Un potenziamento del packaging attraverso la modifica del disciplinare, la scelta di raccontare il prodotto attraverso confezioni impattanti sul consumatore, un lavoro costante di Consorzi e interprofessione per garantire la qualità del prodotto. Sono alcuni dei trend che permetteranno al radicchio di continuare nel proprio momento d’oro sul mercato, così come sono emersi in una tavola rotonda tenutasi poche settimane fa a Zero Branco (Tv). L’incontro, organizzato da Opo Veneto e da Terra e Vita, aveva come titolo “Il radicchio si interroga sul suo futuro - Le dinamiche della filiera: dal campo, al mercato, al consumatore”.
Un evento fra l’altro che ha coinvolto anche la fiera Macfrut di Rimini. Il radicchio infatti è il prodotto al quale nel 2018 il Macfrut di Rimini dedicherà particolare attenzione, così come è successo nel 2017 con la fragola. E alla tavola rotonda ha partecipato anche lo stesso patron della fiera, Renzo Piraccini.
Permangono tuttavia ancora alcuni problemi da risolvere intorno a questo ortaggio, di cui gli addetti ai lavori riconoscono l’alta qualità, ma anche la complessità di un prodotto che prima di giungere sui banchi viene preso in mano almeno da otto operatori diversi, dal campo al post raccolta alla commercializzazione. Oltre al grande fabbisogno di manodopera, altri problemi messi a fuoco dalla tavola rotonda sono un vuoto negli sbocchi commerciali identificato nel centro sud Italia, i cui consumatori ancora non conoscono molto il prodotto, e la difficoltà di andare su mercati esteri come quello cinese dove le barriere fitosanitarie bloccano l’export.
Gli otto passaggi
A che punto è il radicchio oggi? Alla domanda ha risposto Federico Nadaletto, tecnico di Opo Veneto. «Sul piano tecnico – ha spiegato Nadaletto - bisogna fare anzitutto riferimento all’anno 1996, quando il radicchio ottenne il riconoscimento Igp. Da allora il disciplinare venne ripensato focalizzandosi su parametri fondamentali come, ad esempio, le fertilizzazioni, l’uso degli agro farmaci, il controllo sulle acque e via dicendo».
Da un punto di vista più strettamente produttivo, invece, l’evoluzione si è avuta nel ciclo di produzione del seme. «Per i radicchi in Veneto – ha riferito Nadaletto – il seme è autoprodotto al 100% per il Treviso tardivo, il Chioggia, il Verona; per l’80% per il variegato di Castelfranco. Negli anni, le aziende che producono il seme (alcune solo per se stesse, alcune anche per terzi) hanno operato una forte evoluzione usando ecotipi che si adattano al cambiamento climatico e selezionando varietà che hanno prodotto il colore rosso e aumentato il grado zuccherino. Questo lavoro di selezione di ecotipi è stato fondamentale per soddisfare la richiesta del mercato. Oggi con il radicchio rosso allungato partiamo a ottobre e arriviamo fino a marzo inoltrato con un prodotto di qualità».
Una conseguenza di tale evoluzione è stata un ampliamento delle superfici e un aumento della meccanizzazione. «Nel 1996 si trapiantava all’incirca il 10% e oggi si trapianta l’80%. Questo comporta un risparmio di tempo nell’operazione di diradamento manuale, con conseguente calo del monte ore dedicato al radicchio di Treviso che a ettaro consuma circa 1.100 ore».
