Primi in Europa per produzione, ma agli ultimi posti per i consumi. È questo il paradosso della risicoltura italiana che nel 2015 ha compiuto 600 anni. All’inizio erano pochi ettari, oggi sono 227 mila in tutta Italia, per un totale di 550 milioni di euro di Plv. Gli agricoltori italiani in sei secoli hanno compiuto il “miracolo” di coltivare il riso a latitudini considerate impossibili, ai piedi delle Alpi, con un record varietale e qualitativo invidiato in tutto il mondo. Lo confermano l’unica Dop europea, il riso di Baraggia Biellese e Vercellese; e le Igp Delta del Po e Vialone Nano Veronese. Ma per custodire e migliorare il “pianeta riso” italiano le 4500 aziende agricole combattono una battaglia impari. Innanzitutto assediate dalla concorrenza che preme alle frontiere e che vanifica gli sforzi: la campagna 2014-2015 si è chiusa con un ulteriore forte aumento delle importazioni nell’Ue dai Paesi meno avanzati, raggiungendo le 262.678 tonnellate dalla Cambogia e 76.712 da Myanmar (+ 24% in un anno, +82% negli ultimi tre). In Europa si consuma soprattutto riso tipo Indica (cristallino, adatto per contorni e insalate), il medesimo importato dall’Asia. Considerando gli scarsi consumi nel nostro Paese, l’eccedenza italiana deve confrontarsi con i Paesi meno avanzati, la cui produzione è facilitata dall’ingresso nell’area Ue a dazio zero.
Infestanti: minaccia storica
Poi c’è l’altra insidia, quasi sempiterna, dalla quale anche i risicoltori più esperti devono difendersi con tenacia: le infestanti.
Due i nemici principali: il riso crodo e i giavoni. In questi ultimi anni si è assistito a una virulenza di entrambi, malgrado il ricorso a pratiche agronomiche che prevedono la rotazione e le false semine. In particolare i giavoni si sono rivelati resistenti all’attacco degli erbicidi ed è per questo che i risicoltori si affidano a nuove soluzioni in grado di spegnere sul nascere lo sviluppo di questa infestante ormai storicizzata non solo in Italia.
La sostanza attiva Quinclorac, contenuta nel prodotto Facet commercializzato da BASF, si sta rivelando insostituibile in quelle zone (come il Ferrarese) dove la presenza del giavone è significativa e dannosa. La conferma arriva dagli stessi agricoltori.
Floriano Rossi di Mezzogoro (Fe), terre di Riso Igp Delta del Po, stava per arrendersi: «Quei giavoni bianchi erano diventati un’ossessione, non valeva più la pena di dannarsi l’anima, ripetere i trattamenti, perdere tempo e spendere denaro per poi ottenere nulla. Volevo abbandonare e dedicarmi soltanto alla soia. Sembrava proprio che il giavone l’avesse vinta sul riso». Adesso Rossi sta tirando le somme di un’annata che ha capovolto le previsioni negative: su quei sei ettari coltivati a Cammeo (gruppo Baldo) la resa è stata di 80 quintali/ha. «Ripeto, ottanta, incredibile. Ma se non avessi utilizzato il Facet 25 FL, adesso sarei qui a raccontare la storia di un fallimento».
Provincia di Ferrara, due passi da Jolanda di Savoia dove un cartello turistico accoglie i visitatori con il simbolo dell’airone e lo slogan «Acqua tra cielo e terra». Anche qui, come in tutto il pianeta riso la lotta all’Echinochloa crusgalli (il giavone) si è trasformata in un conflitto con risultati altalenanti, considerando che ormai circa il 30% della superficie risicola è interessato al fenomeno della resistenza agli erbicidi. Ne sa qualcosa Massimo Boattin, responsabile dell’Ente Nazionali Risi di Codigoro, punto di riferimento di una realtà (Delta del Po) con 7.204 ettari (provincia di Ferrara), mille (Rovigo), in totale 250 aziende risicole. Ogni giorno in trincea con gli agricoltori nel tentativo di risolvere il problema delle infestanti, in equilibrio tra le esigenze di interventi risolutivi e la necessità del rispetto ambientale. «Qui – dice – produciamo risi lunghi A da interno e il riconoscimento dell’Igp è sicuramente un valore aggiunto. I giavoni di diversi tipi in passato li abbiamo sempre controllati abbastanza bene, poi hanno sviluppato resistenze ai prodotti e sono cominciati i problemi, con impiego di formulati i cui dosaggi e le modalità di trattamento a poco a poco si sono rivelati insufficienti. Sul mercato è arrivato Facet, ma non subito nel Ferrarese. Viste le particolari condizioni del territorio, si è optato per un’introduzione graduale e precauzionale del prodotto, attendendo il secondo anno di commercializzazione e valutando se le condizioni territoriali lo consentissero».
