La trincea è senz’altro la soluzione più economica per conservare il silomais; tuttavia, non sempre è anche la soluzione migliore. Si prenda, per esempio, il caso di una piccola stalla, poniamo con meno di 30 capi in lattazione. Con un numero così esiguo di bocche, la trincea tradizionale non è praticabile, perché una volta aperta ci si mette troppo a esaurirla e questo può determinare problemi di fermentazione e deperimento della qualità del prodotto.
È anche vero che stalle di queste dimensioni sono abbastanza rare, ma meno di quanto si creda. Di certo non ne esistono ormai più in pianura, ma se ci arrampichiamo sulle Alpi il discorso cambia; qui le piccole stalle sono ancora numerose e molte di esse vorrebbero usare l’insilato di mais come alternativa invernale al pascolo.
Una soluzione interessante è sicuramente la realizzazione di trincee mobili, come i “salsiccioni” che da qualche anno si cominciano a vedere attorno ad alcune stalle. Un’altra, ancor più adatta alle zone montane, è quella che presentiamo in queste pagine: un carro insilatore piuttosto conosciuto in Austria, ma quasi ignoto da noi; al punto che – da quanto ci risulta – ne esistono soltanto tre esemplari nel nostro Paese. Uno di questi appartiene alla Pettenuzzo srl, una ditta di lavorazioni in conto terzi della provincia di Padova.
Da Bologna a Vipiteno
Che se ne fa un contoterzista padovano di un attrezzo che vien buono soprattutto in montagna? Lo spieghiamo premettendo che i fratelli Mario e Pierluigi Pettenuzzo –più le mogli e due figli ciascuno – non sono un’azienda di lavorazioni agromeccaniche standard. Per la trinciatura, infatti, coprono un’area lunga 350 chilometri, spingendosi fino in provincia di Bologna e sfiorando, a nord, i confini di Stato. «Arriviamo in Alto Adige, dove abbiamo parecchi clienti nella zona di Brunico e Vipiteno – ci conferma Mario – e l’esigenza di avere l’insilatore nasce proprio da questa particolarità».
Lo sbarco in Alto Adige avvenne casualmente quattro anni fa, in sostituzione di un contoterzista austriaco infortunato. Il metodo di lavoro dei Pettenuzzo è piaciuto e da allora gli altoatesini sono diventati clienti fissi. «Tuttavia da quelle parti erano abituati a lavorare con le rotoballe di insilato, cosa che noi non potevamo fare. Per questo motivo, dopo un paio di anni in cui chiamammo un collega austriaco, ci siamo attrezzati acquistando un insilatore dalla Göweil, una società di Linz specializzata in questo tipo di macchine. Avevamo calcolato che con cinquemila balle l’anno il carro si sarebbe ripagato. Fortunatamente i risultati sono superiori alle aspettative, visto che in due stagioni abbiamo superato quota 18mila».
Pressa e avvolge
Quando è chiuso, l’insilatore Lt Master si presenta come un carro lungo una decina di metri scarsi. Basta però effettuare l’apertura per trasformarlo in un cantiere lungo 20 metri e più. Partendo dal posteriore abbiamo un’area di carico dove l’operatore riversa il trinciato, direttamente dal carro oppure, se si lavora nel piazzale dell’azienda, con una pala o un telescopico. Il tappeto mobile trasporta il trinciato verso la pressa, questa lo comprime e lo lega con una rete, producendo una balla in tutto simile a quelle di foraggio. L’ultima fase del processo è la fasciatura, effettuata da un comune fasciatore che completa il cantiere, subito prima dell’espulsione. Automatica anch’essa, fa notare il proprietario, di modo che l’operatore deve soltanto dare le impostazioni iniziali e poi limitarsi a vuotare trinciato nell’alimentazione e portar via balle di insilato. «La cosa più bella di questo carro – conferma Pettenuzzo – è l’elevato livello di automatismo. Non soltanto effettua tutta la lavorazione in autonomia, ma dispone anche di un sofisticato sistema di sicurezza. Per esempio, il sistema non si avvia se la scaletta che dà accesso all’area di legatura è abbassata, mentre alla fine del cantiere una telecamera controlla che l’area di scarico delle rotoballe sia libera. Se viceversa registra un ingombro, interrompe la lavorazione. In pratica, oltre a caricare il trinciato e spostare le rotoballe, l’uomo deve soltanto sostituire le bobine di rete e pellicola quando sono esaurite». Per la manutenzione, infine, abbiamo ingrassaggio e lubrificazione automatici, nonché una gestione completamente idraulica dei movimenti, dall’apertura del cantiere alle varie regolazioni.
Investimento che si ripaga
Una volta piazzato, il cantiere Göweil ha una capacità di lavoro notevole: tra le 40 e le 50 balle l’ora, secondo il proprietario. «Il sistema funziona perfettamente, è un perfetto esempio di efficienza tecnologica tedesca. Anzi austriaca, in questo caso. Il carro riceve il trinciato, lo pressa e lo fascia. Naturalmente tutto, dalla pressione al numero di avvolgimenti, può essere deciso dall’operatore attraverso la centralina elettronica. Noi, per esempio, usiamo sei strati di pellicola, per essere certi che non vi sia passaggio di ossigeno e di conseguenza rischio di marcescenza del trinciato».
Le rotoballe che si ottengono, spiega Pettenuzzo, sono la soluzione ideale per le piccole stalle. «Pesano circa una tonnellata e anche se si hanno poche vacche, una volta aperte si esauriscono nel giro di qualche giorno, senza rischi di deperimento del silomais. In più possono essere accatastate facilmente e non richiedono la trincea fissa in cemento». Naturalmente hanno anche delle controindicazioni, soprattutto di natura economica: «Costano senz’altro di più rispetto all’insilato tradizionale: otto euro per la pellicola e uno di rete, per cominciare, più il nostro servizio. A conti fatti l’allevatore ha una spesa di 2 euro per quintale. Circa il doppio rispetto alla trincea fissa, anche calcolando le spese di compattamento e copertura di quest’ultima».
Dal punto di vista del contoterzista, invece, il carro insilatore è un investimento redditizio. «Ha un costo iniziale indubbiamente alto: attorno ai 230mila euro. La ditta che lo realizza ne produce pochi esemplari l’anno e quindi il prezzo è anche giustificato. Con queste premesse avevamo fissato, come punto di pareggio, un tetto di 5.000 rotoballe l’anno. Devo dire che i primi due anni di attività sono andati molto meglio del previsto: siamo arrivati a oltre 18mila balle in due stagioni, quindi quasi 10mila pezzi l’anno. Merito dell’apertura di una nuova attività: oltre a produrre insilato fasciato con il trinciato altoatesino, infatti, ne facciamo altre qui nella nostra sede di San Giorgio in Bosco e poi, con i camion, lo portiamo agli allevatori della montagna».
Grazie a questa soluzione, continua Pettenuzzo, la macchina si ammortizzerà in tempi più rapidi del previsto e rappresenta senz’altro un buon investimento. «Questo anche in considerazione dei costi di esercizio. Per esempio, se non ci si deve spostare su strade in pendenza, un trattore da 110 cavalli basta per farla funzionare, con presa di potenza a 540 giri. Certamente, se si usano 160 cavalli e la Pto a mille giri la produttività ne guadagna molto».
Ulteriori possibilità di impiego si potrebbero avere, aggiunge il contoterzista, con il cippato di legno o i rifiuti. «Sono due settori in cui macchine di questo tipo hanno già lavorato con buoni risultati. Credo che, se necessario, di applicazioni se ne possono trovare. L’importante è iniziare, poi il resto viene da sé».