Momento positivo per l’olio di girasole. Nonostante la siccità, Assitol, l’Associazione italiana dell’industria olearia aderente a Confindustria, confida in un trimestre di fine anno all’insegna dell’ottimismo.
«Il caldo e la carenza di precipitazioni hanno rappresentato un problema in diverse zone d’Italia – osserva Enrico Zavaglia, presidente del Gruppo Oli di semi dell’associazione – con un sensibile taglio delle rese per ettaro, compensate in parte dall’aumento delle superfici investite. E’ quindi con una discreta serenità che affrontiamo la prossima campagna di triturazione dei semi».
Nel 2017, 110mila ettari sono stati destinati alla coltivazione di girasole in Italia, per una produzione pari a 220mila tonnellate, di cui oltre il 50% di alto oleico, variante del girasole tradizionale.
«La fortuna dell’olio di girasole e, più di recente, dell’alto oleico – spiega il presidente del gruppo Oli di semi – si deve alla versatilità di impiego e alla leggerezza di questo olio, due qualità che i consumatori cercano sempre di più. Anche l’industria alimentare e, più recentemente, il settore dolciario prediligono il girasole per la preparazione di sughi, sottoli, salse e prodotti da forno».
Il girasole, con 200 milioni di litri di prodotto imbottigliato e 250mila tonnellate di olio utilizzato dall’industria alimentare, è l’olio di semi più amato dagli italiani. Un apprezzamento che trova conferma tra i nutrizionisti: il girasole, ricco di grassi insaturi, soprattutto di acido oleico, linoleico e di vitamina E, è considerato un olio ideale per chi è attento alla prevenzione del colesterolo.
In particolare, l’alto oleico ha visto crescere l’interesse del mercato in virtù del suo alto contenuto di acido oleico, acido grasso monoinsaturo ricco di proprietà benefiche per la salute e più residente alle alte temperature. «Il consumatore oggi guarda con maggiore attenzione al benessere fisico e alla sostenibilità – osserva Zavaglia – l’industria deve quindi offrire prodotti in grado di rispondere a tali richieste».
Il girasole alto oleico non è un ogm costruito a tavolino, ma una varietà della pianta di girasole, derivata da incroci effettuati da agronomi. Già nel 1916, gli agronomi russi hanno dato vita a ibridi di piante che si erano rivelate più resistenti della altre alle malattie. La ricerca in tal senso riprende slancio negli anni ’60. Nel ‘76, uno studioso russo, Karm Soldatov, isola una variante del girasole con una quota di acido oleico che si attesta tra il 70 ed il 90% della sua composizione.
Negli anni ’80, l’alto oleico si afferma in tutto il mondo per le ottime rese e, nel ’99, il Codex Alimentarius, la raccolta di regole e buone pratiche coordinata da Fao e Wto, definisce lo standard delle caratteristiche ed i metodi di analisi dell’alto oleico, in parallelo con quello del girasole tradizionale. Nel 2002, anche la Società italiana delle Sostanze grasse presenta ufficialmente gli standard dell’olio di girasole, alto oleico e tradizionale, stilati dal Codex.
L’alto oleico ha quindi una lunga storia alle spalle. «Oggi la domanda per il girasole è in crescita – sottolinea Zavaglia – sia sul fronte alimentare sia su quello energetico. In un contesto “ogm-free” e con una produzione di oleaginose deficitaria rispetto al fabbisogno dell’agroindustria, l’alto oleico può rappresentare un contributo importante al rafforzamento del nostro comparto».