La complessità di un ortaggio come il radicchio di Treviso consiste infatti anche nel fatto che deve venir “preso in mano” circa otto volte, anche con la meccanizzazione a disposizione dell’agricoltore. Quali sono questi passaggi? Risponde Nadaletto: «Il primo passaggio è il trapianto. Si prosegue poi con la cerchiatura meccanica; “cerchiatura” sta per zappatura. Una novità in questo campo è costituita dall’accostamento di cerchiatrici manuali (trainate a trattore) e di cerchiatrici automatiche (le prime) con fotocellule, una recente innovazione che aiuta a portare sul mercato un radicchio sempre più pulito e con minore utilizzo di diserbanti. Il terzo step è rappresentato dalla raccolta: il radicchio viene cioè raccolto da terra, pulito una prima volta e posto in casse, in bins oppure in mazzi (quarto step). Successivamente il radicchio viene messo in acqua per la forzatura (quinto step), quindi tolto dall’acqua e di nuovo pulito e toelettato (sesto passaggio), sia dalle foglie vecchie che nella radice. Quindi l’ortaggio viene ancora lavato (settimo step) e poi confezionato (ottavo e ultimo passaggio). A questo punto si conclude la parte commerciale. Durante la forzatura vengono prelevate le piante migliori selezionate per il seme: vengono poste prima in vasi, poi nel terreno, quindi nel terreno vengono portate al seme».
Il consorzio Igp
Anche per via di questi diversi passaggi, l’esistenza di un disciplinare di produzione rappresenta un’opportunità in termini non solo di maggiore redditività degli agricoltori, ma anche di risposta a certi requisiti “imposti” dalla legge. Ha precisato sempre durante la tavola rotonda Denis Susanna, direttore del Consorzio tutela del Radicchio rosso di Treviso Igp e del Radicchio variegato di Castelfranco Igp: «la normativa che guida e accompagna la vita dei consorzi di tutela prevede sì attività di promozione e valorizzazione, ma anche attività di tutela e vigilanza sul corretto uso della denominazione. Da questo punto di vista il Consorzio, pur essendo una realtà piccola che tutela solo alcune centinaia di tonnellate di prodotto certificato all’anno, mette in campo una serie di azioni che nel tempo hanno saputo valorizzare e portare in alto il nome del radicchio di Treviso e del radicchio di Castelfranco».
Oggi il Consorzio è in procinto di approvare la modifica del disciplinare del Radicchio variegato di Castelfranco. Per il Radicchio di Treviso, invece, è prevista un’assemblea dei soci che modificherà anche questo disciplinare.
«Le modifiche – puntualizza il presidente – saranno di natura sia tecnica che commerciale. Andremo cioè a rivedere le rese/ettaro per adeguare il disciplinare all’evoluzione della tecnica orticola e a ciò che più di recente la ricerca e la sperimentazione sono riusciti ad ottenere. Ma aumenteremo anche l’area di produzione per entrambe le Ig e affronteremo il tema del packaging cercando di adeguarlo al mercato».
Sul tema specifico del cambiamento del packaging verranno eliminate diverse limitazioni. Susanna ha spiegato meglio: «Anzitutto sdoganeremo le dimensioni (pensiamo solo al fatto che nel disciplinare abbiamo addirittura le misure delle cassette con cui dobbiamo andare sul mercato). Quello che cercheremo di comunicare attraverso le confezioni è il modo in cui si può consumare il prodotto (cotto, crudo, ai ferri). Comunicheremo che l’Igp è differente rispetto a un prodotto non certificato e racconteremo in pillole la storia e il processo straordinario di produzione, dal seme alla toelettatura e confezionamento. Ma il packaging cambierà anche nei confronti dell’industria agroalimentare, per cui inseriremo la possibilità di vendere un prodotto certificato anche in bins per grandi quantità destinate alla trasformazione».
Ha concluso Susanna: «Stiamo portando avanti anche altre attività che rafforzano quello che è stato detto. Sulla protezione internazionale del marchio, ad esempio, abbiamo investito risorse per registrare il nome del radicchio di Treviso come marchio all’Ue. E oggi stiamo chiudendo la registrazione in via diretta del marchio Treviso nei principali paesi del mondo, a cominciare dalla Svizzera, per finire, spero, in Cina. Con l’Australia stiamo preparando un dossier sulle barriere fitosanitarie, poiché un parassita che vive a carico del radicchio non ci permette l’esportazione in quel continente. Questo fascicolo potrebbe poi essere usato anche per altri prodotti».
