Gli usi sostenibili si scontrano con una giurisprudenza spesso insostenibile. Gli agrofarmaci, infatti, sono in assoluto i prodotti più normati e controllati in Europa. Il paradosso è che, nonostante l’attenzione del legislatore, ci sono in Italia degli ambiti dove la sovrapposizione delle disposizioni finisce per creare vuoti normativi e contraddizioni.
È il caso della gestione delle acque di lavaggio delle irroratrici. Un tema a cui la Fondazione Edmund Mach ha dedicato un recente incontro tecnico a San Michele all’Adige (Tn). Il lavaggio in campo dopo il trattamento è attualmente l’unica soluzione prevista dalla normativa nazionale, ma non rappresenta la migliore garanzia per tutelare i corpi idrici. L’Italia vanta una delle più diffuse reti di rilevazione della qualità delle acque superficiali e profonde. «La strategia - afferma Raffaella Canepel, dell’Arpa di Trento - per limitare le fonti di inquinamento dovrebbe fare leva su tutte le tecnologie disponibili». Sarebbe perciò opportuno pensare a sistemi a ciclo chiuso, in grado di riutilizzare l’acqua di lavaggio in più cicli, magari in grado di assicurare la tracciabilità dell’operazione di lavaggio. Esistono tre tipi di tecnologie aziendali:
- Sistemi microbiologici o Biobed: che funzionano sul principio della degradazione microbiologica (Phytobac, Biobac) ma hanno il problema dello smaltimento del substrato filtrante dopo la degradazione biologica;
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