«L’ortofrutta italiana ha raggiunto il punto di non ritorno. Per risollevarsi deve trovare nuovi sbocchi di mercato, all’estero». È l’allarme lanciato oggi al Macfrut di Rimini da Elisa Macchi, direttore di Cso Italy. Che a un convegno organizzato in fiera dallo stesso Centro servizi ha spiegato: le ultime campagne sono state particolarmente penalizzanti per i frutticoltori del nostro paese, non sempre è stato semplice trovare sbocchi commerciali adeguati per tutta la produzione.
Il settore, ha continuato Macchi, «si trova in evidente difficoltà rispetto ai competitori esteri. A questo punto è necessario, anzi è un dovere imprescindibile, aprire nuovi mercati. Indispensabile anche ottenere un aiuto concreto da parte delle istituzioni, per agevolare in maniera decisa il mondo produttivo italiano in questo percorso». I dati raccolti dal Cso comprovano quanto sia importante cercare una svolta.
Pere
Guardiamo soltanto, ha detto Macchi, come sta andando con le pere, forse la più tipica specialità frutticola italiana: negli ultimi 10 anni la produzione di pere è crollata da 900mila a 700mila tonnellate. I consumi interni sono in ripresa negli ultimi anni (420mila t nel 2018), ma ancora inferiori rispetto al passato: -7% rispetto al periodo 2000-2018.
E nel frattempo i paesi concorrenti non stanno a guardare: «Si registra una crescente competizione con Belgio e Olanda. Nei primi anni 2000 le due nazioni insieme producevano 350mila tonnellate di pere, oggi il loro potenziale è di oltre 720mila t».
Il problema è aggravato dal fatto che l’embargo russo ha comportato un aumento dell’export Ue verso le destinazioni intra comunitarie. E che l’import di pere da parte della Germania è stabile, 170mila t/anno; in Germania la presenza di pere italiane è in lieve calo, nelle ultime stagioni è sceso sotto la soglia del 40% dell’import tedesco, mentre aumenta la presenza di pere olandesi, che supera il 35%. L’export olandese in Germania aumenta durante il periodo di commercializzazione delle pere italiane ed è presente anche in controstagione con merce riesportata.
Altra situazione critica a carico dei produttori italiani è il fatto che il flusso di pere italiane diretto verso il Nord Africa è andato riducendosi a causa di problematiche geopolitiche; tra il 2011 e il 2015 le spedizioni di pere italiane in questi paesi avevano superato le 11mila tonnellate annuali. Belgio e Olanda esportano in Cina ormai da settembre 2014; i volumi venduti sono saliti nell’ultimo biennio fino a 7.200 tonnellate.
Kiwi
Criticità secondo Macchi anche per la produzione nazionale di kiwi: «L’offerta italiana è prevista in aumento ma il consumo interno da diversi anni è stabilite. Intuibile la conseguenza: anche per questo prodotto abbiamo bisogno di esportare».
La produzione italiana di kiwi, ha spiegato al Macfrut il direttore del Cso, negli ultimi anni si è assestata su circa 400mila t., un volume deficitario. Però il potenziale produttivo nazionale è di 600mila t ed è previsto in ascesa nei prossimi anni. Nei prossimi due anni è stimata l’entrata in produzione in Italia di oltre 2.600 ettari (Green e Gold) di nuovi impianti.
L’Italia è il primo produttore ed esportatore di kiwi, ma tutti i paesi europei stanno incrementando la loro offerta di questo frutto. La concorrenza della Grecia per esempio è in aumento: qui la produzione di kiwi è aumentata in dieci anni da 75mila a 220mila tonnellate e l’export da 50mila a oltre 150mila t; prima le spedizioni greche erano concentrate tra ottobre e dicembre, oggi sono venduti elevati quantitativi sui mercati esteri fino a maggio.
Anche il prodotto della Nuova Zelanda è sempre più presente sui mercati «e ciò riduce la finestra di commercializzazione del kiwi italiano. La produzione neozelandese è in aumento, nel 2018 e probabilmente nel 2019 sarà sopra le 520mila t. Negli ultimi anni l’offerta, in annate di forte produzione, si posizionava sulle 400mila t».
Idee nuove? «Il Messico non è un produttore di kiwi è può offrire un bacino di consumatori di oltre 100 milioni di persone; è la 14a economia mondiale e parte della popolazione può vantare un indice di sviluppo simile a quello della Germania. Importa kiwi da Cile Nuova Zelanda e Usa, ma gli Usa sono l’unico fornitore ipoteticamente sulla stessa stagionalità del prodotto italiano».
