Usa-Ue, deregulation alimentare? di Beatrice Toni
Sigla: Ttip. Domanda: cos’è?
Il trattato internazionale di libero scambio fra Usa e Ue. Assieme, le due economie fanno metà del pil mondiale: l’idea è togliere barriere e vincoli alla libera circolazione dei prodotti, uniformare gli standard. Fra l’altro, anche nei cibi. Le promesse sono crescita e posti di lavoro.
Ma alla vigilia del voto del Parlamento europeo la narrazione è inciampata in una crescente opposizione dei cittadini e in una quota importante di indecisi.
In Europa e non solo. Nella sinistra e non solo. Negli Usa protesta il premio Nobel Stiglitz ora consigliere economico della candidata alla presidenza Hillary Clinton (stesso partito di Obama che invece vuole fortemente il trattato).
I benefici vengono messi in discussione, il capitolo cibo e quindi agricoltura è tra quelli cruciali e tocca culture, pratiche sanitarie e commerciali, oggi divergenti tra Usa-Ue a proposito di ogm, carne agli ormoni e/o agli antibiotici, tracciabilità di filiera, denominazioni d’origine e così via.
Ma l’acronimo decisivo è forse un altro: Isds che apre la possibilità a un privato/investitore, grande ovviamente, di far causa (davanti a un tribunale internazionale) a uno Stato qualora si ritenga danneggiato. Ancora un esempio di moderna deregolamentazione. Il mercato può vincere sugli Stati? Lo vedremo.
Certo l’idea che il cibo sano e di qualità è roba solo per una parte minoritaria della popolazione non convince. Alla politica spetta il compito di ridurre le differenze e accorciare le distanze fra i cittadini anche nei confronti del mercato.
Forse e soprattutto.
I giochi non sono fatti di Paolo De Castro*
Nel dibattito sul Ttip si tende a parlare come se i giochi fossero fatti. Non è così. Nel mandato si ribadisce il diritto dell’Ue e degli Stati a perseguire i propri interessi sulle politiche sociali, dell’ambiente, salute e sicurezza. Se si oltrepassano quelle linee rosse, gli Stati non faranno passare il Ttip, perché serve l’unanimità in Consiglio Ue. E il Parlamento non sarà da meno.
L’Isds è contenuto in oltre 1.400 accordi bilaterali stipulati dagli anni cinquanta in poi. Alcuni di questi sono vecchi accordi tra paesi dell’Ue. Perché l’Isds non è stato pensato per mettere in discussione i diritti, ma a dirimere questioni molto specifiche. A caricare questo meccanismo di aspettative eccessive e a forzarne la natura sono state le recenti iniziative di alcune imprese transnazionali. La Commissione europea ha accolto diverse indicazioni emerse dalla consultazione pubblica sull’Isds e ha proposto di trasformarlo in un tribunale internazionale con meccanismo di appello, procedure trasparenti e tutele specifiche a protezione del diritto a legiferare degli Stati.
Per quanto riguarda l’agricoltura, quella americana è più competitiva della nostra sulle materie prime, mentre noi siamo più forti sui prodotti agricoli trasformati, come pasta, formaggi, vino e olio e negli ultimi anni la bilancia commerciale dell’agroalimentare pende dalla parte europea. Tutti gli sforzi che abbiamo fatto sulla qualità ci vengono riconosciuti e non solo dai consumatori americani, ma in generale nel mondo. A fronte di questo quadro sia gli americani sia gli europei hanno i loro settori sensibili, che cercheranno di proteggere aggiustando, ma non eliminando le quote di ingresso.
(*) Relatore Ttip Comagri, Parlamento europeo