All’inizio degli anni ’90, l’introduzione dei neonicotinoidi (insetticidi di sintesi con un meccanismo di azione simile alla nicotina) fu accolta con grande entusiasmo perché avrebbero potuto sostituire gli esteri fosforici, oggetto di forti restrizioni per la loro tossicità acuta e per la possibilità di colpire direttamente i fitofagi con apparato succhiante , rispettando gli antagonisti grazie alla loro spiccata attività sistemica in senso acropeto (capacità di essere assorbiti dalla pianta ed essere trasportati verso l’alto dalla linfa grezza).
Ma proprio la loro sistemia si è rivelata nel tempo un vero e proprio “cavallo di Troia”, perché i neonicotinoidi trasportati dalla linfa finiscono per contaminare nettare, strutture fiorali e acqua di guttazione, esponendo gli insetti pronubi come le api alla loro azione insetticida. Alcuni componenti di questa classe di insetticidi manifestano, per la loro struttura chimica, un’azione particolarmente attiva sulle api e in generale sui pronubi, anche a basse concentrazioni.
Due prodotti fuori uso
In effetti, la negativa attività “collaterale” di alcuni tra i più diffusi neonicotinoidi sulle api è stata ampiamente dimostrata e ha portato a restrizioni di impiego sempre maggiori. Nello scorso anno, il regolamento europeo 2018/783 ha drasticamente modificato le condizioni di uso delle sostanza attiva imidacloprid e thiamethoxam (il clotianidin era già stato oggetto di forti restrizioni in agricoltura) introducendo le seguenti limitazioni “Possono essere autorizzati solo gli usi come insetticida in serre permanenti o per la concia di sementi destinate a essere utilizzate soltanto in serre permanenti.
La coltura così ottenuta deve rimanere all’interno di una serra permanente durante il suo ciclo di vita completo”.
In pratica, ogni uso in pieno campo è vietato.
I due insetticidi neonicotinoidi, oltre che in frutticoltura (trattamenti aficidi su drupacee, pomacee e agrumi, contro ditteri in olivicoltura, ecc.), erano ampiamente utilizzati anche in orticoltura, con applicazioni aeree e in alcuni casi anche per via radicale (“chemigazione”) sia per il controllo di fitofagi dell’apparato aereo delle piante che delle radici.
Il regolamento ha previsto che gli Stati membri modificassero o revocassero le autorizzazioni esistenti per i prodotti fitosanitari contenenti le due sostanze attive entro il 19 settembre 2018.
L’Italia lo ha fatto con un paio di mesi di anticipo, per cui le nuove etichette sono già state aggiornate e sono conformi alle limitazioni (esclusivo uso in serra permanente o per la concia di colture destinate a serre permanenti).
Bisognerà fare invece attenzione agli eventuali prodotti giacenti nei magazzini, le cui etichette non riportano le nuove limitazioni, che non possono più essere usati in pieno campo.
Contro l’afide verde del pesco
Nella gestione dell’afide verde del pesco, particolare attenzione andrà fatta in fase di gemma gonfia, stadio fenologico in cui si posiziona il trattamento contro l’uovo durevole e le fondatrigenie per i quali i prodotti a base di imidacloprid e thiamethoxam erano largamente utilizzati.
Resta invariata la possibilità di utilizzare a gemma gonfia sulle drupacee acetamiprid o thiacloprid, neonicotinoidi non interessati dalle nuove restrizioni.
Articolo pubblicato sulla rubrica L'occhio del Fitopatologo di Terra e Vita