Mele
La potenzialità della produzione italiana di mele, ha continuato il direttore del Cso alla fiera di Rimini, è costante, sui 2,2 milioni di tonnellate. Ed è caratterizzata da una forte incidenza dell’export: il 50%. Le mele sono la prima referenza frutticola esportata, nonostante l’importanza del mercato nazionale.
Ma il trend del mercato interno «non è del tutto positivo. Nel 2000 gli acquisti erano di circa un milione di tonnellate, oggi sono di 800mila t, però un po’ in ripresa; comunque dal 2000 al 2018 gli acquisti interni di mele sono calati del 17%».
Nel frattempo in Europa cresce l’offerta polacca di mele: 4,5 milioni di t, il doppio di quella italiana, anche se per un 10% è destinata all’industria. Verso la Cina la Polonia ha già effettuato spedizioni fino a 1.500 t/anno.
In Cina più Hong Kong vengono movimentate circa 6mila tonnellate di mele francesi. «Per l’Italia ipoteticamente c’è la possibilità di vendere una referenza di mele simile a quella, la Fuji, già presente sui mercati cinesi; prospettive anche per mele italiane diverse, soprattutto quelle a marchio».
Arance
C’è una forte sofferenza per tutto il comparto italiano degli agrumi. L’offerta italiana di arance, ha detto ancora Macchi, ha subito una contrazione in seguito alle forti riduzioni delle superfici: siamo scesi dai quasi 2 milioni di tonnellate dei primi anni Duemila ai circa 1,6 milioni delle ultime stagioni. Ed è aumentato notevolmente l’import italiano di arance spagnole, salito da meno di 50mila t a oltre 140mila t.
I consumi italiani di arance sono scesi dalle circa 700mila t dei primi anni Duemila alle 570mila t degli ultimi dieci anni.
Le esportazioni italiane di arance sono in forte concorrenza con quelle spagnole. L’export italiano si colloca in media sulle 120mila t annue ma con forti oscillazioni annuali; dopo il 2014 ben l’85% dell’export italiano è venduto nella Ue a 28. L’Italia a inizio 2019 ha reso operativo il protocollo per l’export italiano verso la Cina di arance rossi e limoni, anche per via aerea.
L’export spagnolo di arance è in ascesa: è salito dagli 1,3 milioni dei primi anni Duemila ai circa 1,5 milioni degli ultimi anni, addirittura tra il 2012 e il 2015 ha toccato quota 1,8 milioni. Aumenta sia nel mercato comunitario sia nelle destinazioni extra Ue. Oggi la Spagna esporta oltre 150mila t/anno in paesi entra Ue a 28, con una forte espansione in Cina, Canada, Brasile ed Emirati.
Uva da tavola
Ultimo prodotto analizzato da Elisa Macchi al Macfrut l’uva da tavola. L’offerta italiana è calata di recente
a circa un milione di t/anno e ha visto una riconversione passando da cultivar tradizionali a uve senza semi, che sono più ricercate nei mercati.
L’uva da tavola è il secondo prodotto frutticolo italiano esportato dopo le mele, ma i volumi venduti all’estero sono scesi sotto le 500mila t negli ultimi anni, -17% rispetto ai primi anni Duemila. Intanto il consumo interno in Italia continua a calare, segnando un brutto -26%: gli acquisti interni sono passati dalle oltre 230mila t dei primi anni Duemila alle circa 170mila degli ultimi anni.
Comunque c’è un primato italiano a livello europeo per le produzioni di uva da tavola: sono il 60% circa del totale Ue. Seguono le produzioni di Grecia (290mila t) e Spagna (oltre 270mila t).
L’export italiano di uva da tavola rimane concentrato verso i paesi Ue a 28 per oltre il 90%, circa 430mila t; quasi il 30% viene venduto in Germania. Marginali, meno di 40mila t, le spedizioni verso i paesi extra Ue.
Ma c’è da registrare un aumento dell’export della Spagna: è salito dalle circa 110mila t dei primi anni Duemila alle oltre 165mila della stagione 2018. La crescita dell’export spagnolo di uva da tavola è stata evidente nel mercato intra-Ue, soprattutto in Germania e Uk: è salito oltre le 150mila t nel 2018.
L’Africa
Al mattino è andata in scena, come da tradizione, l’inaugurazione della fiera. Guest star, fra tante personalità del settore e della politica, la vice ministra degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Emanuela Del Re la quale anche per sottolineare il messaggio numero uno del Macfrut ha affermato che ormai è tempo di realizzare una profonda internazionalizzazione del settore ortofrutticolo.
