Agricoltura di precisione, semina su sodo, orticoltura di pieno campo e il tema della filiera 100% made in Italy, dal grano duro alla pasta, per il talk show pomeridiano.
Nova Agricoltura torna a Foggia presso la sede del Crea-CI per bissare il successo dell'edizione 2018, con oltre 1300 visitatori.
Con questa intervista a Roberto Moncalvo anticipiamo alcuni dei temi che affrontiamo in campo il 20 luglio.
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Ricerca e innovazione, ingredienti speciali per rafforzare la filiera della pasta 100% italiana. Una possibilità inseguita per anni dal settore del grano duro, diventata realtà grazie anche a specifici sostegni ai contratti di filiera. Siamo alla seconda annata, seconda mietitrebbiatura per le produzioni che possono usufruire del premio di filiera (fino a 200 €/ha) introdotto anche grazie al contributo di Coldiretti e alla cosiddetta "guerra del grano". Un ritrovato fair play nei rapporti tra produzione e trasformazione che può consentire maggiori investimenti e maggiore programmazione nelle attività di ricerca sul grano duro. Per l’imminente appuntamento di Nova agricoltura in campo, il 20 luglio a Foggia presso la sede del Crea-CI, la redazione di Terra e Vita ha deciso di dedicare il tradizionale convegno di approfondimento proprio a questo tema, con il contributo di Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti.
Contratti di filiera da rifinanziare
Quel è il bilancio dell’impegno di tutelare l’origine, uno degli elementi a cui i consumatori danni oggi più valore anche nella filiera del frumento duro?
«Il premio di filiera per il grano duro – risponde Moncalvo - è un risultato importante frutto della mobilitazione promossa da Coldiretti a sostegno delle aziende cerealicole italiane. Una battaglia che, è importante sottolinearlo, ha inciso sul settore agroalimentare a livello economico ma, ancor prima, culturale poiché ha contribuito a sfatare il falso mito che non si potesse fare la pasta con il grano italiano.
Lo dimostra il rapido proliferare di filiere che vantano l’utilizzo del 100% di frumento duro tricolore create da “big” del settore, da Barilla a Divella, da Zara a Garofalo e l’arrivo sugli scaffali di linee come Ghigi, De Sortis, Jolly Sgambaro, Granoro, Armando, Felicetti, Alce Nero, Rummo, fino a Voiello che fa capo al citato Gruppo Barilla. E, sempre nell’ottica della tracciabiilità, abbiamo appena lanciato un grande accordo di filiera tra Coldiretti, Consorzi agrari d’Italia, la stessa Fdai e il Gruppo Casillo che prevede la fornitura di 300 milioni di chili di grano duro biologico destinato alla pasta e 300 milioni di chili di grano tenero all’anno per la panificazione. Guardando poi al futuro, visto l’impegno triennale del contratto di filiera del grano duro, occorre rifinanziare lo strumento in modo adeguato per dare continuità ad una politica che ha trovato risposta sia da parte degli agricoltori sia da parte delle industrie. Ma che soprattutto trova riconoscimento e valorizzazione sul fronte dei consumi».
Da mille a 5mila ettari, lo sprint del Senatore Cappelli
Un’attenzione che ha anche consentito lo sviluppo di nuove filiere certificate, come quella del grano senatore Cappelli. È la strada giusta per differenziare e valorizzare il nostro grano, in modo che non sia più considerato semplice commodity?
«Il Senatore Cappelli è sicuramente l’esempio più lampante di come il crescente interesse per la pasta italiana e di qualità stia dando risposte economiche alle aziende. Nella campagna in corso le semine di questo tipo di frumento autoctono sono letteralmente quintuplicate, passando dai 1000 ettari del 2017 ai 5000 attuali, e per la prossima si prevede un ulteriore raddoppio delle superfici. Si tratta di un ritorno storico, certificato e tracciato in purezza lungo tutta la filiera, dietro la spinta di straordinari contenuti nutrizionali e di una rusticità che ne consente la coltivazione anche in periodi e in terreni siccitosi. Il rilancio di questa varietà oltre ad essere una risposta alla richiesta da parte del consumatore di varietà a basso tenore di glutine, con una buona quantità di fibra, sali minerali e vitamine, con un prezzo garantito al produttore che lo coltiva secondo disciplinare».
