Quattro paia di “scarpe” nuove per sostenere la marcia del vigneto italiano. Da quest’anno sono infatti per la prima volta a disposizione dei viticoltori le prime barbatelle innestate sui nuovi portinnesti della “serie M”. Un’innovazione che può essere importante e decisiva per fare fronte al mutamento delle condizioni pedoclimatiche di molte zone viticole italiane, frutto di un’attività di ricerca portata avanti dall’Università di Milano sin dai primi anni ’80 e che riannoda i fili di un’attività di miglioramento genetico non più frequentata con assiduità da fine ‘800.
È infatti ormai da più di un secolo che la vite calza sempre gli stessi “modelli”: è arrivato il momento di rinnovare il guardaroba.
«Anche perchè – afferma Ermanno Murari dei Vivai Cooperativi Rauscedo – la gamma dei portinnesti storici non è più adeguata alle esigenze della viticoltura moderna».
Biodiversità da ampliare
Delle 40 varietà portinnesto coltivate nel nostro Paese, le prime cinque concorrono per più dell’90% del totale degli innesti realizzati nell’ultimo triennio.
Si tratta di Kober 5BB (23%), SO4 (22%), 110 Richter (21%), 1103 Paulsen (17%), e 140 Ruggeri (11%). Una biodiversità limitata che a volte si può rilevare insufficiente a fornire risposte adeguate per tutti gli areali produttivi.
«In effetti – spiega Lucio Brancadoro dell’Università di Milano – i portinnesti ancora oggi dominanti, selezionati con gli obiettivi principali della resistenza alla fillossera (ancora ben presente in Italia) e della tolleranza alla clorosi ferrica, sono stati ottenuti da incroci tra Vitis riparia e V. berlandieri o tra V. berlandieri e V. rupestris effettuati con un numero esiguo di genitori, il che riduce notevolmente la loro variabilità genetica».
L’impatto del global warming
Oggi però il global warming ha rimescolato le carte in tavola, mettendo in primo piano la necessità di prediligere e ricercare caratteristiche di resistenza alla siccità e ai suoli calcarei. Anche in quest’ultima annata, mediamente piovosa, ci sono state infatti zone come la Sicilia orientale in cui le precipitazioni sono state estremamente scarse. Tanto che i viticoltori di molte zone vocate, non solo del Sud, hanno imparato a fare i conti con problemi legati anche all’efficienza del portinnesto come lo stress idrico, salinità dei suolo e delle acque, suoli clorosanti, carenze nutrizionali. «La scelta del giusto portinnesto – conferma Murari – deve essere legata alle caratteristiche del suolo, alla fittezza dell’impianto e, soprattutto, alla possibilità di irrigazione.
….
Leggi l'articolo completo su Terra e Vita 38/2016 L’Edicola di Terra e Vita