«Promuovere l’innovazione tecnologica - ha detto Del Re - e costruire ponti tra imprenditori italiani e stranieri, come Macfrut fa, significa non solo incrementare gli scambi commerciali e il Pil, ma anche avere a cuore il destino del nostro pianeta. Fare innovazione agricola vuol dire anche combattere fame e malnutrizione infantile, produrre in maniera sostenibile riducendo gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agroindustria, creare opportunità di lavoro e sviluppo anche nelle comunità più svantaggiate portando loro le conoscenze tecnologiche, e i valori, italiani».
E richiamando la forte presenza in fiera di operatori e politici africani la vice ministra ha ricordato come il Pil continentale africano sia destinato a crescere del 4% nei prossimi 5 anni. Una crescita che potrebbe non bastare per dare un’occupazione a tutti i giovani africani, 30 milioni ogni anno, che si affacciano al mondo del lavoro: «Se aumenteremo le capacità produttive del continente senza garantire l’accesso ai mercati di sbocco, i nostri sforzi non saranno serviti a nulla. Per questo è importante una fiera come Macfrut, orientata a dare risposte a questi problemi. Così l’Africa potrà mostrare al mondo che un nuovo modello di sviluppo è possibile, uno sviluppo condiviso. L’Italia, come l’Europa, è chiamata a cogliere queste grandi opportunità».
Piraccini e Caselli
«Nelle ultime edizioni abbiamo raddoppiato il numero degli espositori, i visitatori e il fatturato, ricompattando l’intero settore ortofrutticolo intorno a questa fiera» ha aggiunto, sempre durante l’inaugurazione, il presidente di Cesena Fiera Renzo Piraccini. Cesena Fiera è la società organizzatrice del Macfrut di Rimini.
Piraccini ha salutato i numerosi paesi dell’Africa, “country partner” della rassegna, così come la Regione Piemonte, regione partner di questa edizione del Macfrut, ringraziando anche Ice Agenzia per il continuo supporto nel percorso di internazionalizzazione. Proprio il direttore dell’Ice, Roberto Luongo, ha ricordato come l’Italia possa e debba presentarsi come integratore verticale di diverse tecnologie, invitando tutti gli operatori del settore ad affidarsi all’agenzia per l’apertura ai mercati esteri.
L’assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Simona Caselli, ha ribadito l’importanza della fiera inaugurata oggi per le politiche della Regione: «Macfrut, per noi, rappresenta una fiera importantissima. Se non si fosse deciso lo spostamento a Rimini oggi non saremmo a festeggiare questi numeri straordinari. Numeri che ci dicono che il settore si è ritrovato intorno a una fiera che si apre come vetrina sul mondo, presupposto fondamentale per incidere a livello internazionale in maniera adeguata. Dedicarsi all’Africa ha un significato profondissimo, ma viene dopo un lungo lavoro fatto da Macfrut con i paesi dell’America Latina e dell’Asia, un vero lavoro globale. Sull’agroalimentare in Emilia-Romagna, lungo la via Emilia, abbiamo Macfrut per l’ortofrutta, il Sana che è la seconda fiera europea del biologico e il Cibus per le produzioni di alta qualità. Ma oltre a far lavorare assieme il sistema fieristico servono delle fiere di filiera: ce n’era necessità e su questo abbiamo puntato».
Dalla fiera inaugurata oggi a Rimini, sempre secondo Caselli, possono arrivare sollecitazioni importanti per i vari confronti internazionali: «Bisogna insistere perché sia l’Europa sia il punto di riferimento per i grandi dossier internazionali. Non è più accettabile che per esportare in un Paese ogni nazione europea debba aprire un suo singolo dossier. Su questo serve uno sforzo corale. Quella di Macfrut è una grandissima occasione per ritrovare uno spirito di corpo di fronte alle sfide di tutti i giorni, lavorando uniti».
Il ministro Agricoltura del Congo
A nome dei diversi paesi africani presenti al Macfrut è intervenuto Thsibangu Kalala, ministro dell’Agricoltura della Repubblica democratica del Congo. Un paese ricco di risorse, foreste, minerali e terra fertile, che oggi investe molto sul cobalto, tanto da produrne il 60% del totale mondiale.
«Ma il nostro futuro non passa per il cobalto. Per creare lavoro investiremo sull’agricoltura e per questo sono qui, per invitare gli operatori a sfruttare le opportunità di investimento che il nostro paese offre, con benefici per entrambe le parti».
Il ministro ha ricordato poi come l’Unione africana abbia deciso di portare al 10% la quota di spese dei diversi paesi del continente destinate all’agricoltura, segno della centralità del settore primario negli anni a venire.