In queste settimane, il buon andamento di mercato delle patate novelle alimenta un cauto ottimismo tra i pataticoltori che sono reduci da una pessima campagna 2014/15 del prodotto comune. Infatti, dopo due campagne che erano state positive, le patate comuni hanno registrato prezzi scarsamente remunerativi essenzialmente a causa di un eccesso di offerta a livello nazionale ed europeo.
L’esordio del prodotto novello ha determinato un’inversione di tendenza e in queste settimane il prodotto fresco continua a spuntare quotazioni simili a quelle del 2013 e nettamente superiori a quelle dello scorso anno.
Sul fronte degli investimenti, le superfici seminate sono leggermente diminuite rispetto al 2014 e quindi vi sono tutti i presupposti per affrontare con entusiasmo la campagna 2015/16.
Ma in questa fase è la prudenza a farla da padrona perché chi conosce la filiera sa bene che l’andamento di mercato non dipende solo dalle proprie scelte e dal proprio operato, ma anche, e soprattutto, dalle dinamiche produttive e commerciali dei principali produttori europei.
I flussi
La disponibilità di patate in Italia ammonta a 1,9 milioni di t di cui circa 1,3 prodotte in Italia e 600mila t importate. Se si pone pari a 100 il quantitativo di tuberi disponibili si vede che i consumi ammontano al 77%, le esportazioni al 5%, il prodotto destinato all’industria al 9% e gli scarti e l’alimentazione animale rappresentano un altro 9%.
La dipendenza dall’estero
La filiera pataticola italiana non è autosufficiente ma dipende dall’importazione di prodotto comune del Nord Europa (fornito per l’80% circa dalla Francia) e di patate novelle dei Paesi del Sud del Mediterraneo (soprattutto Egitto). In figura 1 si vede come le importazioni pesino per circa il 30% sulle disponibilità complessive dell’Italia. L’approvvigionamento di patate dall’estero comporta un esborso di circa 150 milioni di €, cui se ne devono sommare altri 30 per l’importazione di tubero seme proveniente soprattutto dai Paesi Bassi.
L’afflusso in Italia del prodotto estero dipende essenzialmente dal fatto che i principali produttori europei sono in grado di operare a costi inferiori a quelli dei pataticoltori italiani.
Leggi l'articolo completo su Terra e Vita 28/2015 L’Edicola di Terra e Vita