L’interprofessione
Accanto ai consorzi e al loro lavoro di tutela del prodotto, è attiva anche l’interprofessione. «Solo ultimamente le istituzioni ministeriali hanno capito il valore strategico dell’interprofessione – ha detto Cesare Bellò, di O.I. Comitato Radicchio –, che oltre ai Consorzi e alle organizzazioni di promotori sono il vero strumento per arrivare sul mercato con produzioni ortofrutticole di qualità. L’interprofessione è l’altro strumento che la Ue ci ha concesso per comunicare e far conoscere (bene e bene nel tempo) i nostri prodotti».
Ha proseguito Bellò: «Noi abbiamo opportunità a 360 gradi. Se vogliamo andare per il mondo, basta gestire la logistica. Ma se vogliamo fare mercato interno (l’Europa), dobbiamo anche comunicare direttamente al consumatore, che è informato e che vuole continuare ad esserlo. L’interprofessione è il mezzo più strategico. Il tavolo si ritrova proprio qua. Come produttori partecipano rappresentanti dei produttori e rappresenanti del mondo della commercializzazione. Il tavolo sarà convocato entro gennaio, discuteremo sul fatto che in zona di tutela a Treviso è obbligatorio che il radicchio che esce da quella zona può essere solo Treviso».
Coop Italia
Sul fronte della comunicazione al consumatore è intervenuto Giuseppe Iasella, rappresentante di Coop Italia, dove il radicchio incide sì soltanto sull’1% sul totale del valore (parliamo solo di prima gamma), ma dove possiede un ruolo importante dal punto di vista del valore in termini di comunicazione. In Italia, ha calcolato Iasella, «si consumano 136 milioni di euro di radicchi: se è vero che il 70% del radicchio viene canalizzato attraverso la Gdo e il nostro dato di vendita è di 13 milioni di euro, ciò significa che la coop incide per il 16% del totale dei radicchi canalizzati in questo paese».
Ha proseguito Iasella: «Questa quota nel tempo è cresciuta anche grazie a un lavoro che abbiamo portato avanti per lungo tempo sui nostri assortimenti. Se consideriamo che oggi più del 20% della categoria dei radicchi è dato dal valore delle speciality, e non delle commodity, che incidono ancora parecchio (parlo del radicchio rosso per intenderci), il valore dei radicchi di pregio continua a crescere».
Ma c’è un’area dove questo prodotto è ancora misconosciuto e dove potrebbe crescere: il centro-sud Italia. «Il 60% dei radicchi nel nostro paese si consuma al nord, il 30% al sud: qui alcuni segmenti di questa categoria come il radicchio di Treviso hanno ancora tantissima possibilità di crescita. Parlo evidentemente delle speciality. Dal nostro punto di vista, si dovrà fare un lavoro di comunicazione anche attraverso la stampa. Gli ambiti di crescita ci sono, ma dobbiamo abbassare il valore delle commodities e far crescere l’area delle speciality».
In California
Alla tavola rotonda una testimonianza è arrivata anche da Federico Boscolo, produttore insieme al padre Giancarlo di radicchio in California attraverso le aziende Royal Rose e Cultiva. «Il progetto è nato alla fine degli anni ’80, quando c’erano quantità di prodotto che venivano esportate principalmente nei mercati della East coast. Mio padre prese come punto di riferimento la quarta gamma, che negli Usa in quegli anni era agli albori e comunque già presente (vedi insalata iceberg). Vide nel radicchio un’alternativa per dar colore ad una busta di insalata».
Le zone di produzione per il rifornimento di radicchio per il mercato domestico (Usa e Canada) di Royal Rose sono la California, l’Arizona (zona di Yuma), in piccola parte il Messico, inoltre la Florida, dove da un anno e mezzo è partito un progetto per la coltivazione non solo del radicchio, ma anche per la produzione in serra di baby leaf (un’azienda in via di completamento con circa 800 serre).
