AGRICOLTURA DI PRECISIONE

Precisione o approssimazione?

Il vero concetto di agricoltura di precisione deriva da un’integrazione tra le varie tecnologie a disposizione

Spente le luci della ribalta politica, nell'incertezza fra spinte liberiste e bisogno di sicurezza, il nostro travagliato Paese si trova di nuovo a fare i conti con la mancata scoperta di immensi giacimenti petroliferi o di qualche altra fonte energetica a costo zero, oltre che con gli ormai noti problemi di funzionamento delle bacchette magiche.

 

Qualsiasi scelta di politica economica è condizionata da due elementi fondamentali che da tempo caratterizzano la nostra situazione: da un lato, una grave crisi produttiva, dall'altro l'impossibilità per lo Stato di intervenire in modo efficace. Troppo facile, però, appellarsi a fattori ignoti e imponderabili: perché l'Italia va indietro e la Germania si muove in direzione opposta? Perché l'Europa mostra evidenti segni di recessione, seppure con profonde differenze geografiche, mentre Asia, Oceania e Sud America non hanno mai goduto di tanta prosperità? Tutti si stanno ormai rendendo conto del fatto che, per anni, una parte dell'economia ha scelto la strada più breve, lavorando contro il sistema e non a favore di esso. I recenti scandali hanno dimostrato che la grande finanza ha preferito la comoda strada della speculazione sui canali telematici a quella tradizionale, che investiva sulle imprese.

 

D'altra parte, analizzare la situazione di un'impresa, valutarne le opportunità di sviluppo e finanziarne gli investimenti è certamente più difficile che esercitare o disdire opzioni di acquisto nel volgere di poche ore, solo per guadagnare sulle diverse quotazioni. Un vero peccato, e un'occasione perduta, proprio ora che il tasso Euribor ha toccato i minimi storici: investire in Italia costa ancora più del doppio che in altri Paesi d'Europa. Ridurre gli investimenti significa non produrre, o produrre male, e quindi perdere competitività.

 

Chi ha buone idee è costretto a venderle all'estero, dove le banche valutano ancora con favore la bontà di un investimento e le prospettive di mercato che può aprire o sviluppare. Lo Stato, dal canto suo, non ha risorse per finanziare lo sviluppo: il debito pubblico comporta un esborso quotidiano di centinaia di milioni solo per pagare gli interessi e benché i tagli siano indispensabili, non basteranno a ridurre né la pressione fiscale né il costo del lavoro. Non investire, e non produrre, sposta l'asse della produzione fuori dai nostri confini, riducendo l'economia a un circolo vizioso fondato soprattutto sugli scambi. Ma se viene a mancare la produzione - agricola o industriale - non si crea valore e senza questo manca il denaro da spendere. L'effetto sui consumi è immediato, a maggior ragione in un sistema economico come il nostro, troppo squilibrato a favore del terziario: l'industria e l'agricoltura sono più spesso messe sotto accusa per i loro inevitabili inconvenienti che sostenute per gli innegabili vantaggi che portano all'economia ed all'occupazione. Eppure, è proprio la produzione, agricola o industriale, che consente a un Paese, povero di risorse naturali ed energetiche, di mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti.

Fattori naturali e fattori umani

 

Fra l'altro l'agricoltura italiana ricopre un ruolo strategico nella filiera agroalimentare: bisogna però recuperare terreno per evitare che il concetto di “made in Italy” venga snaturato dal fatto che molte nostre produzioni di pregio - la pasta, per esempio - nascono oggi da prodotti prevalentemente importati. Non vogliamo promuovere una nuova e anacronistica “battaglia del grano”, ma dobbiamo rilevare che alla riduzione dei suoli coltivabili non ha fatto riscontro un parallelo aumento delle rese unitarie.

