Arriva dall’Emilia Romagna l’ennesima conferma dell’andamento ormai torrentizio assunto dalle portate del fiume Po, conseguenza del cambiamento climatico. E il susseguirsi dei periodi di magra (invernale ed estiva) sta provocando l’insabbiamento degli impianti idrovori di Boretto, nel reggiano.
Complici il drastico calo di portata del Grande Fiume e la scarsa piovosità di quest’anno, sta riemergendo un imponente quantità di detriti, costringendo il Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale a una lotta contro il tempo per liberare l’area prima dell’avvio definitivo dei prelievi irrigui a servizio delle aree agricole delle province di Reggio Emilia, Modena e di parte del Mantovano.
Disagi e aggravio dei costi
Anno dopo anno, il problema ha ormai assunto caratteri endemici, causando disagi e aggravio dei costi. Il tutto è stato ripetutamente segnalato agli organi idraulici competenti ma, in attesa del loro intervento, il locale ente consortile è costretto a provvedere autonomamente per la rimodellazione di un tratto anche dell’alveo del Canale Derivatore.
«Quanto sta accadendo lungo il fiume Po è la testimonianza di un Paese in costante ritardo di fronte a un’emergenza climatica dai caratteri sempre più evidenti, come sta dimostrando anche l’attuale siccità fuori stagione. È necessaria un’assunzione di responsabilità collettiva altrimenti anche la straordinaria opportunità del Recovery Plan diverrà un’occasione sprecata» ammonisce Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi).
Rimozione sedimenti
L’intervento in atto a Boretto Po consiste nella rimozione dei materiali sedimentati in alveo e il cui volume da asportare è stimato in 16mila metri cubi.
«Quello della manutenzione dal progressivo interrimento è un problema, che interessa tutti i corpi idrici. Basti pensare – conclude Massimo Gargano, direttore generale di Anbi – che il nostro Piano di Efficientamento della Rete Idraulica del Paese prevede l’asporto di oltre 72 milioni di metri cubi da 90 bacini, aumentando così di circa il 10% la loro capacità.
Il costo stimato è di quasi 291 milioni di euro, capaci però di attivare circa 1450 posti di lavoro. Come continuiamo a ripetere: serve un grande piano di manutenzione del territorio, e ogni giorno che passa, complice l’irrefrenabile consumo di suolo, ci espone ai crescenti rischi dell’estremizzazione degli eventi atmosferici».