Autorizzazione eccezionale
Il 2015 è l’anno zero per la provincia di Ferrara: l’utilizzo di Facet in risaia nel Ferrarese dal 9 aprile al 6 agosto (periodo di concessione del Ministero su tutto il territorio nazionale) può essere considerato un intervento pilota anche per altre zone italiane con le stesse caratteristiche pedologiche. A richiedere con insistenza l’utilizzo di Facet sono stati innanzitutto gli agricoltori che negli ultimi anni erano costretti ad assistere impotenti alla vittoria del giavone sulle loro risaie. Boattin, che ogni giorno li affianca con passione e professionalità nelle pratiche agronomiche, è andato oltre e ha voluto percorrere una linea garantista al massimo: «Ho chiesto al Consorzio di Bonifica di Ferrara la mappa delle acque per capire le possibili interazioni tra residui dell’erbicida-terreno-coltivazioni». La fotografia del bacino idrografico del Ferrarese disegna un quadro preciso, formato da «acque alte» derivate dal Po che arrivano in risaia; e dalla rete di scolo (o «acque basse»)che derivano dalla risaia. Boattin: «Eventuali residui riscontrabili, come prevedibile, nella fase subito successiva al trattamento, vengono convogliati in queste ultime».
Sperimentazione positiva
Accertate tutte le condizioni e superate le riserve relative alle voci di un divieto provinciale (peraltro mai esistito), anche in provincia di Ferrara nel 2015 è caduta la barriera ed è stato introdotto il Quinclorac per la prima volta, tenendo conto di tutte le limitazioni (zone di ripopolamento negate, ma dove non si coltiva riso), terreni sabbiosi e molto drenanti. L’impiego dell’erbicida è stato accolto con favore dalla maggior parte dei risicoltori, che hanno agito con senso di responsabilità in sintonia con i tecnici di Ente Risi e della BASF. Il problema dei giavoni nella risaia estense riguarda circa mille ettari su 7.200: 470 (il 5%) è stato trattato in via sperimentale con il Facet in piccole, medie e grandi aziende.
Luigi Dell’Armellina, titolare della Società Agricola Corte Foscari (Jolanda di Savoia), 120 ettari di cui 70 a riso, gli altri a soia, grano duro e erba medica: «Ho impiegato il Facet su 15 ettari e visto immediatamente gli effetti, nel giro di 24-48 ore al massimo il giavone era distrutto, un risultato strabiliante».
«Gli altri diserbanti – riprende Floriano Rossi – nel caso specifico sono acqua fresca. Si spende tre volte per non ottenere granché. Invece rispettando le indicazioni fornite abbiamo avuto buoni risultati».
In realtà qualche modifica rispetto alle indicazioni generali fornite è stata apportata su misura, per adeguarsi alle condizioni del terreno, come racconta Dell’Armellina: «Non in risaie allagate, perché qui i trattori sprofondano o disegnano carreggiate dove il riso non crescerà più. Allora siamo entrati su terreni asciutti con trattori gommati e subito dopo (nel giro di 24 ore) abbiamo allagato tutto, per evitare lo stress idrico della pianta di giavone. Così abbiamo favorito l’assorbimento radicale e fogliare, ottenendo l’effetto desiderato. D’altronde avevamo già provato sull’argine della risaia, in asciutta, e lì abbiamo visto i risultati positivi».
Ok anche le rese
Alla fine della campagna Dell’Armellina tira le somme: 67 quintali/ettaro di Vialone Nano.
Villiam Lancillotti, risicoltore storico di Codigoro (riso, mais, pomodoro): «Ho agito su una ventina di ettari. Prima dovevo ricorrere ad almeno due trattamenti, quest’anno con il Facet mi è bastato un solo intervento. Questa prova ha funzionato».
L’erbicida Facet ha dato una risposta alle richieste degli agricoltori e può essere annoverato tra i prodotti con una comprovata efficacia nei confronti dei giavoni. Un giavonicida specifico soprattutto per il controllo di quelli bianchi nella fase di post-emergenza della coltura.
Anche il senso dell’autorizzazione temporanea, sollecitata dalle associazioni di categoria Agrinsieme e Coldiretti e poi concessa dal Ministero, è stato compreso dai coltivatori che hanno fatto un uso attento e limitato del prodotto, nel rispetto dell’ambiente.