 

Per quanto si cerchi di migliorare l'uniformità nella somministrazione dei mezzi di produzione, con l'obiettivo di garantire a ogni pianta le medesime condizioni di sviluppo, a sparigliare le carte ci pensa sempre il terreno, con la sua mutevole capacità di mettere a disposizione delle radici i nutrienti minerali e l'acqua. L'agronomia insegna che un incremento del contenuto di argilla o di sostanza organica favorisce la ritenzione idrica, grazie alla capacità di aderire ai sottilissimi fogli che compongono le argille o ai colloidi organici. Ma l'attitudine a trattenere l'umidità porta con sé anche la capacità di scambiare gli elementi chimici fondamentali, come azoto, fosforo e potassio e microelementi, mettendoli così a disposizione dell'apparato radicale.

 

Sul fronte opposto, una maggiore presenza di particelle più grossolane, come limo, sabbia o ciottoli, riduce la capacità di trattenuta dell'umidità e dei fertilizzanti; ma riduce anche la distanza di risalita dell'acqua per capillarità, rendendone difficile la captazione da parte delle radici. Se il terreno fosse esattamente omogeneo, le differenze di fertilità nell'ambito dell'appezzamento o della superficie aziendale sarebbero trascurabili e la somministrazione di una dose uniforme dei mezzi tecnici produrrebbe gli stessi effetti per tutte le singole piante che ne traggono sostentamento. Anche nel raro caso in cui il suolo si fosse formato dalla degradazione sul posto della roccia originaria, e quindi presentasse una costanza quasi assoluta nella composizione chimica, la distanza fra la superficie e la falda freatica potrebbe variare, determinando una diversa disponibilità idrica. La variabilità nello spazio, anche di pochi metri, è massima nei suoli i cui materiali di partenza provengono da luoghi diversi da quello attuale, come avviene nei terreni di origine alluvionale, in relazione al mutevole gioco delle correnti nei fiumi che li hanno formati.

 

Ai fattori naturali bisogna poi aggiungere quelli determinati dalle attività umane, come una diversa sistemazione idraulica, una lavorazione errata, la concentrazione delle manovre e del calpestamento in zone particolari del campo, come le testate, la differente gestione dei residui colturali o la presenza di attacchi parassitari. Tutto questo congiura per rendere più acute ed evidenti le differenze di fertilità fra le diverse porzioni del campo o del corpo aziendale, rendendo apparentemente inutile ogni sforzo per mettere ogni singola pianta nelle stesse condizioni.

Misurazioni più o meno sofisticate

 

Per la valutazione della fertilità nei vari punti del campo si ricorre a metodi di misura indiretti, fondati sull'analisi di diversi parametri: in fase di raccolta, il dato principale è la resa per unità di superficie, che può essere integrata dal contenuto in umidità (per le colture da granella), del colore o del grado zuccherino (per pomodoro da industria e uva da vino). Misurazioni ancor più sofisticate possono riguardare altri parametri qualitativi, come il tenore proteico e il contenuto in glutine o, ma qui siamo ancora in fase sperimentale, la contaminazione da funghi del genere Aspergillus, responsabili della produzione di aflatossine.

 

La misurazione del parametro numerico acquista un significato solo se viene messa in relazione alla posizione del campo in cui è stata effettuata. La serie di misure e le relative posizioni permette di suddividere l'appezzamento in tante parcelle di superficie minima, legata alla larghezza di lavoro e alla frequenza con cui i dati vengono rilevati. Per fare un esempio, una mietitrebbia con una barra da 6 metri che lavora a 5,4 km/h (corrispondenti ad 1,5 m/s) delimita un rettangolo di 6 metri per 1,5 (pari a 9 mq) per ogni secondo. Una parcella così identificata ha una superficie inferiore a quella normalmente impiegata nella ricerca applicata: con una calibrazione per ogni secondo un campo di 1 ha verrebbe suddiviso in ben 1.100 parcelle, con un grado di precisione forse eccessivo rispetto alle reali necessità. Se, infatti, volessimo intervenire l'anno successivo con una fertilizzazione mirata, ben pochi spandiconcime potrebbero consentire un dosaggio tanto accurato: i migliori distributori centrifughi hanno una larghezza di lavoro almeno tripla e ci costringono già a unire tre parcelle affiancate.

