Irrigare con meno acqua. Sì, ma come? Il progetto Acqua (Agrumicoltura Consapevole della Qualità e Uso dell’Acqua) promosso dal Distretto Agrumi di Sicilia, dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania con il contributo non condizionato di The Coca-Cola Foundation, ha provato a dare una risposta eseguendo una mappatura della filiera produttiva agrumicola in riferimento all’uso delle acque irrigue su un campione di aziende direttamente o indirettamente associate al Distretto.
Un punto di partenza per affrontare una tematica di primaria importanza per l’agricoltura siciliana e in particolare per l’agrumicoltura. I risultati sono stati presentati a Carlentini (Sr) presso l’agriturismo Badiula con la proiezione di un video reportage che ha dato voce agli imprenditori della filiera agrumicola, ai dati raccolti e alle attività realizzate durante il progetto.
Impianti irrigui obsoleti
Dall’indagine è emerso che su un campione di 120 imprese in tutti i territori vocati all’agrumicoltura, la produzione è per il 73% certificata (Dop, Igp, Globalgap, Grasp), il 42% biologica, il 31% in regime convenzionale, il 27% in integrato. La coltura più diffusa è l’arancio (61%), seguito dal limone (34%), poi mandarino e clementine (5%). Le aziende hanno un’estensione media di 35 ettari nelle province di Catania/Enna, 25 a Siracusa, 4 nel Messinese, 7 nell’Agrigentino, 5 nel Palermitano.
Si hanno anche informazioni sulla composizione dei terreni, sull’approvvigionamento idrico e sulle pratiche irrigue che ancora eterogenee in relazione ai territori, manifestano un’ampia maglia di consumi dichiarati, indicativi di una gestione talvolta poco efficiente dell’irrigazione, con consumi molto alti dove l’acqua non scarseggia. Molte aziende hanno pozzi privati, l’acqua che viene dai consorzi di bonifica o dai consorzi irrigui privati è imprescindibile, nonostante le reti distributive presentino criticità significative e i costi siano elevati.
Gli invasi aziendali sono fondamentali (li possiede il 31% dei produttori nel territorio di Catania/Enna, il 16% di quelli del territorio di Agrigento). Si hanno anche indicazioni sul numero di irrigazioni eseguite (più di 21 per anno nel 39% dei casi), sulle tipologie degli impianti irrigui (purtroppo ancora il 43% sono per “aspersione”, il 40% è in “microportata”, il 17% a “farfalla”); appena il 7% utilizza sistemi tecnologici per il telecontrollo. L’analisi chimico-fisica è stata realizzata su campionamenti di acque irrigue, provenienti da pozzi aziendali o da reti consortili, rilevati in contesti rappresentativi dei territori. Tutti i campioni hanno presentato valori di pH ottimali per l’irrigazione. In alcuni casi si sono evidenziate concentrazioni di ioni specifici che potrebbero comportare rischi per alcuni specifici usi.
In tre campioni derivanti da acqua di falda sono state rilevate alte concentrazioni di nitrati che richiedono una maggiore attenzione per ciò che attiene la fertilizzazione. Gran parte dei campioni di acqua analizzati ha presentato elevate concentrazioni di bicarbonati, che possono causare la formazione di incrostazioni nei sistemi di irrigazione riducendone la funzionalità e la durata nel tempo.
Agrumi, tecnologia in campo
«L’utilizzo di nuove tecnologie – ha spiegato Antonio Cancelliere, Ordinario di Costruzioni idrauliche, marittime e idrologia al Dicar e responsabile scientifico del progetto – come ad esempio il monitoraggio dello stress idrico tramite droni e l’utilizzo di piattaforme WebGIS per la disseminazione delle informazioni, nonché la conoscenza delle caratteristiche quali-quantitative dell’acqua utilizzata in agrumicoltura, consente di migliorare efficienza e competitività della filiera».