Oltre all'aspetto varietale, quali altre caratteristiche si prestano ad essere valorizzati negli accordi di filiera?
«Tra i punti forti dell'accordo di filiera con Casillo c’è anche quello di favorire la predisposizione di modelli contrattuali e disciplinari tecnici specifici che consentano di mantenere e valorizzare il patrimonio varietale inserito nel contesto dell'intesa. Ciò anche valorizzando la qualità e la purezza genetica delle sementi prodotte in Italia ed offrendo alle aziende agricole una soluzione produttiva economicamente valida che tenga conto dei reali costi di produzione».
Miglioramento genetico imprescindibile
La chiarezza dei rapporti tra costitutore e moltiplicatore della semente, consentendo di tutelare meglio i diritti brevettuali, è un valido incentivo per la ricerca pubblica?
«Il rinnovamento varietale è un’esigenza fondamentale della moderna agricoltura. Attraverso la diffusione di nuove varietà viene incrementata la potenzialità produttiva delle colture senza effetti collaterali sulla sostenibilità dell’ecosistema agricolo, vengono introdotti nuovi caratteri di resistenza ai patogeni, con conseguente riduzione dell’uso di fitofarmaci, e nuovi caratteri qualitativi che promuovono un ampliamento della gamma di prodotti in sintonia con le esigenza dei consumatori. Il miglioramento genetico diventa un aspetto imprescindibile per lo sviluppo futuro dell’agricoltura italiana. Il modello a cui pensiamo vede lo sviluppo di collaborazioni e sinergie tra parte privata e parte pubblica. Questa è la strada che permette di tenere insieme prospettive di breve e di lungo periodo della ricerca e che consente anche di costruire al meglio lo sforzo per il recupero e la valorizzazione di straordinarie varietà autoctone. Il know how privato unito al patrimonio di competenze e centri sperimentali di parte pubblica (pensiamo ad esempio al CREA) può essere una leva straordinaria per la valorizzazione di conoscenze ed esperienze uniche nel mondo del grano».
Riguardo all’evoluzione in corso nelle tecniche di miglioramento genetico, quali sono le necessità e le aspettative di Coldiretti riguardo al frumento duro nazionale?
«Il primo passo è investire nella programmazione strutturale per non perdere definitivamente il patrimonio di qualità e biodiversità dei grani italiani, che rappresenta il valore aggiunto della produzione nazionale. Certo, la tutela della biodiversità tramite il ricorso a tecniche di miglioramento genetico deve sposarsi anche con la sostenibilità economica. La ricerca in agricoltura, infatti deve essere orientata al mercato ed è quello che stiamo portando avanti insieme a SIS – Società Italiana Sementi».
Big Data, un progetto
con Bonifiche Ferraresi,
Ismea e Consorzi Agrari
per tutelare i diritti della parte agricola
Agricoltura 4.0, un nuovo paradigma per una gestione sostenibile e innovativa delle nostre produzioni cerealicole. Ma c'è l'altro lato della medaglia. sensori e georeferenziazione generano dati sensibili determinanti per la competitività di ogni azienda.
La nuova guerra del grano sarà combattuta per il controllo di questi dati ? Si apre un nuovo fronte di spaccatura nella filiera?
«L’applicazione delle nuove tecnologie in agricoltura, prima fra tutte l’agricoltura di precisione, genera il grande tema della gestione e proprietà dei dati. Gli enormi investimenti che alcune multinazionali stanno facendo nel settore dei Bigdata in agricoltura sono un chiaro segnale di come questi dati rappresentino una ricchezza per il settore (dal dato si genera l’informazione e, quindi, il supporto alla decisione). L’utilizzo e la proprietà di questi numeri sono un tema oggi non secondario. La gestione da parte di grandi soggetti terzi rischia di creare una nuovo regime tecnico in cui gli agricoltori sono dipendenti dalle decisioni e dalle applicazioni rese disponibili dai provider di tecnologie di agricoltura di precisione. Questo rischia di generare una nuova forma di dipendenza economica che, ovviamente, si ripercuoterebbe in modo negativo sugli agricoltori. La gestione di dati di territori e agricoltori potrebbe generare forme di controllo lesive degli interessi degli agricoltori e omologanti per i consumatori.