 

Le considerazioni appena fatte ci inducono a pensare che la localizzazione della macchina (da raccolta o per la distribuzione del fertilizzante) non richiede in realtà un alto livello di precisione, dato che il fattore limitante è la larghezza di lavoro. Ecco allora sfatato il mito secondo il quale l'agricoltura di precisione avrebbe bisogno di sistemi di localizzazione estremamente accurati e costosi: già il livello di base dei principali sistemi in commercio - circa 20-30 cm - è più che sufficiente per definire la posizione delle macchine con una sufficiente approssimazione. L'unica precauzione riguarda la taratura dei sensori e la capacità, da parte del computer di bordo, di annullare i “vuoti” di dati dovuti a improvvise variazioni del flusso di prodotto raccolto.

 

I sistemi di valutazione della produzione di granella sfruttano infatti due principi alternativi: uno conta gli impatti delle cariossidi su una superficie sensibile, l'altro invece misura quanta luce passa fra una lampada e un sensore, fra i quali scende una “cascata” di semi. È ovvio che in fase di apertura del campo, di manovra, o di raccolta delle ultime file, con la piattaforma di taglio che non lavora a tutta larghezza, il computer potrebbe essere “ingannato” e registrare una produzione unitaria assai inferiore a quella effettiva.

 

Infatti, l'agricoltura di precisione si fonda proprio sulla misura della potenzialità del terreno per consentire all'imprenditore di correggere i difetti di fertilità, portando l'intera superficie del campo al suo massimo teorico.

Il modello “europeo”

 

Il modello “europeo” di agricoltura di precisione parte dal presupposto che, poiché la terra è il mezzo di produzione che più incide sui costi totali, conviene puntare sull'aumento della resa per ettaro, aggiungendo fertilizzanti e, potendo, acqua irrigua nelle porzioni del campo dove si registra una produttività minore. In altre aree del globo le considerazioni possono essere diametralmente opposte: dove la terra costa poco, la principale voce di spesa è rappresentata dai fertilizzanti; può quindi essere conveniente ridurre i dosaggi nei terreni meno vocati, o addirittura abbandonarne la coltivazione se le rese sono troppo basse. La determinazione della soglia minima e del limite massimo di intervento può seguire diversi criteri, ma il più facile è senza dubbio quello che si fonda sui dati produttivi “storici”, riscontrati negli ultimi anni. Posta uguale a 100 la massima resa in granella, si definisce innanzi tutto quale debba essere la tolleranza ammessa rispetto a tale valore (per esempio, il 10%); dove la produttività misurata non raggiunge il 90% di quella di riferimento, si interviene aumentando la dose di fertilizzante.

 

Sono ovviamente valutazioni da fare a tavolino, durante la stagione invernale, in sede di impostazione del piano colturale e delle relative concimazioni; esistono in commercio appositi programmi informatici che consentono di gestire lo spandiconcime durante la fase di distribuzione in modo da dosare esattamente il quantitativo programmato. Quando la macchina si trova in corrispondenza dei punti critici il sistema di controllo, su cui è stata precaricata la mappa del campo, aumenta il dosaggio del concime, per mezzo di opportune elettrovalvole, tornando poi gradualmente alla dose normale dove la vocazione produttiva consente di ridurre gli apporti. Il sistema, già largamente sperimentato, può dare ottimi risultati elevando la resa media di campo per effetto dell'aumento dei valori minimi. Naturalmente una certa variabilità può continuare a esistere, in relazione a possibili differenze fra i dati rilevati in fase di raccolta (e quindi nell'anno precedente) e la reale fertilità del suolo nel momento in cui si interviene con il concime.