«Il radicchio negli Stati Uniti ha tanto da dire», ha testimoniato Boscolo. «Noi stessi abbiamo iniziato per la fornitura della quarta gamma e siamo arrivati al top quando McDonald decise di mettere una piccola fogliolina nel mix delle loro insalate, per circa 1.700 ettari di radicchio coltivati su base annua. Purtroppo, negli anni, con la crescita di altri prodotti che danno colore alle buste, anche i nostri quantitativi sono leggermente scesi. Ma c’è un’ulteriore opportunità di riprendere il trend che abbiamo registrato qualche anno fa. Anche perché il mercato Usa è molto sensibile al marketing: quando qualcosa prende il via, si sviluppa un volano tale da esplodere letteralmente. Mi piacerebbe fare un tavolo ad hoc e poter discutere di un progetto di più ampio respiro per lavorare ulteriormente su questa categoria che secondo me ha un grosso potenziale».
Al Macfrut
Intanto, in Italia, il radicchio avrà molta visibilità in occasione di Macfrut 2018, e non solo perché ne rappresenterà l’immagine con la regione Veneto come partner della fiera. Come ha spiegato Renzo Piraccini, presidente di Cesena Fiera, «negli ultimi tre anni la fiera ha più che raddoppiato il proprio fatturato, il numero dei visitatori, il numero degli espositori. Oggi è una fiera internazionale in cui il 25% degli espositori sono esteri con forte presenza di paesi sudamericani e nordafricani. È esplosa soprattutto con lo spostamento da Cesena a Rimini ed è destinata a diventare leader in Europa. Le strategie? Vanno bene, ma anzitutto bisogna lavorare, perché il mercato globale non aspetta nessuno».
La facilitazione dei trasporti creata dall’utilizzo dei camion refrigeranti, che ha visto anche un abbassamento dei costi, per il radicchio di Treviso è una vera opportunità. «Vi invito – ha affermato Piraccini – a cercare il mercato là dove c’è. Esso in realtà è dappertutto. Un solo esempio per capirci: Luanda, la capitale dell’Angola, conta 7 milioni di abitanti, di cui 5 milioni hanno molti problemi, ma dove oltre un milione e mezzo hanno un reddito pari se non superiore a quello europeo».
Ha proseguito il presidente di Cesena Fiera: «Noi siamo convinti anche delle potenzialità del mercato cinese. Ma se la Cina può importare qui da noi dialogando con Bruxelles e se noi non possiamo esportare là per via delle barriere fitosanitarie (una barrire doganale nascosta per impedire l’importazione), il problema è nostro e dobbiamo partire a risolvere quello. A oggi noi importiamo dalla Cina 130 milioni di euro di ortofrutta e vi esportiamo praticamente solo il kiwi. Loro sono un miliardo e 430 milioni di persone, di cui 300 milioni hanno un reddito superiore a quello europeo. La priorità è creare un gruppo di lavoro che metta insieme un protocollo fitosanitario standard per il radicchio e che cerchi di aprire mercati come quello cinese».
Ma c’è anche la questione della logistica. «Ad esempio in un mercato come quello degli Emirati Arabi – ha aggiunto Piraccini –il radicchio è poco conosciuto e non ci sono barriere fitosanitarie. Ma si esporta solo baby leaf, ovvero la prima gamma evoluta. Quindi c’è molto da fare in questa direzione. Il Macfrut può aiutare questo processo di internazionalizzazione. Sono convinto che il Nordest può diventare una piattaforma per il Sud Europa per “ri-esportare” i prodotti».
