Dalla terra al gelso, dal baco da seta fino alla realizzazione del prezioso filato naturale colorato con tinture estratte dai prodotti del territorio. Questo è il progetto ideato da tre amici: Miriam Pugliese (29 anni), Giovanna Bagnato (29 anni) e Domenico Vivino (31 anni), che insieme hanno deciso di costituire cinque anni fa la cooperativa “Nido di Seta” le cui attività sono incentrate sulla filiera della gelsibachicoltura e la valorizzazione delle ricchezze del territorio.
«I nostri asset sono tutela dell’ambiente e del paesaggio, crescita del territorio, multifunzionalità e sviluppo sostenibile – afferma Miriam Pugliese –. La nostra avventura nasce dalla grande passione e dall’amore per la terra in cui siamo nati, la Calabria. Dopo gli studi siamo tornati per restare nel nostro territorio, San Floro, un piccolo borgo alle porte del capoluogo calabrese. Volevamo avviare un’attività imprenditoriale che ci permettesse di recuperare antiche tradizioni locali e sviluppare nuove competenze, così abbiamo deciso di investire nel settore agricolo e in particolare nella gelsibachicoltura. È stata una scommessa e un investimento per il nostro futuro».
Tutto parte dal gelso
Sono circa duecento le razze di bachi che producono una fibra utilizzabile ma solo la Bombyx mori è allevabile dall’uomo.
Miriam racconta che a San Floro si trovava un gelseto abbandonato di 3.500 piante di varietà Kokusò, «abbiamo fatto richiesta al comune per prendere in gestione la terra, una volta ottenuta abbiamo recuperato il gelseto, unendo le nostre risorse e forze. Oggi gestiamo un terreno di 5 ha, 2 dei quali sono destinati alla coltivazione intensiva a gelseto».
La coltivazione di questo arbusto, di origine asiatica, rappresenta per la cooperativa agricola l’anima del lavoro in quanto le sue foglie, molto ampie, sono l’unica fonte di nutrimento per il baco da seta. «Il ciclo di potatura del gelso – spiega Miriam – avviene tra gennaio e febbraio per avere poi la foglia della giusta qualità pronta nei mesi tra maggio e giugno. Il processo di allevamento del baco inizia dalla raccolta delle foglie, successivamente, le foglie vengono portate presso dei caseggiati in cui avviene l’allevamento del baco da seta per 28 giorni.
In questi giorni i bachi crescono 6mila volte il loro peso e dimensione iniziale: da 2 mm a 9 cm. Al 28esimo giorno il baco tesse attorno a sé il bozzolo, quello che serve per fare la seta. La seta, dunque, è il prodotto agricolo più nobile che abbiamo».
La lavorazione del filato
«Il nostro processo di lavorazione – specifica Miriam – rispecchia i canoni tradizionali. Produciamo i tessuti su antichi telai a 4 licci sui ritmi cadenzati dallo scorrere della “navetta”. Tutti i prodotti, realizzati in seta greggia, rispettano il concetto di sostenibilità ambientale».
Il filato viene successivamente tinto con prodotti naturali e autoctoni, quali: piante spontanee, il papavero, la robbia, il mallo di noce, il morus nigra, la ginestra, l’uva Cirò, le margherite di campo e la cipolla di Tropea. Il processo di estrazione della tintura è realizzato in laboratorio direttamente dai ragazzi.
Ogni elemento tintorio ha il suo processo di estrazione e in base al pigmento vengono fatti dei trattamenti per ottenere il colore desiderato, fino a 25 sfumature diverse.
L’investimento e la produzione
L’investimento iniziale è stato di 10mila euro. «Siamo partiti dai nostri risparmi, non abbiamo mai ottenuto dei finanziamenti pubblici. Oggi, con i ricavi economici, oltre ai nostri stipendi, paghiamo sei dipendenti: gli artigiani che collaborano con noi nel processo serico. Ma l’investimento non è mai terminato, ogni anno reinvestiamo per aumentare la produttività dell’anno successivo».
I prodotti realizzati vengono venduti direttamente in azienda: «la vendita diretta – spiega Miriam – ci permette di avere un guadagno immediato e di essere più competitivi sui prezzi. I nostri capi vanno oltreoceano, i turisti che vengo in azienda li comprano e poi riceviamo altri ordini grazie al passaparola. Esportiamo principalmente in America, nel Nord Europa e nel Nord Italia».
«Il clima mediterraneo e la generosa disponibilità di foglie – afferma Miriam – ci consentono di realizzare mediamente 3 allevamenti annui di bachi da seta, tra il mese di aprile e settembre. In un anno riusciamo a produrre mediamente 20 kg di seta. Un piccolo telaio di bachi contiene circa 20mila bachi e per realizzarlo servono 120 piante di gelso. Realizziamo 3 piccoli telai per ciclo di allevamento (9 totali) e l’impiego di foglie per telaio è di circa 500 kg».
All’interno di questa filiera trova naturalmente posto la mora di gelso, con la quale i ragazzi producono confetture e liquori venduti presso la cooperativa agricola.
Il Museo e l’Accademia della seta
Il “Museo della Seta di San Floro”, anch’esso recuperato dall’incuria, e allestito dai tre giovani all’interno delle mura del Castello Caracciolo, mira a valorizzare a livello turistico, le attività svolte dalla cooperativa Nido di Seta.
Una sezione del museo è dedicata al gelso, al baco da seta e alle fibre naturali, con un ricco assortimento di campioni di seta colorati. Inoltre, è possibile vedere da vicino i telai, antichi e non, su cui i ragazzi tessono i preziosi manufatti.
«Organizziamo visite anche per le scuole, abbiamo una fattoria didattica, e facciamo vedere ai più piccoli il valore delle tradizioni, come l’estrazione della seta dal bozzolo. Il risultato – afferma Miriam – è un meraviglioso intreccio tra passato, presente e futuro».
Il museo è la testimonianza del legame tra agricoltura e cultura quale elemento vincente del marketing territoriale e volano di valorizzazione delle risorse rurali. Proprio per la realizzazione di questo progetto i tre giovani ragazzi calabresi hanno ricevuto il premio “Bandiera Verde” della Cia.
«Credo che per le piccole aziende agricole sia necessario essere sempre più multifunzionali e innovativi per riuscire a sopravvivere dignitosamente».
Proprio dalla spinta innovativa e multifunzionale nasce l’ultimo progetto della cooperativa: l’Accademia della seta. «A giugno partiranno i nostri corsi sulla trasformazione serica e tinture naturali con l’intento di tramandare alle nuove generazioni questa tradizione agricola. Vogliamo riattivare i mestieri antichi ricreando una filiera della seta calabra e dunque un nuovo indotto di lavoro, sia nella nostra cooperativa che nelle diverse province calabresi. Abbiamo già avuto molte adesioni ai corsi, perfino dall’Argentina, Slovenia e Nord Europa, non ce lo aspettavamo».
Grandi, era il lavoro di mio nonno, lo ricordo molto bene