: risulta indispensabile creare negli impianti di actinidia condizioni sfavorevoli al batterio. Eccessiva umidità e ristagni idrici sono anomalie favorevoli alla Psa e vanno evitate. Inoltre sono da evitare irrigazione sopra chioma.
Dal rame le vere garanzie
Dal punto di vista della chimica, è emerso al convegno, l’unico vero prodotto a dare garanzie è il rame. In tanti formulati, a volte ridefiniti “miracolosi” dai commerciali, il prodotto base è rame.
L’effetto del rame sui batteri è ben nota. Trattamenti preventivi, specie pre e post potatura, ma anche dopo una grandinata, aiutano a limitare la diffusione del batterio.
Batteri amici?
Ma esistono degli antagonisti naturali alla Psa? Durante il convegno di Faenza se ne è parlato a fondo. Tommasini ha spiegato che «è stata effettuata una ricerca per trovare degli antagonisti al batterio Pseudomonas syringae. I ricercatori hanno proceduto in questo modo. In un impianto di kiwi giallo, colpito dalla malattia, hanno individuato alcune piante che non presentavano sintomi evidenti. Da queste hanno isolato dei ceppi di batteri endofiti. Isolati in laboratorio, alcuni di questi ceppi hanno dimostrato una marcata attività anti Psa».
È una strada da percorrere che, se darà risultati accettabili, permetterà di abbassare le dosi di rame da utilizzare in prevenzione.
Pratiche colturali troppo spinte
Uno dei maggiori esperti della coltura del kiwi è Valter Fiumana, tecnico presso la cooperativa romagnola Agrintesa. La sua esperienza deriva anche da anni di visite in campo a stretto contatto con centinaia di produttori.
«Il tutto si gioca durante l’estate e l’inverno - ha detto al convegno - in quanto sono questi i periodi caldi per la prevenzione. I sintomi si vedono in primavera, ma a quel punto è tardi. Suggerisco agli agricoltori di intervenire con rame e con la molecola “acibenzolar-S-methyl” nel post raccolta e/o al risveglio vegetativo».
L’acibenzolar-S-methyl è una molecola che funge da stimolante per la difesa immunitaria delle piante. Non interviene direttamente sui batteri, ma migliora la pianta stessa. In un certo senso, si può dire che ne rafforza le difese immunitarie.
«La batteriosi negli anni scorsi è esplosa anche a causa di pratiche colturali troppo spinte. Concimazioni abbondanti, irrigazioni, poca attenzione nelle potature hanno spianato la strada al batterio. Facendo un passo indietro, rispettando di più il ciclo della pianta, la malattia può essere controllata».
Fiumana sottolinea che l’agente patogeno si moltiplica con condizioni di forte umidità. La mancanza di pioggia del secondo semestre 2015 dovrebbe aver limitato la sua proliferazione. Ora non resta che da verificare come saranno i primi mesi del 2016. In caso di siccità i batteri restano in latenza, non è che muoiano: ciò significa che la prevenzione va comunque adottata.
Sono ripresi gli impianti
Rispetto alle varietà, il tecnico Agrintesa ha ricordato che oggi esistono tipologie di kiwi giallo meno sensibili rispetto a quelle di qualche anno fa, che a causa della loro “debolezza” verso il batterio sono state espiantate quasi completamente.
Da un anno a questa parte, ha aggiunto, «sono ripresi gli impianti. La grande paura è passata. In Emilia Romagna e nel Lazio gli agricoltori hanno ricominciato a piantare actinidia. Negli ultimi anni, anche a causa della mancanza di prodotto, i prezzi sono stati medio alti. Quest’anno pare che si sia tornati a quantità più abbondanti».
In Piemonte la ripresa dei nuovi impianti è un po’ più lenta e gli agricoltori stanno preferendo orientarsi verso le pomacee.
Fiumana ha concluso informando: «So di problemi ancora presenti in Veneto, specie nella zona di Verona. Lì le cause sono da ricercare nella tecnica irrigua che prevede lo scorrimento e che ha causato diversi casi di asfissia radicale».
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