Anche Eataly
Anche Eataly, la catena fondata da Oscar Farinetti, guarda ad un prodotto come il radicchio. Sergio Fessia, responsabile ortofrutta di molti punti vendita di Eataly, ha inquadrato i problemi principali per i venditori al dettaglio: «Anzitutto, esiste una mancanza di preparazione alla stagionalità nel consumatore e alla base c’è un problema di comunicazione. È necessario comunicare meglio la stagionalità di questo prodotto come valore aggiunto. Il secondo problema è la visibilità. Da questo punto di vista, la comunicazione in televisione è tutta da rifare il prima possibile, perché le informazioni che il consumatore vorrebbe avere nel modo giusto sono molte. Un’idea sarebbe sfruttare il momento dopo le previsioni meteorologiche, che sono molto seguite. Qui si potrebbe comunicare che è arrivata la prima settimana del tardivo o del Castelfranco. Questo invoglierebbe il cliente a comprarlo».
«Ancora – ha concluso Fessia – va risolto il problema della mancanza di tracciabilità del prodotto quando viene tolto dalla cassetta per essere venduto sfuso a banco. In questo senso il confezionamento a pezzo è più vendibile, perché qui la tracciabilità è data pezzo per pezzo».
Il prodotto “emblema” di Macfrut 2018 sarà il radicchio
Durante l’edizione scorsa del Macfrut, la grande fiera dell’ortofrutta di Rimini, sono stati anticipati alcuni dei principali contenuti dell’edizione 2018 della rassegna, in programma dal 9 all’11 maggio prossimi.
Durante la presentazione i dirigenti della fiera hanno sottolineato che sono due i capisaldi della manifestazione: l’internazionalizzazione e l’innovazione.
Inoltre hanno annunciato: «L’emblema della 35esima edizione sarà il Radicchio, da prodotto povero a simbolo d’eccellenza del made in Italy. La parabola di questo prodotto orticolo bene esemplifica il termine rinascita: alcuni anni fa tanto si caratterizzava per la bassa qualità e la poca considerazione, quanto oggi viene sposato da consumatori e alta gastronomia».
Altro annuncio, fatto nella stessa occasione: «La Regione partner sarà il Veneto, da sempre una dei cardini del sistema ortofrutticolo italiano con oltre 9.800 ettari di ortive in piena aria e 20mila ettari di fruttiferi».
A testimoniare che l’internazionalizzazione rimane uno dei punti chiave della rassegna, il Paese partner sarà la Colombia. Grande novità sarà rappresentata dal Tropical Fruit Congress, un Forum, che potrebbe diventare un evento annuale, dedicato alla frutta tropicale.
(fonte: Cesena Fiera)
Il premio Radicchio d’Oro 2017
Lo stesso giorno in cui si è svolta la tavola rotonda di Zero Branco, il 13 novembre 2017, a pochi chilometri di distanza, ossia a Castelfranco Veneto (Tv) sì è tenuta la festa del Radicchio d’Oro, organizzata dai produttori locali e dal Consorzio ristoranti di radicchio. I partecipanti al primo evento hanno poi potuto, il pomeriggio e la sera, frequentare anche il secondo evento, interessante per il suo valore promozionale. La kermesse di Castelfranco Veneto si è conclusa con una serata di gala, organizzata dal consorzio ristoranti del radicchio, durante la quale è stato attribuito ad alcuni protagonisti dell’informazione e della cultura italiani il tradizionale premio “Radicchio d’Oro”. T.V.
Ecco l’elenco dei premiati
Per la cultura/spettacolo 2017: Christian De Sica.
Per la cultura/informazione 2017: Vincenzo Mollica.
Per la cultura 2017: Francesco Tullio Altan.
Per l’internalizzazione del Radicchio Rosso di Treviso Igp 2017: Renzo Piraccini.
Per l’enogastronomia 2017: Antonello Colonna.
Per l’enogastronomia 2017: Davide Paolini.
Per lo sport/giornalismo 2017: Carlo Sassi.
Per lo sport 2017: Umana Reyer Basket Venezia.
Per la musica 2017: Giovanni Andrea Zanon.
Per l’impegno civile/solidarietà 2017: Sammy Basso.
Premio Dop alla trevigianità 2017: Francesco Da Re.