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    Nei giorni scorsi una Regione del nord Italia ha finanziato alcune domande di premio per impegni agroambientali relativi al mantenimento di siepi e filari. Scorrendo l’elenco dei finanziati, balza all’occhio l’importo di ben 84 € concesso a un beneficiario.

    Dietro a tutto ciò, oltre a una persona che si è recata alla propria associazione agricola per presentare la domanda, vi è stato il lavoro di un funzionario della Provincia competente, che ha dapprima istruito il malloppo di carte secondo un rigido protocollo e poi si è recato nei campi a contare i metri di lunghezza del filare, al fine di verificare la congruità della richiesta di premio. Un lavoro, in definitiva, che vale in termini di costo di ore impiegate dall’amministrazione complessivamente ben più della cifra concessa.

    Associazioni e bilanci

    Il caso citato non è poi tanto singolare nella Babilonia tutta italiana dei premi comunitari, soprattutto nel capitolo dello sviluppo rurale e si collega perfettamente a una delle decisioni che il Mipaaf dovrà prendere entro il primo agosto 2014 nell’ambito della riforma Pac approvata a Bruxelles lo scorso giugno, ovvero quanto selettivo dovrà essere l’accesso ai pagamenti diretti.

    Sull’argomento, al grido di: diamo i premi solo ai veri agricoltori, si sono scatenate immediatamente alcune associazioni agricole proponendo definizioni sempre più selettive del cosiddetto “agricoltore attivo”, colui che potrà presentare domanda di contributo dal 2015, legate ora all’iscrizione alla Camera di commercio, ora all’Inps. La conseguenza? Tagliare letteralmente fuori dall’attuale panorama di beneficiari di titoli Pac (oltre 1 milione e 200 mila) circa 461mila agricoltori oppure 877mila.

    Successivamente, vuoi perché queste associazioni si sono accorte che in tal modo avrebbero snellito drasticamente i loro bilanci economici, vuoi perché qualche illuminato ha ravvisato il pericolo che si potesse escludere dalla possibilità di richiedere premi imprese agricole anche efficienti e competitive, si è corretto il tiro, rispolverando la black list della Commissione europea, composta da aeroporti, ferrovie, impianti sportivi, ecc., con la proposta di aggiungere qualche altro soggetto che oggi percepisce premi comunitari, ma che di agricolo ha ben poco.

    Limitare i beneficiari

    Insomma, roba di poco conto, che non risolve per nulla il problema di limitare il numero di beneficiari italiani, per la precisione 1.236.690, numero che nell’Ue a 27 stati, secondo un rapporto della Commissione, è simile a quello della Romania (1.112.150 di richiedenti) e inferiore solamente a quello della Polonia (1.368.670 richiedenti).

    Numeri, quelli italiani, ben lontani dai 372mila della Francia e 334mila della Germania, ma che ogni anno rischiano di far collassare il funzionamento degli organismi pagatori nazionale e regionali, con costi, ritardi e inefficienze nella liquidazione puntuale dei premi Pac.

    C’è sempre comunque un altro parametro che potrebbe venirci in aiuto sulla strada della selettività dei pagamenti, anch’esso da opzionare entro agosto 2014. Il nostro Paese può infatti decidere se innalzare a 400 €/domanda o lasciare invariato l’attuale parametro a 100 €/domanda, la soglia di pagamento minimo al di sotto del quale non è erogabile alcun pagamento. Oggi, infatti, un beneficiario può presentare domanda unica di pagamento, richiedendo appena 100 €. Innalzare a 400 € il limite significa non presentare circa 500mila domande, che complessivamente valgono un monte premi annuale di 130 milioni di €, cioè quanto richiesto, a titolo di esempio, dai soli agricoltori della provincia di Mantova.

    Ma cosa significa lasciare fuori 500mila domande che mediamente non percepiscono nemmeno 260 € ciascuna? A parte le considerazioni di carattere più o meno soggettivo (un’azienda agricola che richiede tali importi forse non si potrebbe nemmeno chiamare azienda non arrivando con ogni probabilità a 1 ha di superficie), si tratterebbe di un’opportunità per diminuire in modo drastico il numero di beneficiari, senza togliere dalla competizione centinaia, forse migliaia di imprese agricole, che con altre opzioni, vedi iscrizione all’Inps, sarebbero sacrificate sull’altare della selettività a tutti i costi. Imprese che spesso con quei contributi fanno bilancio, fornendo un reddito integrativo al beneficiario e contribuendo a realizzare nuovi investimenti.

    180 milioni da risparmiare

    In Italia i vari organismi pagatori spendono in media 350 /domanda unica tra fase istruttoria e controlli in campo.

    Ha senso spendere più di quanto si riesce liquidare? Abbiamo fatto due conti, con l’innalzamento a 400 della soglia minima di pagamento si risparmierebbero ogni anno 180 milioni di euro. Cifra ragguardevole, soprattutto in una situazione come l’attuale in cui non si riesce ad abbassare nemmeno di un euro la spesa pubblica. Ciò renderebbe più efficiente il sistema nazionale dei pagamenti salvando innumerevoli imprese agricole efficienti che altrimenti non porterebbero a casa un euro di contributo. Perché quindi non limitarsi all’adozione della black list e a innalzare il limite minimo di pagamenti a 400 euro?

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    - Ultima modifica: 2013-11-07T09:09:28+01:00
    da Redazione Terra e Vita
    Aiuti diretti, l’ardua selezione - Ultima modifica: 2013-11-07T09:09:28+01:00 da Redazione Terra e Vita

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