E’ quindi fondamentale che i dati generati dall’applicazione dell’agricoltura di precisione e digitale rimangano di proprietà degli agricoltori affinché non siano soggetti a pratiche sleali da parte dei grandi provider di mezzi tecnici. Con i Consorzi Agrari, Ismea e Bonifiche Ferraresi stiamo lavorando in tal senso; tutela degli agricoltori e garanzia di accessibilità alle nuove tecnologie da parte di tutti. L’idea è quella di sviluppare servizi di gestione dei dati e delle tecnologie di tipo open source al fine di rendere l’agricoltura digitale un patrimonio comune e soprattutto una leva per gestire meglio qualità e sostenibilità».
Annata 2018, cali produttivi che arrivano al 20%
Nuove nubi si addensano sull’orizzonte della pace di filiera. Dopo un'annata caratterizzata da un clima piovoso, alcune industrie di trasformazione si affidano a stratagemmi per non pagare i premi pattuiti sulla qualità del grano duro.
Come difendere i produttori ?
«I produttori – testimonia Moncalvo- si difendono da un lato attraverso contratti di filiera chiari che devono tenere conto dei reali costi di produzione, come accade ad esempio con Casillo, e che permettano di uscire dalle fluttuazioni del mercato e dall'altro tramite la conoscenza sempre più approfondita delle caratteristiche qualitative del prodotto raccolto. Questo lo stiamo facendo attraverso una analisi attenta del grano raccolto in diverse situazioni pedoclimatiche.
Secondo un primo monitoraggio di Coldiretti e Consorzi Agrari d’Italia sulla trebbiatura ormai avviata, si stima un calo della produzione di grano duro sui circa 1,3 milioni di ettari coltivati del 5-10% per cento rispetto allo scorso anno, con punte fino al 20% nelle zone del Sud Italia, per un totale nazionale di poco superiore alle 4 milioni di tonnellate. Ma la produzione di grano duro arretra anche in Europa dove, secondo un’elaborazione Coldiretti su dati Copa Cogeca, si avrà un calo del 4% rispetto allo scorso anno».
Filiera Italia: dalla carne bovina all'olio extravergine
Con Filiera Italia Coldiretti porta la sua esperienza e la sua capacità di gestire rapporti fecondi nelle relazioni verticali anche in altri settori.
«Coldiretti ha in effetti avviato ormai da tempo l’esperienza dei contratti di filiera che via via stanno coprendo le maggiori filiere del made in Italy, dal settore della carne bovina con il gruppo Inalca per 125 mila capi, al contratto con Casillo per 6 milioni di quintali di grano, sino all’ultimo del 28 giugno scorso per 100 mila quintali di olio extravergine d’oliva 100% italiano con Federolio. Il contratto di filiera è uno strumento dell’economia contrattuale che viene studiato e contrattato tra le parti volta per volta, ma possiamo identificare almeno 2 elementi comuni. Il primo riguarda la pluriennalità degli impegni contratti, il secondo riguarda il prezzo pagato dall’industria di trasformazione.
Questo prezzo, che è l’elemento principale, deve sempre coprire i costi di produzione dell’agricoltore a cui è agganciato un meccanismo che distribuisce il rischio della variabilità del prezzo negli anni in modo equo tra le parti. Con l’esperienza fin qui accumulata possiamo dire che non esiste un contratto standard per ogni filiera, ma questo è il frutto di un processo di studio e analisi della filiera che porta a poi ad un modello contrattuale, condiviso dalle parti, che affronti e risolva problematiche molto diverse».
Blockchain e Internet of things, la sperimentazione parta dal grano duro
Internet of things e blockchain sono nuovi strumenti indispensabili per tracciare e certificare le filiere di qualità?
«Sicuramente una delle nuove frontiere della tecnologia da adottare per qualificare in modo puntuale il prodotto originale ed autentico di qualità è l’internet delle cose, ovvero la possibilità di “far parlare il prodotto”. Internet of things e blockchain bene si coniugano per la tutela dei prodotti originali del vero made in Italy e possono garantire l’autenticità e la trasparenze nelle informazioni da fornire al produttore. Si tratta ora di iniziare la sperimentazione di queste tecnologie come la blockchain in specifiche filiere magari partendo proprio dalla pasta italiana».
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