Il progetto ha previsto, infatti, un monitoraggio ad alta risoluzione dello stress idrico delle piante, condotto attraverso l’acquisizione di immagini tramite fotocamere multispettrali montate sul drone. In particolare, un gruppo di indicatori (Ndvi, Gndvi e Sipi2) mostra di solito valori meno variabili all’interno dell’agrumeto, mentre un secondo gruppo (Ndre, Mcari e Lci), presenta una maggiore variabilità e sembra indicare condizioni di stress idrico generalizzato in alcuni degli agrumeti analizzati. I risultati indicano potenzialità dell’uso di questa tecnologia per individuare problematiche connesse agli impianti di irrigazione, consentendo di identificare, a livello del singolo albero, ipotetiche disomogeneità dell’adacquamento. I dati raccolti sono stati catalogati in un database e rielaborati per la consultazione su una piattaforma su tecnologia WebGIS implementata dal Dicar.
La piattaforma consente la localizzazione e visualizzazione delle aziende coinvolte, la consultazione delle informazioni raccolte (questionari, risultati delle analisi di qualità dell’acqua, immagini rilevate tramite droni) da parte delle aziende campione e degli utenti esterni.
Inoltre, in collaborazione con il Crea è stato realizzato un campo irriguo dimostrativo nell’azienda sperimentale del Crea-Acm in Contrada Palazzelli a Lentini (Sr) per valutare e divulgare l’applicazione delle diverse tecniche irrigue sugli agrumi. Si tratta di un appezzamento di 1,9 ettari di agrumeto (costituito da piante di 7 anni di arancio Tarocco Rosso), suddiviso in sei parcelle su cui si testano i diversi tipi di impianti irrigui. Scopo della sperimentazione è la razionalizzazione dell’impiego delle risorse idriche e il risparmio di acqua, tramite la tecnica del “deficit idrico” controllato e quella dell’irrigazione alternata (partial root zone drying). Sarà analizzata anche la gestione del terreno e il controllo della flora spontanea, con particolare riferimento alla conduzione “bio”. L’impianto ha carattere dimostrativo e sarà visitabile e consultabile da agricoltori, tecnici e studenti.
Il nodo dei Consorzi di bonifica
«L’acqua – ha ricordato la presidente del Distretto Agrumi di Sicilia Federica Argentati – è un fattore di produzione fondamentale per la filiera agrumicola. Significa qualità del prodotto finale, ma anche costi, necessità di efficienza degli impianti aziendali, delle infrastrutture e degli enti pubblici funzionali a un’adeguata erogazione. Acqua significa anche uso consapevole di una risorsa fondamentale non infinita, rispetto per l’ambiente e quindi anche etica, consapevolezza e impegno collettivo che non può e non deve mai mancare».
«I risultati di questo progetto – ha continuato Argentati – hanno messo in evidenza profonde differenze tra i diversi territori agrumetati siciliani e tra le stesse imprese. E, allo stesso tempo, ribadito ancora una volta, la necessità improcrastinabile di una maggiore efficienza della gestione pubblica a partire dai Consorzi di bonifica, percepiti, quasi all’unanimità, negativamente, a causa di discrepanze evidenti tra costi e servizi erogati a fronte di iniziative private spesso anche tecnologicamente innovative che tuttavia, in questa situazione, rischiano di perdere di efficacia».
«Sono venuto per ascoltare – ha detto il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci – e gli spunti usciti dal video reportage e dai dati raccolti dal progetto, comprese le criticità relative al servizio dei consorzi di bonifica, sono il punto di partenza per dirci cosa fare. Abbiamo fatto una riforma dei consorzi che attende di essere approvata dall’Assemblea regionale siciliana da un anno e il cui testo, tramite il Distretto Agrumi di Sicilia, vorrei fare arrivare a tutti gli agrumicoltori.
Vogliamo restituire i consorzi agli imprenditori e lasciare alla Regione la manutenzione della rete di distribuzione. Siamo impegnati nella pulizia dei fiumi, nel collaudo di 18 dighe ed è in progetto la realizzazione di laghetti collinari per dare alla nostra agricoltura l’acqua di cui ha bisogno e ampliare la superficie servita dai consorzi, dai 60mila ettari di oggi a 200mila».