 

Fra un anno e l'altro possono influire anche i valori climatici: è recentissima la messa a punto di un modello previsionale, da parte di alcuni ricercatori dell'Università di Firenze, che consente di valutare la risposta della coltura al fertilizzante in relazione a quello che potrà essere l'andamento meteorologico, con un alto grado di affidabilità. Questa tecnologia, che sta uscendo proprio ora dalla fase sperimentale, può consentire di correggere le mappe di prescrizione elaborate sulla base dei fabbisogni, e soprattutto delle carenze, manifestate nel ciclo colturale precedente.

La verifica dei fabbisogni colturali

 

Una ulteriore correzione può essere apportata dalla verifica dei fabbisogni condotta sulla coltura in atto, grazie all'analisi della radiazione infrarossa riflessa dalla vegetazione. Come sappiamo, la luce solare che investe qualunque corpo, viene in parte assorbita ed in parte riflessa: per esempio, la clorofilla assorbe tutte le lunghezze d'onda corrispondenti ai vari colori dell'arcobaleno, escluse quelle che determinano il colore verde, così che noi vediamo le foglie assumere questo colore. Anche la radiazione assorbita viene in parte riemessa, seppure sotto forma di raggi infrarossi invisibili ai nostri occhi, ma non a particolari macchine fotografiche dette “multi spettrali”. L'analisi di queste radiazioni permette di valutare se la coltura è “in forma” oppure se abbisogna di azoto, di acqua, o ancora se è stata attaccata da un parassita; ma può permettere anche di calcolarne l'umidità, il contenuto di particolari sostanze (come le proteine o il glutine) o persino l'incidenza di cariossidi rotte o malformate.

 

L'analisi della coltura in atto si può condurre in diversi modi: in ambito scientifico, per esempio, si analizza la lamina fogliare, con apparecchi molto precisi per la misurazione diretta. In campo però, per avere un valore attendibile, bisognerebbe fare migliaia di rilievi con un costo insostenibile, anche perché si tratta di apparecchiature che richiedono una certa professionalità.

 

La soluzione alternativa, meno accurata sulla singola misura, ma assai più vicina alla realtà se si guarda ai risultati pratici, consiste nella valutazione a distanza: molto breve, e con un raggio d'azione limitato, quando è montata direttamente sulla trattrice che porta o traina lo spandiconcime; molto grande, e su scala assai ampia, quando è portata da un mezzo aereo che sorvola l'appezzamento. Le soluzioni che si avvalgono dei sorvoli da parte di un aeromobile con pilota sono per la verità limitate solo a colture ad alto reddito (come l'uva da vino in zone di pregio), mentre assai più economiche da gestire sono quelle che sfruttano i droni (piccoli oggetti volanti radioguidati) o addirittura il rilevamento da satellite.

 

Un'immagine ripresa da un satellite per il telerilevamento, che sorvola la Terra a una quota di poche centinaia di chilometri (e non i 20-30.000 di un satellite per la navigazione) costa in realtà diverse migliaia di euro: ma se consideriamo che una di queste “fotografie” copre un quadrato di 60 chilometri di lato, quando viene suddiviso per i 360.000 singoli ettari, il costo unitario diventa trascurabile e batte qualunque altro strumento di valutazione a distanza.

 

Le tecnologie esaminate non sono alternative, nel senso che possono essere parzialmente o totalmente combinate fra di loro: l'analisi alla raccolta, indispensabile per valutare il risultato finale della coltura, l'adozione di un sistema di previsione delle rese in relazione agli apporti di mezzi tecnici e al clima, così come il rilevamento dello stato attuale della coltura, possono essere integrati al fine di portare la resa in prossimità del massimo teorico, evitando ogni possibile spreco nei mezzi di produzione. Questa integrazione rappresenta il vero concetto di agricoltura di precisione, quale strumento per incrementare le produzioni agricole sia in termini quantitativi, sia sul piano della qualità.

 

Solo attraverso un netto recupero della produttività economica sarà possibile ricondurre l'agricoltura italiana a riconquistare il proprio ruolo strategico nell'economia del Paese.

Precisione o approssimazione? - Ultima modifica: 2013-06-25T16:04:50+02:00 da nova Agricoltura

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