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Convergenza esterna,
plafonamento o
degressività, riserva
di crisi, flessibilità tra i
pilastri e livello del cofinanziamento
nazionale. Sono i
temi della riforma Pac rimasti
fuori dall’accordo tra ministri
del 26 giugno scorso,
essendo stati già definiti nell’ambito
dell’intesa tra capi
di Stato e di Governo sulle
prospettive finanziarie della
Ue per il periodo 2014-2020.
Temi chiave che ora l’Europarlamento
chiede di ridiscutere
in vista del via libero
definitivo da parte dell’assemblea
alla riforma (che
nel frattempo dev’essere comunque
definita nei dettagli
con il lavoro di trasposizione
dell’accordo politico nei
testi giuridici dei regolamenti),
«minacciando» nemmeno
troppo velatamente di far
slittare l’adozione dell’intero
quadro finanziario pluriennale.
I ministri agricoli europei
si sono visti a Vilnius per il
Consiglio informale della Ue
sotto la nuova presidenza lituana.
Lunedì 9 il presidente
della commissione Agricoltura
dell’Europarlamento, Paolo
De Castro, è arrivato nella
capitale lituana per una serie
di incontri bilaterali con i ministri,
culminati in una conferenza
martedì 10. «È necessario
– ha sottolineato De Castro
in merito agli incontri –
non lasciare nulla fuori dal
negoziato, nessun capitolo
della riforma Pac, affinché
possa essere completato
l’iter di approvazione della
riforma con i voti finali in
commissione Agricoltura prima
e in Aula dopo e, al tempo
stesso, possa essere adottato
in via definitiva il quadro
finanziario pluriennale
dell’Unione».
I paletti voluti dai capi di
Stato e di Governo in campo
agricolo riguardano proprio
gli aspetti finanziari della riforma
Pac, e c’è da dire che
difficilmente potranno essere
modificati, essendo il risultato
di un difficile compromesso
giunto dopo estenuanti
trattative. Il primo riguarda
la cosiddetta convergenza
esterna, vale a dire le modalità
con le quali dovrà essere
realizzato nei prossimi anni
il riavvicinamento degli importi
percepiti dagli agricoltori
dei diversi Stati membri.
Ma le richieste di maggiore
impatto riguardano forse il
capitolo del plafonamento,
il tetto agli aiuti, prima proposto
dalla Commissione
poi saltato o meglio, reso
facoltativo dal Consiglio europeo.
Il Parlamento vorrebbe
un taglio di almeno il
15% sui pagamenti diretti oltre
i 150mila euro annui, taglio
che dovrebbe salire al
25% per gli importi superiori
ai 300mila euro (il tetto
proposto a suo tempo dalla
Commissione). Per ora, l’accordo
di giugno prevede la
possibilità di prelievi del
5% sui pagamenti oltre i
150mila euro.
L’altra richiesta dell’Europarlamento
sarebbe volta a
limitare la «contromodulazione
», la possibilità concessa
dall’accordo sul bilancio Ue
ai Governi di trasferire fondi
dallo sviluppo rurale ai pagamenti
diretti, per rimpinguare
i massimali falcidiati dalla
tenaglia convergenza-austerità.
Infine, Strasburgo
vorrebbe elevare all’85%
(dal 75%) la quota di cofinanziamento
per le regioni
meno sviluppate e ultraperiferiche.
Al di là del merito
della richieste, è chiaro che
si gioca su questi temi una
partita chiave per definire i
nuovi rapporti di forza tra
istituzioni europee nell’ambito
della procedura di codecisione,
estesa dal Trattato di
Lisbona (per alcuni forse
troppo presto) anche all’agricoltura.